Nel mio mestiere, c’è un detto che dice
“Nessuno è mai stato licenziato per aver scelto un router Cisco o uno storage EMC”
Un invito ad andare sul sicuro, anche a scapito del risparmio o di prestazioni inferiori a quello di altre tecnologie. Situazione simili l’ho trovata nel mondo dell’Arte. Al di là di tutti i giri economici che vi sono dietro, è assai più semplici recensire un pittore che ha dietro una galleria nota o un buon curatore, che uno dell’ambiente underground.
Perchè nel secondo caso bisogna sporcarsi le mani, rimettersi in discussione, confrontarsi con il nuovo e con il diverso, rischiando anche di prendere cantonate, cosa che spesso accade.
Cosa che accade sempre più di rado e secondo me, questa mancanza di osare, di esplorare i lati oscuri ed eretici della ricerca, l’adagiarsi sul noto e sul presunto sicuro, è una della cause della progressiva perdita di forza propositiva dell’Arte Italiana, che ogni anno si provincializza sempre di più.
Un fenomeno simile temo che si stia realizzando nel mondo della Fantascienza Italiana: si scrivono saggi, più o meno profondi o eruditi, alcuni anche divertenti e ben fatti, ma che riguardano sempre i soliti noti: perchè manca il tempo, perchè manca la voglia, perchè ci abbiamo altro da fare nella vita e come dice Li er barista
“Legge ‘n libro novo me abbotta”
Insomma, le scuse per giustificare ciò abbondano. Però, se per alcuni è lecito che la critica si limiti a definire un corpus di auctoritas, con cui riempirsi la bocca all’infinito, cambiando solo l’ordine in cui vengono citate, per me invece è il suo fallimento.
Perché compito del critico non è guardarsi dietro le spalle, quello lo fa lo storico, ma intuire cosa si agita oltre l’orizzonte.