
Mercoledì sera ho partecipato a una conferenza su Massimiliano Savelli, marchese di Palombara, famoso o famigerato, come committente della Porta Magica di Piazza Vittorio.
Personaggio poco conosciuto, sottovalutato, spesso ridotto a una macchietta, che invece con la sua vita e con le sue opere testimonia le contraddizioni del suo tempo.
Personaggio affascinante che sarà uno dei personaggi del mio romanzo dedicato all’Impero Connettivo
Massimiliano apparteneva a un ramo cadetto della famiglia Savelli, tra le più nobili di Roma, i proprietari del Palazzo costruito dal Peruzzi sul Teatro Marcello, e che aveva avuto come antenati forse 5 papa (2 certi e 3 millantati) e numerosi capitani di ventura e che svolgeva il ruolo di Maresciallo della Chiesa, ossia custodi delle chiavi del Conclave.
Nacque a a Roma il 14 dicembre 1614 da Oddo V marchese di Pietraforte e da Laura Ceuli. Il padre, che comprò dagli Sforza Cesarini il terreno che poi diventerà Villa Palombara, forse alchimista, era uno degli esponenti dell’Accademia degli Umoristi, l’antenata dell’Arcadia; poeta, all’epoca ritenuto valente, era grande amico sia di Giovanni Battista Marino, sia di Pietro della Valle.
Il che può essere indicativo dell’ambiente culturale in cui crebbe Massimiliano: però, le prime testimonianze della sua vita hanno tutt’altro a che vedere con poesia ed alchimia.
Nel 1646, si trova coinvolto in uno scandalo, assieme all’ambasciatore di Francia: un loro protetto, attore e impresario di commedie dell’arte, come Caravaggio, pugnalò un protettore di prostitute nei pressi di Palazzo Fiano, tra i fornici dell’arco di Portogallo
Massimiliano lo aiutò a fuggire: per il fatto che il protettore non ci rimise le penne, la giustizia pontifica chiuse un occhio.
Nel 1648, il marchese fu coinvolto nel tentativo di Enrico II di Lorena di crearsi un regno a Napoli, fungendo di fatto da agente segreto per il Duca di Guisa: falsificò gli ordini del Mazzarino, in modo che le truppe francesi di stanza in Abruzzo muovessero verso Napoli, per liberarla dall’assedio di Don Govanni d’Austria.
Però i francesi se ne accorsero e lo cacciarono in malo modo,Tornando a Roma, fu catturato nella località di Borghetto dal brigante Giulio Pezzola, capitano degli spagnoli, che lo tenne «in cattivissima prigione e lo fece maltrattare» ; poi, ottenuto il riscatto, lo trasferì nel Castello dell’Aquila, da dove, quasi incredibilmente, riuscì a fuggire chi dce travestito da donna, di chi da prete, chi da bravo.
Tornato a Roma, nel 1651, gli venne il ghiribizzo di farsi nominare Conservatore, brigando nel complesso meccanismo di votazioni e sorteggio che serviva per ottenere la nomina: in pratica gestiva la complessa burocrazia capitolina e i feudi del popolo romano, presiedea il tribunale cittadino, sia amministrativo, sia civile, sia penale e provvedeva manutenzione delle mura dei ponti e delle strade della città e sulla conservazione dei monumenti pubblici, reperendone i relativi fondi.
Finito il suo mandato, nel 1654 partecipò al secondo tentativo di Enrico II di conquistare il regno di Napoli: Massimiliano arruolò un piccolo esercito, con cui si dedicò al saccheggio degli Abruzzi. E di fatto fuè l’unico a guadagnarci nell’impresa: pur di toglierselo dalle scatole, gli spagnoli lo coprirono d’oro
Nel 1655 entrò in contatto con Cristina di Svezia, per il suo solito motivo… Anche lei brigava con il Mazzarino per diventera regina di Napoli… Con quell’incontrò, la vita di Massimiliano cambiò totalmente, trasformandosi da avventuriero degno dei romanzi di Dumas a raffinato intellettuale.
Divenne amico e protettore di musicisti, come Scarlatti e Corelli; poeta, astronomo, protettore di Cassini, l’astronomo a cui è stata dedicata la sonda, che compì numerose osservazioni a Villa Palombara, matematico, amico di Stefano degli Angeli e praticante del metodo degli infinitesimi, ingegnere forse, alchimista, grazie all’incontro con quell’Emmett Brown del Seicente che era Athanasius Kircher
E come ogni intellettuale romano dell’epoca, fu costretto alla dissimulazione onesta: onorare la verità ufficiale, imposta dalla Chiesa e dai Gesuiti, per vivere in tranquillità,e in privato seguire le proprie convinzioni, per creare la propria oasi di libertà
Questo non vale solo per la Scienza, ma anche per l’Alchimia che era la mania della Roma bene dell’epoca: alchimia che secondo i gesuiti, doveva testimoniare la potenza creatrice di Dio.
Massimiliano Palombara, invece, era un rosacrociano, altro termine spesso frainteso: il loro messaggio, spesso frainteso, depurato di tutte le connotazioni mistiche ereditate dal 1500, era tanto semplice quanto pericoloso.
Le istituzioni politiche e religiose europee avevano fallito, visto che ci scannava senza ritegno: per ricostruire la pace e l’armonia queste dovevano essere messe da parte e sostituite da un governo di saggi ed eruditi, una sorta di tecnocrazia.
Inoltre la Scienza e l’Alchimia non dovevano essere finalizzati a un’astratta ricerca del Vero, ma a migliorare concretamente la vita quotidiana.
Tesi assai pericolose, nella Roma papalina, per cui Massimiliano Palombara, nella sua opera poetica, la Bugia, doveva affermare di aver sentito solo parlare dei Rosacroce, senza condividerne le idee politiche e religiose.
Invece, nella pratica, poteva decorare la cosiddetta Porta Alchemica con i loro simboli, creando, come bene spiega bene il professore Lucarini nel suo saggio, una sintesi barocca, basata sul dialogo tra immagini e giochi di parole, della conoscenza metallurgica dell’epoca e con il motto SI SEDES NON IS
Se siedi (se non ti rimetti in discussione sperimentando) non vai (procedi nella conoscenza)
l’analogo seicentesco del Sapere Aude di Kant…