Raccontare i Super Eroi a Roma

Eroi

Come preannunciato, butto giù le mie righe a commento di Lo Chiamavano Jeeg Robot: dato che sono logorroico e narcisista, la prenderò da lontano e, ovviamente, parlerò di me stesso.

Un mio caro amico, ad ogni presentazione di un suo libro di racconti, ripete sempre come un mantra, la battuta che i super eroi non siano null’altro che il furto compiuto dagli americani degli eroi della mitologia classica.

Battuta superficiale e parzialmente vera: le figure dell’eroe salvifico, del vendicatore, dell’astuto sono comuni a tutte le culture. Forse, Siegel e Shuster, nel creare Kal-El, si sono ispirati più alla storia e alla tradizione ebraica che alla figura di Ercole.

A mio avviso, il fumetto super eroico è forse una delle trascrizioni moderne degli archetipi mitologici: mito che, come diceva Malinowski,

non è una spiegazione che soddisfi un interesse scientifico, ma la resurrezione in forma di narrazione di una realtà primigenia, che viene raccontata per soddisfare profondi bisogni religiosi, esigenze morali, esso esprime, stimola e codifica la credenza; salvaguarda e rafforza la moralità; garantisce l’efficienza del rito e contiene regole pratiche per la condotta dell’uomo. Il mito è dunque un ingrediente vitale della civiltà umana; non favola inutile, ma forza attiva costruita nel tempo

Ossia una rappresentazione simbolica e sintetica del Reale, basata su archetipi. Concetto espresso dal buon Saturnino, in frase di bellezza assoluta

Poiché il mondo stesso lo si può chiamare mito, in quanto corpi e cose vi appaiono, mentre le anime e gli spiriti vi si nascondono

Per cui, raccontare di supereroi in Italia, cosa fattibilissima, è qualcosa di diverso dal prendere una storia di Batman, cambiare il nome del protagonista e piazzarlo all’Eur, invece che a Gotham. Si può fare, ma dopo una decina di pagine non strappa che sbadigli, perchè sa di artificioso, di già visto e stantio.

Scrivere di super-eroi in Italia è tornare alle radici del mito e riscriverle secondo le infinite sensibilità del nostro quotidiano.

Faccio un esempio: in Fulmine Tiburtino, pubblicato da Edizioni Scudo, non ho fatto nient’altro che riprendere il mito del principe nascosto, specchio della paura di diventare grandi e di prendersi le responsabilità della vita, e lo rivisto tramite l’ottica della provincia italiana e i moduli narrativi dei film di Bud Spencer e Terence Hill.

In Lo chiamavano Jeeg Robot Mainetti, con una qualità di gran lunga superiore, fa qualcosa di simile: prende le idee archetipe del potere che dona responsabilità e del sacrificio che dona redenzione, le stesse dell’Uomo Ragno per capirsi e le declina nell’ottica della Roma periferica e crepuscolare, secondo i dettami stilistici del poliziesco anni Settanta.

E proprio questo, l’aver identificato le radici che accomunano i personaggi del suo film allo spettatore, creare l’empatia, la capacità di parlare al cuore, cosa che manca in tanti fracassoni film made in Usa.

Filippo e Jeeg Robot

Lo-chiamavano-Jeeg-Robot

In attesa di buttar giù qualche considerazione su Lo chiamavano Jeeg Robot, do visibilità a quanto scritto dal mio amico Filippo, anche per premiare quella che lui chiama la sua più grande fatica letteraria dal tema della Maturità

Ieri per una “fortunata combinazione di eventi” con gli amici ho visto prima Deadpool e subito dopo Lo chiamavano Jeeg Robot. I film sono straordinariamente simili nelle idee ispiratrici, con una visione fuori dalle righe, sarcastica e amara del mondo in cui viviamo, addirittura con uno sviluppo simile, i personaggi che si trovano loro malgrado coi superpoteri e una donna come catalizzatore che da motivazione e senso, a superpoteri e vita intorno.

Io spero che verrà fuori qualche articolo più serio ad analizzare sta coppia di film, però intanto un paio di cose mi piace dirle, cerco di non spoilerare, vi consiglio di vederli.
Come quando Oscar Wilde dice

“date una maschera ad un uomo e quello vi dirà la verità”,

così dietro le due maschere ci sta il modo in cui noi e gli yankee ci vediamo. Dico noi, non i registi, perché questi due film hanno/avranno successo, questo succede quando il pubblico li accetta e li condivide.

Dunque. Visioni terribili della realtà: terribili perché senza senso. Nella scuola (simbolicamente restata vuota) degli X-Men, c’è un Colossus-Kung Fu Panda che fa la morale raffinata che è sparata a bruciapelo non meno del nemico da risparmiare…. ma da risparmiare a chi?

Questi smontano una portaerei alla periferia della metropoli (??) e manco l’ombra di una sirena, nessuna tela di ragno a consegnare i malviventi ad uno Stato che semplicemente NON C’E’. Ripartendo dallo Stato, a Roma scene da Vecchio West al Lungotevere Castello e manco una sirena? di più ancora, geniale la scena in cui è la polizia che innesca il guaio che poi… beh, non lo anticipo.

Dopo il mondo, gli eroi, anche qui scelta perfetta: l’americano ha avuto qualche problemino con l’essere americano, ex-forze speciali, non certamente un eroe (come è giusto, infatti l’ultimo “eroe” in Afganistan / Iraq in un film americano era un cecchino), il nostro un piccolo malvivente che vive “mangiandosi” l’Italia, o quello che resta, dei barattoli di crema alla vaniglia.

I due eroi non capiscono cosa sia il loro dono, non capiscono perché dovrebbe essere “fonte di grandi responsabilità” , non perché sono meno dotati o “buoni” di Peter Parker, perché proprio non c’è un mondo verso cui orientare queste responsabilità. Zia May vecchia e cieca è rintanata in un sottoscala; la popolazione di Roma non parla, fa solo video coi cellulari (geniale, geniale…).

Dopo mondo ed eroi, le fanciulle. Come ci ha abituato il cinema di oggi ne trovi in entrambi gli schieramenti, tra i buoni e tra i cattivi, Purtroppo la controparte femminile è Jane di Tarzan, niente di più. Calza benissimo con la funzione (grande Ilenia Pastorelli), ma pure troppo, in entrambi i casi.

Sui cattivi una nota di colore. L’unica cosa che si discosta dalla coerenza generale, in entrambi i film, è la bellezza dello “Zingaro”, personalmente credo una concessione al genere manga, Romanzo Criminale non c’entra niente.

Ma ora basta, che ci siamo stancati tutti, chiudo il temino con la differenza maggiore tra i due film. Nonostante lo splatter di entrambi i film, quello yankee fa schifo in una cosa che quello italiano non si permette di fare. Nel “nostro mondo” le persone muoiono davvero, in quello americano c’è tanto, tantissimo rumore e sangue intorno al fatto che dopo un anno e i supplizi dell’inferno un tipo alto due metri che beve solo diet whiskey si vergogna di far vedere la sua faccia al culoDaFavola – testiDaCommediaBrillante – amoreDellaSuaVita, solo perché ha un po meno capelli di me.

Il maestro dell’ucronia italiana: intervista a Giampietro Stocco

Uno dei maestri dell’Ucronia in Italia

KippleBlog

12769537_782002031943214_1671599940_nCiao Giampietro, è un piacere e un onore averti per la prima volta ospite qui sulle pagine virtuali di Kipple Officina Libraria. Oggi parleremo principalmente di Ucronia e fantascienza in Italia. Ma prima di tutto ti andrebbe di parlarci del tuo percorso di autore dalle origini a oggi?

Nasco come autore con Nero Italiano. Un romanzo che ha avuto una gestazione lunga – è stato scritto dal 1996 al 1997 ed è rimasto nel famoso cassetto ad aspettare le tarme fino al 2002-2003, anno in cui l’editore Marco Frilli di Genova si appassionò a questa storia e la diede alle stampe con una curiosa copertina nera che rompeva con il cliché giallo della collana poliziesca da loro inaugurata. Lo definì, Frilli, un “noir”, e fu tra i primi esempi di fantastico italiano etichettato in modo, per così dire, improprio, per sottrarlo a una nicchia, quella fantascientifica, che altrimenti si pensava…

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Bene Comune

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In questi giorni, sui giornali romani si è tanto parlato di Affittopoli: premesso che nell’inchiesta sono saltati fuori dei casi veramente scandalosi, però, in alcuni casi, specie nell’ambito delle sedi di associazioni culturali e sociali, si è fatto troppo qualunquismo e demagogia.

Per dimostrarlo, mi limito a citare un esempio concreto: un annetto fa, il Comune di Roma emise un bando dedicato alla locazione di locali di sua proprietà, destinati ad attività culturali.

Dato che all’Esquilino era emersa, ed è sempre presente, la necessità di una casa comune e condovisa per le numerose associazioni della zona, mi interessai al bando.

In particolare, ero interessato al lotto 1

Denominazione: Locale via Cattaneo
Localizzazione: accesso da via Cattaneo 22/B Municipio I
Superficie: mq 67.
Identificazione catastale: foglio 482 part.89 sub.1

Locale abbandonato da anni e che Il Tempo ha erroneamente attribuito ad Amnesty International, ennesima riprova della scarsa volontà del giornalismo romano a dedicarsi a verifiche sul campo.

Il canone di concessione mensile a mq era di 15,09, il che avrebbe portato a un totale di 1011,03 euro, inferiore al prezzo di mercato del rione.

Nel bando però era evidenziato

Il canone di concessione dei singoli Lotti proposti dal bando verrà computato sulla base del DPR n.138 del 1998, applicando i valori OMI concernenti l’area di localizzazione, con abbattimento dell’80% per le attività senza scopo di lucro e di rilievo culturale e sociale, qualora riconosciuto da Roma Capitale preventivamente alla stipula del contratto. Non è comunque possibile accordare tale riduzione ad Enti, Associazioni o altri soggetti giuridici che già usufruiscano di contributi annuali da parte di Roma Capitale.

Per cui, a valle di un valido progetto culturale, il canone mensile si sarebbe ridotto a 202 euro. In più, sempre citando dal bando

Su richiesta dell’assegnatario può inoltre essere accordato il canone di autorecupero qualora la concessione riguardi immobili in stato di particolare degrado, previo impegno ad eseguire, a propria cura e spese, i lavori di manutenzione straordinaria necessari per l’uso contrattualmente stabilito e previa valutazione della congruità delle opere e autorizzazione da parte dei competenti uffici di Roma Capitale che provvederanno alla successiva verifica dell’esecuzione.

I lavori di manutenzione straordinaria era assai limitati… Per cui alla fine, dalle stime che erano state fatte, il canone mensile sarebbe stato di 190 euro.

Per una serie di motivi, legati alle caratteristiche dello spazio, che lo rendevano poco adatto allo scopo che avevamo in mente, non abbiamo partecipato: ringrazio Dio di non averlo fatto, perchè senza imbrogliare, rispettando solo i termini del bando, mi sarei trovato esposto sui giornali a pubblico ludibrio.

Personalmente, conosco diverse associazioni culturali che si sono trovate messe alla gogna, con i giornalisti che si sono dimenticati di specificare che nel canone ridotto erano ammortizzati i costi di manutenzione straordinaria, che sarebbero altrimenti rimasti sulle spalle del Comune, che avrebbe avuto un alibi per non eseguire mai i lavori o si sono caricati il pagamento di debiti pregressi dei precedenti assegnatari del locale, le cui rate si vanno a sommare a quanto pagato, pur non apparendo queste cifre nelle tabelle dei giornali.

Ora, pur condividendo l’idea che il Campidoglio sia incapace di gestire il proprio patrimonio immobiliare e che ci sia nel calderone anche una grande percentuale di furbacchioni, rimane il fatto che molte delle associazioni culturali citate in Affittopoli erogano servizi che il Welfare non è capace di dare.

Per cui, è lecito che il Il Tempo e il Commissario Tronca abbiano in mente un modello Roma in cui negli spazi comunali ci siano più supermercati e meno ambulatori per malattie rare e per i barboni, però è altrettanto lecito non essere d’accordo.

E forse la vera rivoluzione di Roma è nel definire una nuova politica, più trasparente ed efficace, di gestione condivisa del bene comune, simile a quella sperimentata nell’Esquilino nella scuola Di Donato o presso Il Cielo Sopra L’Esquilino.

Technology, Social Change, and Future Scenarios

Molto interessante

Reimagining the Future

If we are to Think about the Future in a way that helps us thrive in that future, we must excel at connecting dots. I developed the Future Scenarios visual in an attempt to help visualize the dots, as well as the various intersections that amplify the impact of those dots. In parallel with this scenario view, I have looked at various aspects of social change that both influence and impact these scenarios – and vice versa – but until now, those views were separate. Convergence is occurring not just across the technology and future scenario curves, but also the various aspects of social change. So in the interest of maximizing future thinking impact, I have combined the two views and will describe a connecting the dots scenario. First, the new future scenario visual:

Social Change and the Curves

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Eco raccontato a Li er Barista

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Non avrei voluto scrivere nulla su Umberto Eco, visti tutti i coccodrilli di queste ore, ma date le minacce di Li er Barista, che in caso di mio silenzio, avrebbe applicato l’embargo su caffè e cornetto, sono costretto di malavoglia a buttare giù due righe.

Eco ha vissuto, nella seconda metà del Novecento, tutte le contraddizioni dell’intellettuale italiano, che per campare deve essere organico al Potere o a porzioni di questo, ma al contempo, per acquisire una certa presentabilità pubblica, deve atteggiarsi a contestatore e rivoluzionario.

Eco, da questo punto di vista, era un arcitaliano, rivoluzionario da salotto borghese, ma questa bipolarità, tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, in lui si è tradotto in un’esplosione di idee e di riflessioni.

Rare boiate, le tesi sull’Ur-Fascismo sono di sconcertante pochezza intellettuale e storiografica, qualche banalità e rimurginazione di pensieri altrui sui media e sulla cultura pop, però sempre utili per scuotere il nostro provincialismo e tante idee geniali.

La cosa che mi ha più sorpreso è che dinanzi alla realizzazione pratica di quanto aveva profetizzato negli anni Settanta, la società liquida e postmoderna è concretizzata in Facebook, invece di esserne fiero, come un apprendista stregone si è allontanato spaventato: mi fa temere che il sottoscritto, tra una cinquantina d’anni, dinanzi alla realizzazione pratica dell’ambizione transumanista possa esserne scandalizzato.

Come scrittore, è stato un grande scrittore di genere, per me un complimento, non un offesa, capace di alternare ottime cose ad altre non dico mediocri, ma di media levatura.

Però, ha avuto, almeno in Italia, un ruolo storico fondamentale: ha preso tutte le sperimentazioni e gli arzigogoli del post-moderno e li ha travasati nel romanzo popolare, rendendoli digeribili per il grande pubblico.

Di fatto, molti degli scrittori di genere italiani non fanno che portare avsnti, in forme più edulcatorate e superficiali, alcune delle sue elubrazioni narrative

Orwell 2016

Big-Bro

Pubblico l’intervento che dovrei fare questa sera ad Orwell 2016, ma che purtroppo sono impossibilitato a fare di persona

Buonasera a tutti, per prima cosa, voglio scusarmi per non essere presente di persona,
ma per cause di forza maggiore, non posso essere presente a questa veglia funebre…
No, non sono impazzito… Da buon marxista, parola che in Italia pare essere diventata
meritevole di vergogna, ritengo come lo Stato e Società siano una sovrastruttura
dell’Economia.

In particolare, sostengo come lo Stato Totalitario, sia frutto di particolari condizioni, un
trapasso traumatico e veloce tra economia agricola e industriale, incapace di creare una
borghesia consapevole ed efficace nella gestione della Res Publica, cosa che sospetto
manchi ancora in Italia, capaci di verificarsi solo in un dato periodo storico.

Orwell e gli altri distopisti, non hanno fatto nulla di più che portare all’eccesso, quasi a
renderlo un’idea platonica, lo Stato Totalitario: il fatto che appartenga al Passato, rende
inattuale l’essenza stessa del loro discorso.

Noi infatti, viviamo nell’idea del post: del post industriale, all’economia del concreto si
sostituisce quella del virtuale, pensiamo ad Uber, che rischia di essere la più grande
compagnia di taxi, senza possedere neppure un’automobile, ma soltanto lo strumento
di condivisione delle informazioni, della domanda e dell’offerta

Del Post Lavoro, con la progressiva sostituzione dell’Uomo con robot e IA, che
costringerà a ridefinire il nostro ruolo nella società e il concetto stesso di economia.

Del Post Moderno, che paradossalmente, e qui rendo omaggio al buon Eco, che ci ha
appena lasciato, sta spaventando con la pervasività della cultura pop, proprio chi
l’aveva teorizzato.

E del Post Umano, della Singolarità, che cambia il nostro modo di vedere noi stessi e il
Reale.

Una condizione totalmente diversa da quella vissuta da Orwell, con il suo duellare con il
Nazifascismo e lo Stalinismo: persino quello che sembra apparentemente il loro erede,
l’Islamismo fondamentalista, è in realtà ben diverso, per la dimensione trascendente,
invece che immanente dell’Ideologia e per essere condizionato da quella che Severino
definiva la dimensione nichilista della Teknè, unita con una tensione apocalittica e
millenaristica.

Persino le similitudini, tra mondo attuale e quello descritto da 1984, sono più apparenti
che reali: un’ala di un uccello può somigliare a quella di un pipistrello, ma di fatto sono
cose profondamente differenti.

Pensiamo all’idea del controllo pervasivo…. Permettemi, ahimè, un esempio da
ingegnere: forse non lo sapete, ma la maggior parte delle catene di abbigliamento o dei
supermercati, ha come access point wi-fi una particolare tecnologia, non faccio il nome
per non pubblicizzarla, che non solo traccia le informazioni quando si naviga, ma
sfruttando i pacchetti di keep alive emessi dai vostri smartphone, possono raccogliere
le informazioni non solo su quanto state nel negozio, ma su quanto sostate davanti a
uno scaffale con un determinato prodotto… E tutto ciò, viene utilizzato per fare
previsioni sui possibili acquisti, tramite Big Data.

Ha avuto quindi ragione Orwell ? In realtà no: trascurando il fatto che ogni algoritmo
usato nei Big Data, compreso quelli centrati sulle reti neurali o sulle reti baynesiane, non
fanno che proiettare sui dati grezzi pregiudizi, errori e paturnie dell’analista e del
committente, che non è detto che coincidano con la Realtà, vi è il problema che si
scontrano con la tendenza umana a mentire, in maniera più o meno consapevole…

Io posso fingere di essere interessato a un maglione blu, non perchè voglio comprarlo,
ma perchè semplicemente da quella posizione posso godere del bel fondoschiena di
una commessa…

E questo errore sistematico, non ci va vivere in un mondo di controlli stringenti, ma di
previsioni approssimate.

Lo stesso vale per la pubblicità: è forse una Neolingua, ma frammentaria e
contraddittoria, la cui instabilità non condiziona il mondo, come in Orwell, ma ne è
condizionata.

Per cui, Orwell è da buttare nella discarica della Storia ? No. In una veglia funebre, come
è questa, non importa i fatterelli, gli errori e i successi del defunto che si commemora,
ma la sua lezione di vita.

E quella di Orwell è fondamentale: perchè, pur cambiando le condizioni economiche e
sociali, ci sarà sempre chi abuserà del Potere, opprimendo chi è più debole,
ingannandolo e seducendolo, impedendogli di accedere pienamente ai suoi diritti.

E l’Intellettuale, lo scrittore, deve avere il coraggio di usare la penna come una spada,
per combatterli

Io non mi faccio fregare all’Esquilino

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Pochi ormai se ne ricordano, ma il 19 novembre 2015, a Verona, è avvenuto uno dei più gravi attacchi alla nostra memoria e al nostro futuro: presso il Museo Civico di Castelvecchio sono state trafugate 17 opere di grandissimo valore: Tintoretto, Mantegna, Rubens..

Mi ricordo l’emozione che provai, una decina di anni fa, quando andai a vederle… E ancora sono atterrito dall’idea che ladri senza scrupoli abbiano agito indisturbati per un’ora e mezza, schifato dalle parole di circostanza dei media e dell’ignavia delle istituzioni, che dopo un paio di giorni o poco più di finta indignazione, hanno fatto cadere tutto nel dimenticatoio.

Sentimenti che sono condivisi dal progetto Io Non mi lascio Fregare, che per tenere alta l’attenzione su questo scandalo italiano, ha lanciato un’idea geniale: far adottare agli street artist le opere rubate, realizzando un murales, un poster o un’installazione capace di reinterpretarle in chiave contemporanea, riempiendo i non luoghi delle nostre città, in modo che non si perda il ricordo di ciò che è avvenuto.

L’unico vincolo è che l’opera sia realizzata in maniera anonima, perchè ciò che conta non è la firma, la vanità dell’artefice, ma il riflesso dell’assenza.

Anche l’Esquilino, rione che ha l’ambizione di trovare nella street art uno strumento di riqualificazione urbana e una fucina di dialogo e integrazione è diventato scenario di questa iniziativa.

Nei pressi di Binario 95, infatti, vi è una delle installazioni del progetto, un esempio di poster art che celebra e ricorda il Paesaggio di Hans De Jode

Li er barista e le Onde Gravitazionali

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La cosa comica dell’essere scrittore di fantascienza è che, dinanzi a notizie eclatanti su La Vita, l’Universo e tutto quanto, chiunque vi conosca, da Li er barista al Venerabile collega d’ufficio, dal vicino di casa che fatica a salutarti tutte le mattine al giornalista iellato del quotidiano locale, pretenda un parere o una spiegazione sul tema.

E se si cerca di svicolare con boh, come giusto che sia, tutti, invece di accettarlo come un’onesta ammissione d’ignoranza, ti guardano male, come se non volessi condividere con loro qualche arcano segreto…

Questa settimana è stato il turno delle onde gravitazionali: stanco di essere perseguitato dall’argomento, butto giù due righe, su quel poco che ho orecchiato e capito… Così al prossimo che mi interroga sul tema, posso rispondere con uno scandalizzato…

“Ma come non lo hai letto sul blog ?”

Per prima cosa, che diavolo è quest’onda gravitazionale ? Per conosce un pochino di Teoria della Relatività,è una deformazione della curvatura dello spaziotempo che si propaga come un’onda.

L’equazione di campo di Einstein, infatti, ammette una soluzione ondulatoria per il tensore metrico, così come avviene per il campo elettromagnetico e le equazioni di Maxwell, che tanto mi hanno perseguitato nei giorni dell’Univerisità (sì, ho odiato l’esame di Campi Elettromagnetici, quasi quanto Teoria dei Circuiti)

In questo caso l’equazione delle onde è tensoriale (10 componenti… roba che ricordo di aver studiato a Geometria e Algebra, ma su due piedi avrei difficoltà a descrivere… Comunque la relativa matematica è il frutto del genio del buon Gregorio Ricci Curbastro, tra le tante cose anche vicino di casa di Francesco Baracca ), poiché deve tener conto di tutte le possibili dipendenze della distanza dalle coordinate. La velocità delle onde gravitazionali, in accordo con la relatività ristretta, è la velocità della luce c.

Fronti d’onda di particolare intensità possono essere generati da fenomeni cosmici in cui enormi masse variano la loro distribuzione in modo repentino; propri questi fenomeni sono le pistole fumanti che permettono di identificarle.

Al passaggio di un’onda gravitazionale, la curvatura dello spaziotempo si contrae ed espande ritmicamente come un cuore. Questo fenomeno è difficile da rivelare perché essendo noi osservatori nello spazio tempo e non fuori da esso, ci contraiamo e espandiamo a nostra volta.

Ora, che le onde gravitazionali, ipotizzate dal buon zio Albert, esistessero, ne eravamo ragionevolmente certi dagli anni Settanta, dall’osservazione di un sistema di stelle binario di stelle di neutroni ruotanti l’una attorno all’altra e destinate a fondersi in seguito all’aumento della loro velocità angolare, scoperta che portò al Nobel per la Fisica Russel Hulse e Joseph Taylor.

Però, un conto è osservare le conseguenze indirette di un fenomeno, un conto è percepito direttamente, grazie all’evoluzione tecnologica e all’impegno di tanti astrofisici che hanno individuato la catastrofe astronomica giusta…

Catastrofe astronomica che ha permesso di verificare nel concreto anche numerose ipotesi sui buchi neri rotanti e supermassivi, su cui discutevo questa estate, tra un drink e l’altro, nel compianto Soppalco Brasileiro di San Lorenzo.

Vabbè, tutto fico, ma oltre ad aver dato ragione al buon vecchio Einstein, come direbbe Li er barista,

“Co’ ‘ste onde gravitazionali che ce famo ?

Di fatto, le onde gravitazionali contengono informazioni sull’evento o sull’oggetto che le ha emesse: diventa così possibile, a medio termine, entro i prossimi venti o trent’anni, costruire un nuova mappa del cielo, basata su loro, che contenga informazioni complementari a quelle attuali, basate sulla luce visibile, o sui raggi X, o sull’infrarosso…

Poi, identificando le onde gravitazionali emesse nel Big Bang, magari potremo avere delle idee più precise sulla Teoria dell’Inflazione, che tenta di spiegare perchè l’Universo è omogeneo su grande scala.

Infine, potrebbero dare indicazioni su come fondere in un’unica teoria Relatività Generale e Meccanica Quantistica, entrambe vere nel loro settore, ma che fanno a pugni se messe assieme: magari, cambiando punto di vista sulla Gravità, considerata non più forza fondamentale, ma conseguenza del campo di Higgs.

CarnevalEsquilino

Programma_Carnevale_Esquilino

“Il Carnevale di Roma non è precisamente una festa che si offre al popolo, ma una festa che il popolo offre a se stesso”

E’ una frase di Goethe, che sintetizza cosa fosse il Carnevale a Roma: un’immensa rappresentazione teatrale, in equilibrio instabile tra l’immagine che il Potere voleva dare di sé e il rovesciamento dei valori evocato dalla plebe.

La città diveniva un’immensa quinta teatrale, luogo in cui si fondevano tutte le arti, in sintesi quanto spettacolari, quanto transitorie.

Il Carnevale a Roma cominciava ufficiosamente dal giorno di Sant’Antonio Abate, ma il culmine della festa iniziava undici giorni prima del mercoledì delle Ceneri, al suono della Patarina, la stessa campana che suonava alla morte del Papa.

Ma per le paturnie ecclesiastiche, da venerdì alla domenica, bisognava pregare, invece che bisbocciare: per cui, la durata effettiva era di otto giorni.

I festeggiamenti iniziavano nel Campidoglio, sino a Clemente IX, con un corteo di ebrei agghindati in modo grottesco, che accompagnava la cavalcata dei Senatore dei Conservatori (di certo vi partecipò anche il Marchese di Palombara); papa Clemente, invece, oltre a caricare sul ghetto una tassa di 300 scudi per pagare parte dei festeggiamenti, ordinò che il rabbino si recasse a rendere omaggio ai conservatori e al senatore, il quale lo avrebbe ringraziato simulando una pedata sul sedere.

Così cominciava la festa, in cui era lecito travestirsi in qualsiasi modo, tranne che da religiosi: il primo spettacolo era quello dei carri allegorici, pagati dalle famiglie aristocratiche romane, che spesso ammiccavano all’esotico e all’inusuale.

Per esempio, nel 1711, la famiglia Ruspoli pagò uno ispirato all’impero Ottomano, con il principe vestito da sultano e tutta la servitù costretta a vestirsi alle meno peggio da giannizzeri o nel 1735, gli allievi dell’Accademia di Francia organizzarono la loro versione del Capodanno Cinese, oppure nel 1765 i Barberini presentarono un carro dedicato al pantheon indù.

Alle sfilate del carri, seguiva la corsa dei barberi, i cavalli senza fantino che percorrevano tutta via del Corso.

La partenza (mossa) era quasi sotto l’obelisco di Piazza del Popolo: accanto vi era il palco per la giuria e alcune tribune da dove i potenti della città potevano vedere da vicino il movimentato inizio della gara; i meno fortunati si affollavano sulle pendici del Pincio. I cavalli, di proprietà di ricchi aristocratici, scalciano e si impennavano, trattenuti a fatica dai “barbareschi” (gli stallieri) perché aizzati e infastiditi da spilli inseriti in palle di pece che venivano attaccate sulla loro groppa. Quando si udivano gli spari a salve, tutti sapevano che la Corsa era cominciata. I cavalli venivano lanciati lungo via del Corso, verso piazza Venezia, dove un grosso drappo sospeso in aria segnava la fine del percorso. Li avveniva l’arrivo e la “cattura” dei cavalli scossi, intimoriti e per nulla propensi a fermarsi di fronte ai barbareschi.

Infine, vi era la festa dei moccoletti, ma lascio la parola al buon Dickens, che la visse di persona
«Mentre al calar delle tenebre, festoni e maschere e ogni cosa va a poco a poco sbiadendo e perdendosi in una messa oscurità che tutto involge in un colore grigio cupo, ad un tratto, qua e là, alle finestre, sulle altane, sui balconi, nelle carrozze e tra la folla a piedi, cominciano a risplendere dei lumi; prima radi, poi più spessi, crescono, s’estendono, invadono tutto il Corso che si trasforma quant’è lungo in un gran tagliare e in una vampa di fuoco.

Allora tutte le persone presenti non hanno più’ che un solo pensiero, che un solo scopo costante, quello di spegnere la candela degli altri e conservare accesa la propria; e uomini, donne, ragazzi, signori e signore, principi e contadini, cittadini e forastieri, gridano e strillano e urlano senso posa il motto di scherno a chi s’è lasciato spegnere il lume:

«Senza moccolo! Senza moccolo! », tantoché ‘ben tosto non si sente più’ altro che un immenso coro di queste due parole, misto a scrosci di risa. Lo spettacolo a questo punto oltrepassa ogni immaginazione. Le carrozze s’avanzano lentamente colle persone che hanno dentro, ritte in piedi sui cuscini e sul serpe, col traccio disteso e alzato per tenere il lumicino fuori di pericolo; alcuni lo portano dentro un cartoccio; altri tiene un mazzo di condoline strette insieme e tutte accese, senza alcuna difesa; altri portano delle torce abbaglianti, ed altri un candelino che appena sta acceso.

Persone a piedi, ficcandosi tra un veicolo e l’altro e seguitandoli, aspettano e colgono il destro per fare un salto e soffiare sur un certo lumicino o dargli su un colpo; altri s’arrampicano sulle carrozze, e chinandosi verso l’interno, lo strappano dalle mani di qualcuno a viva forza; altri, inseguendo qualche sviato torno torno alla di lui carrozza, prima che salga a riaccendere la candela spenta della campagna, gli spengono la sua ch’egli è sceso a chiedere in favore o a rubare a qualcuno; altri, col cappello levato dinanzi allo sportello d’una carrozza, si fanno a pregare con gran rispetto ed umilmente una gentile signora, perché voglia porgere il suo lume per accendere il sigaro, e mentr’essa sta esitando dubbiosa di porgerlo o no, le soffian sul candelino custodito e difeso con tanta tenerezza dalla sua manina; gente alle finestre tentano con un uncino attaccato ad una cordicella di pescare qualche candela; o con fazzoletti legati all’estremità d’una pertica le spengono destramente nella mano stessa del portatore nel momento stesso del suo trionfo: uno, appiattato dietro una cantonata, aspetta il momento giusto per balzar fuori all’improvviso addosso alle superbe torcie, con uno smisurato spegnitoio che pare un’alabarda; altri circondano una carrozza e vi si aggrappano; altri tirano a furia aranci e mazzolini di fiori contro una ostinata lanternina, o fanno un regolare bombardamento contro una piramide d’uomini con uno su in cima che porta sulla testa un lumicino sfidando tutti.

« Senza moccolo! Senza moccolo! ».

Carrozze piene di leggiadre donne, ritte in piedi burlando i lumi spenti, e battendo le mani quando passano loro accanto e gridando: « Senza colo moc! senza moccolo! ». I balconi più vicini alla strada gremiti di bei visini di donne in gaie acconciature, che combattono con quelli che vogliono salire, respingendo chi s’aggrappa, piegandosi in giù, sporgendosi in fuori, ritraendosi indietro: personcine e mani gentili e delicate, e volti leggiadri, e uno scintillio di lumi e un ondeggiare e uno sventolare di abiti. «Senza moccolo! Senza moccolo!» quando nel colmo dell’entusiasmo e in mezzo al delirio del sollazzo, scocca l’avemaria da tutte le chiese e il carnevale muore tutto in un colpo, come si spegne un cero con un soffio!».

Di tutto ciò non sono rimasti che vaghi ricordi, che all’Esquilino stiamo cercando di recuperare, con riflessioni sulla salute, solidarietà, concerti, lezioni di canto corale e danza popolare, retake, feste per bambini ed eventi che cercano di creare ponti tra culture