Voce che grida nel deserto. Questo è il primo pensiero che viene in mente, dinanzi ad un quadro di Alessio Fralleone.
Deserto che non è quello geografico, degli spazi vuoti e infiniti, che invitano alla libertà e alla riflessione. E’ quello in cui vaghiamo ogni giorno, fatto di vuoto interiore, di banalità e di idolatria del denaro.
Quello costruito da una società che vuole privare l’uomo del potere di sognare e pensare, ridurlo ad un automa, capace solo di produrre, vendere e comprare.
E per far questo, ci allontana dalle esperienze primarie dell’esistenza: il nascere, l’amare, il morire.
Ognuna di queste esperienze, viene svuotata del piacere e del dolore, ridotta a merce, non solo per avere un ritorno economico, ma per impedire loro di farci porre domande su chi siamo.
Alessio Fralleone contesta tutto questo: la pittura riafferma con potenza la dimensione tragica dell’Individuo, dichiarandone la sua precarietà dinanzi al mistero di esistere.
Una pittura centrata sul corpo, non specchio di un’artificiale e algida perfezione, ma scolpito dalla fatica e dalle ferite della Vita e sul libero arbitrio, in contrapposizione ad una società che vorrebbe farci vivere secondo binari prefissati
Per questo la pittura di Fralleone ci irrita e ci strattona: perchè, come un profeta dell’Antico Testamento, ci mostra ciò che siamo e ci ricorda ciò che dovremmo essere