Volare alto

Come spesso accade a Novembre, fervono le discussioni sul nuovo Premio Urania e sulla contaminazioni tra giallo, noir e fantascienza. Discussioni a cui stavolta non posso partecipare, non avendo letto il libro di Glauco De Bona, per colpa della mia efficientissima governante.

Nel trambusto legato all’arrivo dei nuovi mobili, chissà dove l’ha sistemato, nel tentativo di mettere ordine nella mia casa: destino seguito anche da Falsi Dei di Troccoli e da Roma Eterna di Robert Silverberg (a quanto pare il fato si accanisce contro questi due libri).

Finchè non salta fuori e non riesco a sfogliarne le pagine, mi astengo da ogni giudizio. Mi limito a riflettere sulla mia esperienza di scrittura.

Vuoi o non vuoi, Il Canto Oscuro appartiene alla categoria della contaminazione tra gialli e fantascienza (per Navi Grigie la questione è differente, ma molto dipende anche dall’aiuto che mi ha dato Giorgio Sangiorgi): ho fatto questa scelte per comodità.

Avevo dei personaggio, un’ambientazione, ma non sapevo come farli interagire: l’indagine su un delitto mi sembrava il modo più semplice. Ho fatto bene, ho fatto male ? Boh… Magari, spremendomi di più le meningi, sarebbe uscito qualcosa di più originale… Oppure, scoraggiato, avrei rinunciato all’impresa.

Il vero problema è che il giallo e il noir hanno delle trame standard, che presuppongono un cosmo ordinato e comprensibile, in cui il Bene vince e il Delitto viene punito…. Puoi complicare le cose quanto vuoi, ma alla fine poco cambia… E se nella fantascienza italiana si batte sempre sullo stesso tasto, alla fine posso capire che ci si possa anche annoiare.

Lo stesso vale per i personaggi e le ambientazioni: sui primi, mi ritengo fortunato. Nella vita, grazie al cielo, ho incontrato talmente tanti tizi bislacchi e originali che mi basta ritrarli con le parole, per ritrovarmi il lavoro già fatto…

Per le ambientazioni e qui mi ci metto anche io, tranne casi particolari come Troccoli, Augusto Charlie o Davide del Popolo Riolo, non è che sprechiamo molto. Prendiamo quello che abbiamo sotto il naso, carichiamo un poco le tinte, aggiungendovi un poco di fumo vittoriano o nebbia cyberpunk, e stiamo apposto….

Insomma, dobbiamo avere, compreso il sottoscritto, un poco più di coraggio e fantasia…

Nel segno del rock

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In una Roma, in cui la politica considera le periferie come delle discariche sociali, a cui tagliare servizi, AmArte è qualcosa di più di un evento o di un progetto: è il grido di orgoglio di quelle che con spocchia il Campidoglio considera cittadini di seconda classe.

Per ribaltare tale posizione, poco serve gridare i propri diritti, perché si viene demonizzati o al massimo si ottiene la passerella del potente di turno, in cerca di visibilità.

Serve proporre un nuovo modello culturale e sociale, basato sulla creatività diffusa e la valorizzazione del bene comune.

Per far questo, AmArte appoggia una serie di eventi: il primo è nel Segno del Rock, che si svolgerà venerdì 28 novembre ore 21 presso il eatro Biblioteca Quarticciolo in
Via Ostuni, 8, 00171 Roma.

Nato da un’idea a di Marco Abbondanzieri ed Enrico Capuano con Katmandù Project, Eleonora Betti, Contro Destino, MASH, No leader, SLS e organizzato dall’Associazione Culturale Clama Cults, si pone come obiettivo il icercare i talenti in casa nostra, nel nostro ambiente familiare, nelle nostre scuole popolari di musica, nei centri di aggregazione culturale e se possibile per strada. Quella strada che ha formato migliaia di giovani musicisti e che oggi sembra morire sopraffatta dalla potenza dei Media.

L’altro progetto è la realizzazione del presepe nel centro anziani di via Francesco Ferraironi 98, dove gli artisti Rodolfo Cubeta, Andrea Cardia e Claudio Lia collaborano con i bambini del quartiere, per diffondere l’amore per il bello, la curiosità sul Mondo e creare un ponte tra generazioni.

Politica come Narrazione

In questi giorni, sto leggendo un saggio sul declino politico di Obama. Secondo l’autore l’individuo non sceglie una posizione ideologica secondo ragione, ma in maniera istintiva, analoga alle scelte religiose o di tifo calcistico.

Scelte che non sono utilitaristiche, ma che vengono condizionate dalla dialettica con il proprio ambiente familiare e sociale.

Per cui la Politica non è nulla più di una grande narrazione, basata su visioni e idee, che cerca di costruire un’identità di gruppo più inclusiva possibile e basata sulla contrapposizione con il diverso.

Obama è stato bravissimo nel proporre visione, nel generare memi, meno nel padroneggiare le idee, nel gestire la complessità del reale: questo iato ha provocato il suo declino.

Anche in Italia, a mio avviso, negli ultimi anni siamo stati ricchi di affabulatori: Berlusconi, che, con la mitologia del nemico e del tradimento, è riuscito a sfuggire al confronto con la Realtà

Grillo, che ha perseguito una narrazione esclusiva, limitando la costruzione dell’identità a gruppi minoritari. Renzi, capace di più narrazioni, contradditorie tra loro, il che alla lunga potrebbe svuotare la sua capacità di creare suggestioni.

Io nun so’ ‘n politico

presa in giro

 

Due righe sulla questione Taverna. Non ipotizzo complotti del PD, né demonizzo la signora Zammataro.

Posso però evidenziare due cose: la prima è che la sua presenza testimonia nel concreto come qualsiasi tentativo di connotare di Destra o di Sinistra la protesta, nata dal degrado di un territorio contro un’amministrazione che lo ha penalizzato nei servizi e che si è espresso nella maniera peggiore, è figlio di un’ignoranza concreta della realtà di Tor Sapienza.

I politici di ogni colore che cercano di metterci il cappello, non rappresentano i cittadini, ma cercano solo un poco di visibilità.

La questione, più seria, è sul fatto che politico sia diventato un insulto, una parola di cui vergognarsi. Sia la Taverna, senatrice della Repubblica, sia la Zammataro, candidata al V municipio con scarsa fortuna, se ricordo male prese sulle 250 preferenze e non fu eletta, sono, a livello diverso, politici.

Perchè entrambi rappresentano i cittadini e dovrebbero servire la comunità: vergognarsi di questo, è un veleno per la democrazia.

Come ben diceva Pericle

Riuniamo in noi la cura degli affari pubblici insieme a quella degli affari privati, e se anche ci dedichiamo ad altre attività, ugualmente non manca in noi la conoscenza degli affari pubblici. Siamo in soli, infatti, a considerare non soltanto ozioso, ma addirittura inutile chi non se ne interessa

Chi nega il ruolo della politica, tradisce il suo ruolo di cittadino, per ridursi a potenziale schiavo: il fatto che a Roma e in Italia la politica si sia ridotta alla gestione di clientele e al tutela di egoisti di ceto e di classe, non deve essere un alibi per la fuga, ma un incentivo a ridonarle dignità

I due razzismi di Tor Sapienza

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Cos’è il razzismo ? Il rifiuto dall’altro, su cui vengono proiettate le proprie paure e i propri pregiudizi, nato dall’ignoranza delle sue ragioni.

A Tor Sapienza si manifestano due razzismi: il primo, evidente, è quello degli abitanti della borgata nei confronti degli stranieri del Centro di Accoglienza, usati come ingiusto capro espiatorio di tante tensioni sociali.

Il secondo, più sottile, è quello dei tanti radical chic, romani e non solo, che per capire dove è quella borgata hanno bisogno del Pigneto come punto di riferimento, che demonizzano a priori gli abitanti della periferia, ignorandone tutto.

Danno loro dei fascisti: ma se studia un poco la storia, cosa troppo faticosa per chi passa le serate tra mercatini vintage e apericene, Tor Sapienza è sempre stata una delle roccaforti della Sinistra romana.

Fondata dall’antifascista Michele Testa, nelle ultimi elezioni comunali, ha votato in massa Marino che al primo turno prese il l primo turno ha preso il 47%, al secondo turno il 69%. (il PD prese il 30.2% Sel 7% Lista Civica Marino 8,5% numeri più elevati di quelli già impresionanti del V Municipio)

Pe cui, nonostante i vari Borghezio e Meloni, chi protesta tutto è, tranne simpatizzante dell’estrema destra: è il popolo della vecchia Sinistra,piena di nostalgia per Berlinguer e per le feste dell’Unità che si sente tradita e umiliata dai vertici del partito in cui credeva.

Sinistra che ingenuamente, perchè ignara del suo programma, ha votato in massa Marino, sperando che rappresentasse ciò in cui ha sempre creduto: più equità, più servizi per i più deboli, una maggiore tutela dai soprusi.

E che invece è stata tradita, trovandosi davanti, da parte dall’attuale giunta, una chiusura e un rifiuto inaspettato: è quasi impossibile e parlo per esperienza personale, far smuovere un assessore dalla sua poltrona, per farlo spostare oltre la Palmiro Togliatti.

Una giunta a misura di radical chic, prontamente integrati nel suo sistema di potere, ma ignara dei bisogni del popolo: ad esempio, si riempie la bocca di numeri e percentuali sulla raccolta differenziata (sempre minore di Milano), ma ignora che dalla Collatina in poi, se si è fortunati, si vede il furgone dell’Ama un paio di volte alla settimana.

O che ha diminuito spietatamente i servizi nelle periferie: per limitarci al trasporti pubblico il V e il VI municipio (rispettivamente ex VI/VII ed ex VIII) sono stati i più colpiti dai tagli delle linee ATAC.

Tagli che, in una sorta di neolingua orwelliana, sono stati spacciati come razionalizzazioni.

O che ignora lo scandalo infinito di Via Salviati

Quello che succede a Tor Sapienza è anche frutto di questa insensibilità per le periferie: è un grido di protesta, mal diretto, nei confronti di una classe dirigente tanto inetta quanto velleitaria.

E irriderlo, come fanno i radical chic, senza volere affrontare alla radice il problema, significa solamente gettare sale sulle ferite.

Marx, Tor Sapienza ed Esquilino

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Purtroppo ho un formazione vetero marxista: questo mi dona uno sguardo sulle cose disincantato sulle cose che molto definiscono cinico. Roma è sempre stata una città a forti diseguaglianze: la crisi economica non ha fatto che polarizzare queste differenze, creando “zone privilegiate” e “zone marginali”.

Nelle prime, il tessuto sociale non solo ha resistito alla crisi, ma ha addirittura sviluppato una capacità di organizzare forti gruppi di pressione, capaci di influenzare direttamente o indirettamente la politica comunale.

Nelle seconde, il tessuto sociale si è invece sfilacciato, rendendo difficile l’aggregazione e la possibilità di far percepire le proprie istanze al Potere.

Veltroni, Alemanno e soprattutto Marino hanno adottato una politica cinica: pur andando al potere con i voti delle zone marginali, nel governare si sono appoggiati alle zone privilegiate.

Queste hanno fatto la parte del leone nella ridistribuzione delle risorse, mentre alle marginali sono stati tagliati selveggiamente i servizi, scaricandovi al contempo tutte le potenziali fonti di conflitto sociale.

Un politica basata sul servilismo nei confronti dell’alta borghesia, del clientelismo nei confronti della piccola e sul disprezzo nei confronti del proletariato che Gramsci non avrebbe esitato a definire fascista.

Come risultato, se i privilegiati sono tenuti lontani dalle tensioni o le gestiscono tramite una flessibilità sociale, queste fioriscono nelle aree marginali: come avviene spesso nella storia, invece di scaricarsi sul Potere, queste tensioni colpiscono i più deboli, l’equivalente del sottoproletariato, perchè i penultimi sono convinti che gli ultimi possano essere un pericolo per quel tozzo di pane che guadagnano con fatica.

L’Esquilino, nonostante i continui piagnistei dei suoi abitanti, per una serie di motivi, dalla sua gentrificazione alla nascita di una borghesia cantonese, appartiene alle aree privilegiate: basti confrontare i fondi del Campidoglio destinati al rione con quelli a Tor Sapienza o i progetti per Piazza Vittorio rispetto a quelli di Piazza del Quarticciolo.

E come risolvere il problema alla radice ? Le reti antirazzismo e sceneggiate varie, appartenendo alla sovrastruttura, non incidono sulla struttura: al massimo servono a tacitare la cattiva coscienza dei privilegiati.

Per agire sulla struttura, è necessaria una nuova politica di equità sociale, con investimenti seri nelle aree marginali, nel tentativo di ricostruire un tessuto sociale: una politica che abbandonando biciclette e pande rosse raccolga l’eredità di Petroselli e di Vetere.

 

I fatti di Tor Sapienza

Stamattina mi arriva una mail da parte di mio amico americano, redattore in un
giornale nella profonda provincia degli USA: ci eravamo conosciuti anni fa, quando,
per motivi di studio, bazzicava Roma. Voleva una paginetta sugli eventi di Tor
Sapienza… All’inizio ho declinato; al di fuori dell’ambito tecnico, il mio inglese è
mediocre… Poi, con massima sincerità, benchè da ragazzo bazzicassi Tor Sapienza,
vi ho trascorso tanti bei capodanni, è più un decenni che non la frequento e potrei
rischiare di confondere il Passato con il Presente. E il mio sguardo è viziato
dall’esperienza dell’Esquilino, esperimento riuscito, tra contraddizioni e difficoltà, di
convivenza tra infinite e diverse culture.

Ma stasera, per caso, ho letto il solito post dell’intellettuale con la puzza sotto al
naso, pronto a definire le persone che vivono, lottano e sognano in periferia come
un’orda di trogloditi, pronti a odiare chiunque sia diverso da loro o pronunci erre,
invece che “ere”.

E allora non ci ho visto più, perchè non sopporto di chi apre la bocca e ci mette
fiato. Gli eventi di Tor Sapienza sono qualcosa di più di una manifestazione di
razzismo: sono il culmine di una crisi, sociale e culturale, che si trascina da anni.

Come conseguenza delle politiche finanziare volute dagli ultimi governi, di destra o
di presunta sinistra, gli abitanti delle periferie si sono impoveriti: nell’ultimo
decennio il reddito medio è calato del 21% a fronte di un aumento della
disoccupazione che a seconda delle fonti statistiche varia dal 13% al 18%.

Ciò ha creato un progressivo collasso del tessuto sociale, peggiorato dal radicale
taglio dei servizi voluto dalle amministrazioni capitoline e in questo la classista
giunta Marino, che carezza il pelo ai salotti buoni, dimenticandosi degli ultimi, ha
gravissime responsabilità: chi abita in periferia si sente ormai un cittadino di serie B.

A questo si aggiunge il problema dell’ordine pubblico: la percezione che la polizia
sia impotente contro i piccoli delinquenti e che la legge tutto faccia, tranne che
tutelare gli onesti.

Frustrazione e paura generano rabbia e come in un romanzo cyberpunk la
sostituzione dello Stato con tante consorterie di cittadini, convinte che debbano e
possano risolvere i problemi da sole.

Una miscela esplosiva che basta poco ad accendere, scatenando un incendio che
brucia i più deboli e i meno integrati.

Che fare ? Qualcosa di più, della solita pantomima antirazzista, che lascia il tempo
che trova… Per prima cosa è necessario fare uno sforzo per riaffermare la presenza
dello Stato, non solo garantendo l’ordine pubblico, ma anche rilanciando servizi
sociali e culturali.

E a Roma, la Sinistra deve tornare a fare la Sinistra, smettendo di essera la domestica
dei radical chic e rimettendo il margine della città al centro della sua azione.

I motivi del successo di AmArte

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Sono passati diversi giorni da AmArte; con pazienza, si stanno realizzando gli step successivi del progetto dal supporto all’attività degli artisti alla creazione di una rete di creatività diffusa.

Giorni in cui si è parlato delle aree di miglioramento, quelle ci sono sempre e dei punti di forza, che hanno permesso un grande e inaspettato successo di pubblico e hanno tacitato tutte le critiche, anche strumentali, che sono state fatte.

Ed è interessante capire come si siano ottenuti tali risultati: chiarezza di obiettivi e compiti, collaborazione con le istituzioni (e ancora un grazie al presidente del V Municipio Palmieri, all’assessore alla Cultura e alla consigliera Mariangela Saliola) e un team affiatato, basato sulla fiducia e dove tutti hanno collaborato.

Principi che dovrebbero essere d’esempio, in un mondo dell’arte dove molti si credono prime donne, pieno di millantatori, dove abbondano i colpi bassi e dove lavorare per il bene comune, per idealismo e passione, è troppe volte deriso.

Per cui, grazie ancora a coloro che hanno collaborato al primo passo di un grande viaggio

Navi Grigie come metafora dell’Esquilino

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Se dovessi definire a bruciapelo Navi Grigie, forse lo chiamerei “Metafora dell’Esquilino”. Non un rione meticcio, gran brutta parola, che rievoca i concetti di purezza di sangue e che, usata contro il razzismo, paradossalmente lo giustifica, ma spazio, anche culturale, di confronto, scontro e fusione tra culture differenti.

Lo è stato alla nascita di Roma, quando era abitato da tribù con riti e corredi funerari ben diversi da quelli dei villaggi sul Palatino.

Ai tempi di Mecenate, in cui buona parte degli abitanti delle insule era di origine greca,egiziana o siriaca. Nei giorni della fine dell’Impero Romano, in cui il rione era popolato da goti ed eruli, che facevano venire il mal di testa al vescovo di Roma con la loro fede nell’arianesimo.

O subito dopo l’Unità d’Italia, con l’immigrazione piemontese: la maggior parte degli abitanti di Piazza Vittorio che si vantano di essere romani da generazioni, hanno i trisnonni di Asti e di Cuneo…

E in parallelo a questa contrapposizione culturale, vi è anche stata anche una sociale: è un luogo dove ricchi e poveri, imperatori e plebei, nobili e prostitute hanno sempre vissuto gomito a gomito.

In un ambiente del genere, il concetto di alieno non è un qualcosa di astratto, ma una realtà concreta: ogni giorno ti abitui a imparare dal diverso, a comprenderlo, ad apprezzarlo o qualche volta a sopportarlo.

In questo spazio condiviso, le culture non rimangono chiuse in compartimenti stagni, ma dialogano e lottano per creare un qualcosa di nuovo e più ampio rispetto alle proprie radici.

Navi Grigie è questo: la narrazione di una scoperta e di un cambiamento, anche contraddittorio, ma che se non avviene, ci condanna a sfumare in un apatico grigiore

La Voce dell’Ossido

Approfittando di un attimo di pausa in queste convulse giornate, se hanno ragione gli indù, visto il karma che mi sta toccando, nella scorsa vita ero il cugino cattivo di Gengis Khan, ne approfitto per terminare la pubblicazione del mio brano teatrale la Voce dell’Ossido, magistralmente interpretato dalla Centoducati e rappresentato nelle visionari dipinti di Lunghini

Devo tenere a bada la mia boccaccia. Avrei evitato di stare a mezz’aria, al freddo e al vento. Non ho paura della morte. Da quando hanno scoperto la tisi, mi sto abituando all’idea di andarmene. Il problema è come: un conto tra i sogni indotti dall’oppio e dalla morfina, un conto bruciato vivo, per delle fisime ideologiche che neppure condivido. La rivoluzione non è un pranzo di gala e non si può fare una frittata senza rompere le uova… Va bene tutto, però non capisco perché i gusci debbano essere i miei. Il piano di Zerlina è semplice:  nello sgabuzzino della sala da ballo, tra tante cianfrusaglie, che paiono saltate fuori dal ballo Excelsior, vi era una chiave universale. Con un poco di fatica, grazie ai muscoli dei due toscani, l’abbiamo usata per aprire una porta di emergenza, per accedere a una passerella di servizio che sbuca  nella stanza del marconista. Con un poco di fortuna, non dovrebbe esserci nessuno; secondo Zerlina, per evitare che il fluido elettrico appiccasse fuoco all’idrogeno, è isolata rispetto al ponte comando. Qualcuno mi tocca la schiena. Sobbalzo, gridando.

“Nervoso, professore ?”

“Zerlina era sovrappensiero… Attenta a dove poggia i piedi”.

“Non si preoccupi … Per motivi di servizio, l’ho percorsa cento volte… Che ha, perché è impallidito ? Eppure poco fa si è vantato di non soffrire di vertigini !”

“C’è un mostriciattolo calvo sulla gondola che mi sta facendo boccacce ! Lei non lo vede ?”

“Ah, il mazzamurello… Anche un mio vecchio amico era convinto di vederlo… Professore, faccia come me: lo ignori… Tanto, più di insultarla non può fare “.

“Ma è impossibile ! Non esistono folletti !”

“Perché è normale che esista il fluido elettrico o i computatori ? Professore, come diceva il buon Amleto,

Ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, che non sogni la tua filosofia.

Dobbiamo accettarlo, altrimenti usciremmo pazzi e sperare che si limitino a farci boccacce”

Ho l’impressione che il suo sguardo sia velato di tristezza…  Si ferma davanti a una paratia. Le passo la chiave

“Serve una mano, Zerlina?”

“No, Professore, dall’esterno si apre senza troppa fatica”

A me pare il contrario. Mi affianco a lei, dandole una mano nel tirare le maniglie. Dopo una lunga battaglia e parecchi colpi di tosse da parte mia ci riusciamo.

“Zerlina, fortuna che si apriva…”

“Quella bestia di Masetto il motorista… Pensasse meno a giocare a dadi e più alla manutenzione dell’aeronave”

Scivoliamo con facilità nell’ufficio del marconista; una volta sarei rimasto incastrato nell’apertura. Ho perso venti chili. A volte la malattia dona vantaggi imprevisti. Ci avviciniamo alla radio.

“Zerlina, sa usarla ?”

“Fa parte dell’addestramento base”

Alla parete vi è una rastrelliera per fucili, su cui è appoggiata una Conti mod 0.5; ne carezzo il calcio in ebano, decorato con l’aquila a scacchi, e le due canne in Nichel.

“Che diavolo…”

“Ah, ecco dove l’aveva messa il capitano Bartolozzi… Gliela aveva regalata il principe Conti, non so bene in quale occasione… Quel citrullo diceva sempre di averla persa”

“Zerlina, ci sono le munizioni in giro”

“Credo di no, mica è un’armeria questa…”

Mi avvento sullo scrittoio, aprendo tutti i cassetti. Trovo un paio di manette, un frustino, biancheria intima degna dei bordelli di via Panisperna. Con la coda dell’occhio, mi accorgo del sorrisino di Zerlina. Quando sto per perdere la speranza, trovo una scatola, piena di munizioni 9 mm della Ghislenti. E’ roba del Lombardo Veneto, non il massimo, ma me la farò bastare. In fretta e furia, riempio il caricatore.

“Zerlina, preghi per me”

Lei sospira, scuotendo la testa

“Professore, si calmi. Non è tempo di eroi, questo… Termini di mandare il messaggio in codice morse e ce ne ritorniamo buoni buoni nel salone da ballo… Si organizzeranno a Roma, per salvarci. Lasci fare le cose agli esperti”,

“Aiutati che Dio ti aiuta, dice il proverbio”

Zerlina allarga le braccia, guardando il soffitto.

“Ma almeno la sa usare ? Non è che quell’accrocco le possa esplodere in faccia…”

“Usavo il vecchio modello, nella legione straniera, giù in Algeria”.

La ragazza socchiude gli occhi..

“E’ una balla vero ? Non ce la so vedere, con il kepì blanc…”

Sullo scrittoio, c’è una bottiglia di calvados. La dimezzo, bevendo a canna.

“Da ragazzo, ero un unionista…”

“Capita a tutti, professore. E’ una malattia adolescenziale, come il morbillo per i bambini…”

“La mia baracca carbonara voleva sabotare uno degli altoforni di Mongiana, per protesta contro non so quale decisione borbonica. Andò tutto storto: morirono quattro poveri cristi. Non me lo sono mai perdonato. I miei mi fecero espatriare in Corsica, dove mi arruolai, per cercare la bella morte e l’espiazione.”

“E vuole trovarla proprio ora ?”

“No, Zerlina, alla fine si fa pace con se stessi. Voglio solo liberare il mondo da qualche idiota”

Sbuffa, mentre digita con nervosismo punti e linee.

“Mi raccomando, professore, stia attento che non è roba per lei…”

Avanzo per il corridoio, a passi leggeri, respirando il meno possibile.  Le scale per salire sul ponte di comando cigolano, ma nessuno sembra farci caso. La fortuna aiuta gli audaci o gli sciocchi. Sento delle voci. Mi infilo di corsa in una cabina, dove trovo tre membri dell’equipaggio, legati e imbavagliati. Riconosco un mozzo che non mi infastidiva mai con la richiesta di mance.  Libero lui.

“Aho, ma chi sei, Fantomas ?”

“Dove sono gli anarchici ?”

“Nell’appartamento de Bartolozzi, alla fine del primo corridoio a sinistra”

“Libera gli altri che a quei Robur in sedicesimo ci penso io”.

Il mozzo si carezza i polsi, poi mi scruta.

“Come te va…”

Mi avvicino all’appartamento di Bartolozzi. Da fuori sento russare. Do un calcio alla porta, mi fiondo dentro e sparo come non ci fosse domani. Farfuglio qualcosa, ma il crepitio dei colpi nasconde la mia voce. Terminano i colpi. A occhio dovrei aver fatto una strage. Da dietro una colonna, però, sbuca un bestione, dalla barba nera e incolta. Zoppica, per un colpo di striscio. Ha in mano un coltello. E’ pronto a sgozzarmi. Ho tentato… Spero non sia doloroso. Un colpo di pistola colpisce il mio assalitore in piena fronte. Mi giro, trovandomi davanti Zerlina. Mi fa l’occhiolino…

“Come le dicevo, certe cose le debbono fare i professionisti…”

Nella notte si sente il canto di un ubriaco…