Ipogeo Casilino

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Sempre cercando informazioni on line, ho scoperto come l’ipogeo di Villa Cellere abbia un suo compagno, dall’altra parte della Casilina, al numero civico 768, in pratica sotto il parco dell’Aeroporto.

Questa è al descrizione che ho trovato on line…

Ipogeo della Casilina

Al IV miglio della antica Labicana. Ingresso dal n. 768 dell’odierna Casilina a circa 400 m dalla Catacomba dei Ss. Pietro e Marcellino.

Ampiezza circa 100 m.

Sepolcro famigliare di epoca costantiniana. Scoperto nel 1838.

Una scala conduce ad una vasta galleria riccamente decorata. Il pavimento è in marmi policromi e anche le pareti sono rivestite idi marmo. Ai lati di queste si aprono 14 arcosoli, 2 gallerie e 6 cripte. Alcuni studiosi pensarono che fosse una parte di quella di Pietro e Marcellino, altri la tomba dei Ss. Coronati ed altri ancora il sepolcro di membri della famiglia imperiale. Quasi sicuramente l’ipogeo non era cristiano, infatti nessun segno di cristianesimo è stato notato: solo una colomba raffigurata in un mosaico potrebbe avere un qualche significato, mentre la sepoltura nei loculi laterali delle gallerie era spesso usata, nel III e nel IV secolo, anche dai pagani.

A differenza di Villa Cellere, non ho trovato ulteriori indicazioni su scavi successivi o su restauri, per cui non ho idea dell’attuale stato di conservazione.

Però, la scoperta rilancia la necessità di un percorso archeologico integrato nel V Municipio che valorizzi i resti del Circo Variano, recuperi ciò che rimane delle catacombe di San Castulo e delle catacombe ebraiche estese tra Pigneto e Certosa e valorizzi i due ipogei di via della Primavera e del Parco di Centocelle, integrandoli nel percorso delle catacombe di San Marcellino e Pietro.

E soprattutto rendere pienamente noti e fruibili al grande pubblico, i resti delle ville tardo antiche dell’Aeroporto di Centocelle.

Segnalazioni ferragostane

Dato che tra poco mi godrò qualche giorno di vacanza, almeno spero, ne approfitto per qualche segnalazione ferragostana.

La prima, è una bella intervista a Giò Lacedrain cui si affrontano i temi dell’identità e dell’accettazione del sè

La seconda, è l’uscita della seconda edizione di Urfuturismo-Futurismo Oggi n.1 in cui si parla anche del sottoscritto

La terza, è che vi sono i saldi estivi de La Mela Avvelenata, in cui l’ebook di Noccioline Da Marte, il mio racconto che non mette mai d’accordo i lettori, o si ama o si odia, si può ottenere gratis

L’Ipogeo di Villa Cellere

Scartabellando on line, alla ricerca di spunti per i prossimi romanzi, cade l’occhio su una scheda intitolata

Ipogeo di Villa Cellere – Via Casilina 769

Ma io questo numero civico lo conosco, penso tra me e me… Do un’occhiata per scrupolo a Google Maps e i miei sospetti si trasformano in realtà… E’ all’incrocio tra Casilina e Via della Primavera, dove una volta vi era un vivaio, poi un concessionario di automobili e attualmente, se non mi sbaglio, un supermercato.

Incuriosito, visto che sono cresciuto in quella zona e non ne ho mai saputo nulla, leggo la descrizione del sito archeologico

E’ un ipogeo privato forse legato a un latifondo, con estensine limitata e senza segni superstiti di cristianità, costituito da una larga galleria non rettilinea alle cui estremità sono due piani inclinati che terminano in due scale; all’esterno di quella nord si conservano i resti del vestibolo d’accesso, a pianta quadrata e pavimentato in mosaico, datato alla prima metà del IV secolo. Nella galleria si aprono sei cubicoli e quattro gallerie cimiteriali, simmetricamente disposti. Sia la galleria principale che i cubicoli sono pavimentati a mosaico con quattro emblemi posti in corrispondenza di altrettanti incroci; la raffigurazione di un uccello con un ramo tra le zampe non può essere considerata cristiana.

L’organizzazione degli ambienti ha fatto pensare alla presenza di più nuclei familiari; i loculi della galleria principale, di quelle minori e delle scale erano forse destinati a schiavi o dipendenti dei proprietari. Oltre alla data proposta dalla decorazione del vestibolo di accesso, mancano elementi utili per la cronologia del complesso.

L’ipogeo fu scoperto nel 1830 dalla famiglia Del Grande invaso dal fango e già devastato in antico; lo si ritenne allora legato alla catacomba dei Ss- Pietro e Marcellino: (Visconti (1942); Marchi (1844-47). Durante la seconda guerra mondiale fu usato come rifugio antiaereo con conseguenti ulteriori danni:

Vabbè, sarà andato distrutto con il tempo e non ne rimarrà pietra su pietra: ma continuando a cercare su Google salta fuori che è stata scavata tra il 1974 e il 1977 e soggetta a restauro nel 1995, dalla Pontifica Commissione di Archeologia Sacra.

Trascurando l’umana curiosità non dico di visitarla, ma almeno di capire dove sia l’ingresso, sorge una domanda: non è possibile valorizzare quest’ipogeo, in modo che si possa integrare con le catacombe di San Marcellino e Pietro, creando un percorso turistico dedicato alla tarda antichità, che inizierebbe dal Palatium Sessorianum sino a giungere alle ville del Parco dell’Aeroporto di Centocelle ?

Ebook per l’arte ?

Mentre discutevamo del rapporto tra virtuale e reale nell’editoria, un mio amico mi faceva notare come, se per la narrativa l’ebook è sicuramente, per dirla alla romana, “‘na mano santa”, visti i guadagni in praticità, spazi e costi, la situazione sarebbe diversa nel caso nei libri d’arte, in cui predomina la necessità di confrontarsi con l’immagine, più che con la parola.

E negli ebook, la resa delle immagini non è ancora pienamente efficace… E questo limite, anche psicologico, difficilmente sarà superato se si continuerà a trattare l’ebook come un semplice clone del cartaceo.

Le cose potrebbero cambiare, se invece, lo si considerasse come una piattaforma autonoma, capace di implementare nuove funzionalità rispetto al libro tradizionale, dal semplice zoom sui particolari, alla possibilità di implementare soluzioni di realtà aumentata…

Ma ciò implica investimenti e idee, che temo non si realizzino in tempi brevi, specie in Italia.

Sempre sull’eredità del Futurismo nella Fantascienza

Sempre nell’ambito del dibattito su Futurismo e Fantascienza, do visibilità a un interessante intervento di Pier Luigi Manieri

Mah, a dire il vero la questione:Futurismo come espressione del Fascismo, è superata oltre che stucchevole e forse priva di senso. Al di là delle opinioni personali che contraddistinsero questo o quel protagonista dell’unica avanguardia del 900 ( non solo Marinetti sposò l’ideologia ma lo stesso Balla, vale a dire, due dei firmatari del Manifesto), è nelle intenzioni, nell’estetica, nella dialettica che il Futurismo è speculare. Si pensi all’attrazione verso il volo, le grandi imprese di Balbo e D’Annunzio da una parte e l’aeropittura dall’altra. Si guardi alla visione propulsiva e a quella del dinamismo che animavano entrambi. A ciò si può aggiungere l’epica del conflitto, mai sentita una lettura futurista? SBAMM!!! BABABABABAAAAAAA!!!! Ruggiscono le mitraglie! Ma credo che per i futuristi parli meglio di ogni altra cosa, il loro Manifesto che recita al punto: 1 Noi vogliamo cantar l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.

Non so in che altro modo lo si possa intendere….

Che i due ambiti italiani fossero contigui è dimostrato anche da quella cappa di silenzio e negazione che lo ha ammantato per decenni.

Per gli stessi motivi, energia, pericolo, velocità, FUTURO, non poteva non essere terreno fertile per la fantascienza. Interroghiamoci piuttosto se tanta eredità sia stata degnamente raccolta sia in termini qualitativo contenutistici, sia numericamente.

I miei dinosauri

Da bambino avevo idee ben precise sui dinosauri: rettiloni ingombranti, stupidi, lenti, improvvisamente scomparsi nel nulla per fare un favore agli antenati dei mammiferi.

Con il tempo, poi ho scoperto la storia del meteorite, con l’idea che è il caso, non un progetto a priori, a determinare l’evoluzione. Poi che gli antenati dei mammiferi dominavano il mondo, prima della nascita dei dinosauri.

Infine, che gli uccelli non sono che dinosauri e dei miei presunti rettiloni ve ne sono più adesso che nel Cretaceo e che l’estinzione di massa riguardava solo la megafauna dell’epoca.

Scoperte che, invece di generare in me delusione, mi hanno reso i dinosauri molto più affascinanti. Per questo li utilizzo spesso nelle mie opere, dal racconto per Deinos al progetto che sto portando avanti con Giorgio Sangiorgi.

Soprattutto, non riesco a vederli pericolosi, nel caso saltassero fuori nel nostro mondo, come in Jurassic Park.

Perchè dovrebbero confrontarsi con un’ecologia e un ambiente totalmente diverso, ad esempio i grandi erbivori avrebbero difficoltà a nutrirsi, sarebbero soggetti a malattie verso cui sarebbero prive di difese immunitarie e si troverebbero in un mondo in cui il tasso di ossigeno è molto più basso del Cretaceo, soffrendo così perennemente di mal di montagna….

Di fatto, potrebbero sopravvivere solo grazie al nostro buon cuore…

Futurismo e Fantascienza

Sul gruppo di fantascienza che bazzico su FB c’è stata, con qualche imprevisto, una colta e civile discussione sul Futurismo, da cui sono saltati fuori diversi spunti interessanti.

Il primo è relativo alla relazione tra Futurismo e Fascismo: sicuramente Mussolini ha preso idee e suggestioni da Marinetti, ma il Secondo Futurismo era una tale coacervo di idee e posizioni differenti che è una forzatura parlare di un’equivalenza uno a uno.

Vi erano futuristi fascisti, come lo stesso Marinetti, per convinzione o per desiderio di prebende: ma vi erano anche futuristi, tipo Dottori, che consideravano il fascismo come una pericolosa deriva bolscevica e sinistrorsa della politica italiana, altri, come Fillia, erano socialisti, altri erano comunisti o anarchici.

Caraccioli, futurista e dirigente di Bandiera Rossa, fu ad esempio fucilato alle Fosse Ardeatine.

Il secondo è sulla relazione tra Futurismo e Fantascienza… Sembra strano, ma negli anni Venti, a differenza di oggi, alla Fantascienza veniva data dagli intellettuali italiani grande dignità: per non citare i futuristi che scrissero diversi romanzi sci-fi, vi si dedicò anche il buon Dohuet, utilizzando quella forma di narrativa come strumento per diffondere le sue tesi sulla guerra aerea.

Fantascienza, quella dei futuristi che ebbe risonanza internazionale : ad esempio Metropolis fu ispirata da Raun, un’opera teatrale del Futurista Ruggero Vasari, scritta nel 1924 e pubblicata nel 1933 e le scenografie di Otto Hunte, Erich Kettelhut, Karl Vollbrecht furono copiate dai disegni di Sant’Elia.

Narrativa, a cui si sommano le suggestioni figlie di tanti manifesti, da quello dell’Aeropittura a quello sulla Ricostruzione futurista dell’Universo, la cui eredità si perse a seguito della damnatio memoriae che colpì nel 1946 il movimento, impoverendo la fantascienza italiana che si sradicò, dimenticando le sue radici

Paradossalmente le diverse eredità del futurismo (la teosofia di Marinetti, la cibernetica di Depero, l’anelito cosmico di Prampolini, il vitalismo tecnologico e transumano dell’aeropittura) hanno ripreso vigore sul finire degli anni Novanto, costituendo un forte retroterra culturale del Connetivismo

Guerra dei Fiori in Palestina ?

Premessa per i lettori: è un post politicamente scorretto, per cui, se volete, potete anche evitare di leggerlo

Nonostante il mio difetto, di aprire bocca su tutto e tutti, ho evitato di pontificare sulla questione Gaza, visto che la ritengo troppo complessa per essere liquidata dalle poche righe di un post.

Però, dato che il lo sfracellamento di cabasisi da parte di amici e conoscenti ha raggiunto livelli inimmaginabili, alla fine ho deciso di dare la mia chiave di lettura che è tutto, tranne che una verità assoluta.

E’ innegabile che la strategia israeliana, a lungo termine, abbia avuto successo: tutto si può dire, tranne che Gerusalemme sia attualmente accerchiata da nemici capaci di eliminarla.

La stessa Gaza, dal punto di vista militare, è poco più che una seccatura… Allora perchè Israele si ostina a seguire un rituale di escalation e rappresaglie che è di fatto strategicamente poco produttivo, non eliminando gli avversari e danneggiando la sua immagine internazionale ?

Dal punto di vista costi-benefici, sarebbe paradossalmente più utile una guerra asimmetrica, come quella condotta negli ultimi anni contro Hezbollah, ossia una seria di attentati contro i leader politici e militari di Hamas.

Lo stesso vale per Hamas: se non si vuole scendere a negoziati, ci sono mezzi più efficaci per danneggiare il nemico del lanciare a caso razzi di scarsa precisione e poca efficacia.

Sospetto che entrambi i contendenti stiano combattendo una sorta di xochiyaoyotl, la guerra dei fiori: gli aztechi combattevano delle battaglie rituali con vicini, a scopi religiosi, fornitura di prigionieri da sacrificare agli dei e da mangiare in un pasto sacro, e politici.

Questi erano soprattutto:

1) Mostrare la propria potenza agli avversari, per spaventarli in modo da evitare un aumento di intensità nei conflitti. Di fatto è quello che fa Israele. Il mostrare i muscoli a Gaza fa passare dalle mente strane idee a vicini rissosi

2) Aumentare la coesione sociale, con l’invenzione del nemico: senza la guerra continua, i conflitti tra le varie anime dell’ebraismo israeliano potrebbero accentuarsi e senza la scusa della lotta all’entità sionista, Hamas, corrotta e incapace come la maggior parte dei governanti palestinesi non avrebbe nessuna legittimità a governare

3) Assicurare una mobilità sociale e ricadute economiche dovute al bottino: gli effeti del moltiplicatore keynesiano legato alle spese belliche di Israele sono una componente importante della sua economia, mentre Hamas, senza la retorica della guerra continua, avrebbe una forte riduzione degli aiuti che in buona parte riempiono i conti in banca dei suoi leader.

Per cui, per cui siamo al paradosso in cui entrambe le leadership guadagnano più dalla guerra che dalla pace…Se si vuole risolvere la questione alla radice, per evitare anni e anni di stragi inutili, è necessario trovare un modo di rovesciare questo stato di cose.

Dualismi ?

La discussione sul destino de l’Unità ha avuto l’effetto collaterale di riaccendere un tema ormai stantio, il rapporto tra carta e digitale nell’editoria.

Tenendo conto che, spacca e pesa, ormai l’incidenza degli ebook dovrebbe circa il 5% del mercato (banale estrapolazione dai dati dell’anno scorso, osservando il trend… per cui non prendere il dato come oro colato) e che in alcune nicchie, come ad esempio la fantascienza, la percentuale potrebbe essere anche maggiore, probabilmente sarebbe il caso di andare oltre dualismo materiale e immateriale, riflettendo invece su come integrare entrambi in un unico ecosistema.

Internet non è solo un canale di distribuzione parallelo; l’ebook non è solo la brutta copia del cartaceo, in cui si risparmia sulla stampa e sui magazzini.

Come l’invenzione di Gutenberg, dando più importanza alla parola, al contenuto, che alla decorazione, la forma, ha cambiato l’idea che si aveva del libro, mutandone anche la fruizione, lo stesso dovrebbe la rivoluzione digitale, rendendo l’ebook supporto a esperienze multimediali.

Come e in che tempi, non so dirlo… Anche perchè, l’evoluzione della tecnologia ci sorprende sempre nelle maniere più inaspettate