Sarajevo fu il pretesto, non la causa della Grande Guerra: in ogni caso, il partito “espansionista” austriaco avrebbe cercato un pretesto per esautorare Francesco Ferdinando e portare a compimento l’iniziativa di un attacco preventivo alla Serbia.
Occasioni anche prima del fatale attentato: paradossalmente, fu proprio l’Italia a tenere a bada i bollenti spiriti di Vienna.
Dopo la paventata ipotesi di unione fra Serbia e Montenegro dei loro rispettivi leader politici e l’incontro fra il ministro degli esterie italiano San Giuliano e quello austroungarico Berchtold di Abbazia dell’aprile del 1914, l’ambasciatore tedesco a Roma Hans von Flotow chiese in giugno al marchese cosa l’Italia avrebbe chiesto in cambio del controllo austriaco della costa montenegrina. San Giuliano, che mai avrebbe accettato una simile situazione senza un importante compenso, fu esplicito: le «terre italiane» degli Asburgo (Trieste e Trento)
Contropartita quanto mai sgradita a Vienna che rinunciò a qualsiasi attacco al Montenegro
Analogamente, data la precaria situazione politica interna dell’Albania, Flotow il 13 giugno chiese a San Giuliano che cosa ne pensasse di una possibile spartizione del Paese tra Austria e Italia. Il marchese, più saggio di Mussolini, rispose che sarebbe stato un grave errore per l’Italia incorporare un irredentismo a lui ostile e mettersi contro i popoli balcanici. Nel caso l’Albania settentrionale fosse diventata austriaca il compenso secondo San Giuliano doveva consistere «nella cessione all’Italia delle province italiane dell’Austria»
Anche stavolta, Vienna tornò a miti consigli. Tutto mutò il 28 giugno 1914: però, ino al 23 luglio, data della consegna dell’ultimatum di Vienna a Belgrado, le intenzioni dell’Austria non furono chiare.
L’8 luglio, infatti Flotow tornò sulla questione e parlò al marchese dell’intenzione dell’Austria di cedere la costa del Montenegro all’Albania e di annettersi il monte Lovćen, in posizione strategica a controllo dell’Adriatico meridionale. San Giuliano parve sul punto di perdere i nervi.
Probabilmente, il tutto secondo alcuni esponenti del governo tedesco, timorosi dell’escalation militare, doveva servire come contropartita a Vienna per alleggerire le condizioni poste a Belgrado
San Giuliano, non rendendosi conto che la situazione era cambiata rispose all’ambasciatore tedesco che, pur di impedire all’Austria l’attuazione di questi progetti, l’Italia si sarebbe alleata con la Russia e la Serbia e le avrebbe dichiarato guerra portando la rivoluzione all’interno dell’Impero asburgico
Così, dinanzi alla presa di posizione italiana, fallì un possibile tentativo di mediazione.
E probabimente il ministro se ne rese conto il 23 luglio 1914; San Giuliano era a Fiuggi, a godersi le terme. Appena seppe che l’ultimatum sarebbe stato consegnato alle ore 18,00, telefonò al presidente del Consiglio Salandra affinché lo raggiungesse per esaminare le condizioni dell’Austria con l’ambasciatore tedesco Flotow, anch’egli a Fiuggi. Poco prima delle 12 del 24 i tre ricevettero il testo dell’ultimatum che si rivelò durissimo.
San Giuliano dapprima protestò con l’ambasciatore tedesco, poi si tranquillizzò quando Flotow gli fece capire che l’Italia avrebbe potuto ottenere un importante compenso territoriale se avesse assunto un atteggiamento benevolo verso l’Austria. Lo stesso 24 luglio 1914 il marchese scrisse a Vittorio Emanuele III precisando che per il momento l’Italia non aveva ricevuto alcuna richiesta di appoggio da parte di Vienna e poteva legittimamente tenersi fuori da un conflitto provocato dall’Austria, ma, qualora compensi consistenti fossero stati previamente concordati, l’Italia avrebbe potuto partecipare «liberamente a suo tempo» all’eventuale conflitto europeo al fianco degli austro-tedeschi. All’epoca, sia i politici, sia i comandi militari italiani davano per scontata la neutralità inglese.
Vienna, o meglio Conrad, sopravvalutava le sue forze e al contempo Moltke Junior, dopo aver fatto salti mortali per sistemare quell’immane porcata del Piano Schlieffen ritenne poi il contributo italiano alla guerra, utile, ma non indispensabile.
Quindi, per tenere buona Vienna, fu deciso di non dare nessuna compensazione territoriale all’Italia: poteva tranquillamente rimanersene neutrale.
Paradossalmente, questo atteggiamento convinse il governo italiano a tentare gli ultimi approcci diplomatici per fermare la guerra: per prima cosa, grazie alle spie a San Pietroburgo, per una volta più efficienti della media, normalmente passavano il tempo a bisbocciare tra bordelli e teatri, non solo Salandra ebbe la conferma che la a Russia sarebbe intervenuta in soccorso della Serbia se questa fosse stata attaccata dall’Austria, ma addirittura copia dei piani militari di invasione.
San Giuliano si premurò di diffondere l’informazione presso gli alleati e il 21 luglio 1914, l’ambasciatore a Vienna Giuseppe Avarna riferì la risposta di Berchtold: costui non «prestava soverchia fede» alle notizie che davano la Russia pronta ad intervenire e che semmai la Russia fosse intervenuta nel conflitto austro-serbo, l’Austria non aveva paura di affrontarla; inoltre Conrad aveva affermato come i piani di invasione russi in mano agli italiani fossero dei clamorosi falsi.
Il governo italiano, invece di mandare al diavolo gli Asburgo, tentò un’ultima carta: il 25 luglio, al rifiuto serbo dell’ultimatum ealla richiesta della Gran Bretagna di convocare una conferenza sulla crisi, il marchese San Giuliano propose all’ambasciatore inglese Rodd che le potenze convenute dovevano chiedere a Vienna spiegazioni sui punti più duri dell’ultimatum (quelli che consentivano a organi austriaci di indagare in territorio serbo sull’assassinio dell’arciduca).
Una volta avute queste spiegazioni, le potenze dovevano consigliare alla Serbia di accettare quei punti. In tal modo Belgrado avrebbe ceduto non di fronte alla sola Austria, ma all’Europa. Ciò avrebbe internazionalizzato la crisi e sarebbero state le potenze europee a giudicare se la Serbia aveva soddisfatto o meno le richieste austriache. La Serbia, cioè, si sarebbe sottomessa all’Austria solo da un punto di vista diplomatico, ma avrebbe avuto il sostegno delle potenze europee affinché mantenesse l’indipendenza
Fra gli altri, il 27 luglio 1914, San Giuliano spiegò il suo piano all’ambasciatore russo a Roma Anatolij Nikolaevič Krupenskij (1850-1923). Gli disse che i serbi, per facilitare il lavoro di mediazione europea, dovevano pronunciare «il semplice monosillabo “sì”» in risposta alle richieste austriache. Poi, aggiunse, «che i serbi accettino [l’ultimatum], pronti a non eseguire ciò che hanno accettato». Il ministro degli Esteri britannico Grey condivise i propositi del marchese… Insomma, forse si sarebbe trovato un compromesso, ma la volontà del partito della guerra austriaco era troppo forte.
Il 28 scoppiarono le ostilità…