Considerazioni su Guerra e Architettura

E’ nella natura dei sistemi caotici alternare periodo di autopoiesi, in cui si struttura in modalità più o meno complesse, a periodo di “catastrofi”, in cui l’ordine precedente è azzerato e a valle di cui ricomincia una nuova strutturazione.

E’ questo è valido anche per il sistema complesso per eccellenza, la società umana.

Crisi, rivoluzioni, guerre, non sono frutto di una maledizione divina. Non possono essere eliminati realizzando utopie ideologiche. Sono intrinseche al fatto che, dai tempi degli australopitechi, viviamo in gruppi sociali ampi e più o meno strutturati, per riempirci lo stomaco e non trasformarci nel pranzo di qualche predatore.

Le catastrofi possono essere mitigate, non evitate: il vero problema che ci dovremmo porre è come favorire la ricostruzione di nuovi equilibri

Ed è questo, secondo me, il tema primario di Guerra e Architettura, testo che Lebbeus Woods dedicò ai cittadini di Sarajevo, vittime dell’ultimo conflitto che ha lacerato l’Europa.

Che fare delle rovine ? Ricostruire tutto come tale e quale, nell’illusione che nulla sia accaduto ?

Può sembrare la soluzione più consolatoria, ma è anche lo strumento tramite cui il Potere tenta di ricostruire a suo favore delgi equilibri perduti… Lobotomizzare il Passato, togliere la sua forza di testimonianza, significa controllare meglio il Presente.

Woods, invece, e sono d’accordo, considera le rovine come delle ferite, da cicatrizzare, ma da non nascondere.

Perchè la memoria, pur non evitando le catastrofi, ci dona la consapevolezza della provvisorietà di ciò che costruiamo e delle sfide che ci attendono.

Ma come cicatrizzare ? Proprio favorendo l’autopoiesi, l’anarchia creativa dell’Uomo capace di recuperare ciò che è stato distrutto in forme diffenti, ridefinendo nuovi spazi e strutture.

E’ che forse il segreto della vita: cambiare sempre, pur mantenendo la stessa identità.

Un pensiero su “Considerazioni su Guerra e Architettura

  1. Grazie mille Alessio! Come ho scritto sul gruppo facebook di Deleyva Editore, la cosa che mi colpisce, è che non sei un architetto. Mi colpisce perché, sebbene sono profondamente convinto che questo sia uno dei libri più importanti in architettura degli ultimi 20 anni (il libro è stato pubblicato originariamente nel 1993 in inglese), e sono dell’idea che sia un libro indirizzato a non-architetti. O meglio, non solo ad architetti. Lebbeus Woods era un architetto che usava come materiale da costruzione principalmente la vita, e le esperienze, degli uomini. Forse è questo l’elemento che rende il suo lavoro così eccezionale.

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