
Nella mia vita professionale, mi è capitato spesso di scrivere introduzioni e prefazioni a libri: a volte sbuffando, per togliermi dalle scatole qualche scocciatore o per una serie di obblighi di cui avrei fatto volentieri a meno. Altre, invece, con entusiasmo e curiosità, perché e convinto e interessato alle idee che erano alla base del progetto.
Alla fine, con poco di esperienza e di mestiere, me la sono sempre cavata: stavolta, però, mi trovo in difficoltà, perché AmArte è una parte importante della mia vita e, vederla giungere alla terza edizione, non fa che riempirmi di orgoglio e di emozione.
Potrei riempire pagine e pagine di racconti e aneddoti, per raccontare come quella che sembrava una malsana idea partorita in una cena tra amici, forse figlia di troppe libagioni, si sia trasformata nell’evento che è oggi.
Però vi annoierei a morte e non è certo il caso, se non voglio farvi passare con rapidità alle pagine successive: vi basti sapere come AmArte è nata come risposta a una fame di cultura e creatività che pervade le nostre periferie, strumenti necessari per renderle più vivibili e a misura dei loro abitanti, qualsiasi sia la loro origine.
Per questo, il progetto si è configurato come un cammino, un percorso in cui ogni tappa, con maggiore o minore consapevolezza, è stata una presa d’atto e una riflessione sulla realtà che ci circonda. La prima edizione, che si è svolta in un luogo eccentrico, rispetto alla mappa mentale che gli intellettuali si costruiscono di Roma, la sala consiliare del V Municipio, nei pressi di Via Palmiro Togliatti, una sorta di hic sunt leones per la cultura ufficiale romana, abituata a terrazze e salotti simili a quelli de La Grande Bellezza, è stata un’esplorazione, un guardare oltre le apparenze.
Il suo scopo è stato dare voce a un fermento, a un brulicare d’idee che nascono nei non luoghi urbani e che troppo spesso sono ignorate dalle istituzioni, mostrando i loro problemi, le loro necessità e soprattutto, i loro successi.
La seconda edizione, svolta in quel laboratorio di innovazione che è la Casa della Cultura di Villa De Sanctis, è stata quasi profetica, essendo incentrata sul parallelismo tra le periferie urbane e le periferie del Mondo, entrambe in cerca di una loro identità e orgogliose di mostrare la loro natura di opportunità e non di problemi.
Profetica, perché, proprio in quell’occasione sono emersi temi, relativi all’integrazione e al dialogo tra culture che ogni giorno appaiono sui titoloni dei giornali. La continua riflessione sull’Alterità, su come ci rapportiamo al Nuovo e al Diverso, si è estesa anche ad ambiti esterni alla Scrittura e all’Arte, esplorando anche lo stato di salute del cinema italiano e dell’immaginario fantastico.
Nella terza edizione, invece, si va oltre, passando dall’analisi alla proposta: ciò che caratterizza l’Avanguardia, parola abusata in Passato, ma che nel nostro Presente ce ne sarebbe tanto bisogno, non è solo la proposizione di nuove forme estetiche, cosa che tra l’altro AmArte con impegno e dedizione, grazie agli artisti che collaborano al progetto e all’ottima curatela del buon Rodolfo Cubeta, ma il guardare il mondo con altri occhi, definendo nuovi strumenti per interpretare e costruire la Realtà.
AmArte, in questa nuova edizione, ha proprio questa ambizione. Una sfida forte, che si articola in diversi momenti, che meritano di essere evidenziati.
Giovedì 31 marzo, è dedicata al progetto “La città del Futuro, il Futuro della città” che è qualcosa di più e di diverso della raccolta di buone intenzioni o di ipotesi futuribili. E’ il tentativo di ridefinire uno spazio urbano, dal punto di vista architettonico, tecnologico e di gestione partecipata.
Esigenza che in questi giorni, dove sta nascendo la consapevolezza di come la creazione di ghetti urbani non solo non facilita l’integrazione tra culture, ma al contempo rischia di essere una fornace di estremismo e intolleranza, diviene sempre più pressante.
In particolare, per AmArte, tale progetto si arricchirà di un evento innovativo, Architetture Selvagge, a cura di Emmanuele Jonathan Pilia e Massiliano Ercolani capace di esplorare nuove strade, fondendo il convegno tradizionale e la performance artistica.
Architetture Selvagge, così si intitola l’evento, è una riflessione spiazzante tra il rapporto tra disabilità e città, troppo spesso centrato su ipocrisia e disinteresse. Una sfida al senso comune e alle istituzione, per ricordare come l’Urbanistica sia al servizio dell’Uomo, anche di quello più debole e indifeso, e non viceversa.
Venerdì 1 aprile, dopo aver esplorato l’immaginario cinematografico, sarà il turno del convegno su “Arte, artigianato e microimpresa”; troppo spesso si dice che la poesia non da il pane. Nella realtà, però, in un società post industriale, la creatività si sta coniugando con il business, esplorando anche nuove forme artistiche, materiali e immateriali, secondo una visione che risale al Futurismo di Depero.
Tuttavia, a differenza di quanto avviene in altre parti del mondo, tale fervore si scontra sempre con la burocrazia, con leggi contorte e una tassazione predatoria. E’ necessario che la politica abbia l’umiltà di ascoltare le esigenze e necessità di chi ogni giorno crea nuovi mondi e abbia la forza di dare delle risposte e prendersi delle responsabilità. Il convegno non è che lanciare un guanto di sfida.
Sabato 2 Aprile, con il Convegno “Forza del Linguaggio, identità della Città” si giunge al climax di AmArte: linguaggio che non è solo parola, racchiusa nei romanzi presentati durante l’evento, sgorgata nell’esperienze di teatro di Claudia Caoduro o nei laboratorio di poesia di Tiziana Mezzetti. E’ musica, come quella del maestro Marco Abbondanzieri e danza, come ne Le danze di Piazza Vittorio.
Perché il linguaggio, come diceva il saggio Wittgenstein, non funziona come una nomenclatura; le parole non sono cioè un insieme di etichette che è possibile apporre idealmente agli oggetti a cui si riferiscono. Il linguaggio non è neppure un gioco, un associare caotico di analogie e assonanze.
Il linguaggio è una pratica terapeutica di chiarificazione dei nostri concetti ordinari, lo di vedere le cose rettamente, cambiando in modo sostanziale l’aspetto sotto cui il mondo ci appare. E questo in un città complessa, barocca e multiforme, generatrice di storie, specchio del Reale, diviene necessario, per non affogare nelle sue contraddizioni.
Domenica 3 Aprile, con il Tolkien Day, organizzato dall’Associazione Italiana Studi Tolkieniani, il cerchio si chiude, con il guardarsi allo specchio, riflettendo sulle nostre radici. E così è giunto il tempo di salutarci, in attesa della prossima edizione. Sempre per citare Tolkien
La Via prosegue senza fine
Lungi dall’uscio dal quale parte.
Ora la Via è fuggita avanti,
Devo inseguirla ad ogni costo
Rincorrendola con piedi alati
Sin all’incrocio con una più larga
Dove si uniscono piste e sentieri.