Business Intelligence e Public Art: spunti di riflessione

 

Ogni volta che all’Esquilino vi è un intervento di Public Art, si genera una polemica sui costi e sulle ricadute per la collettività. Polemiche che, a dire il vero, sospetto siano alimentate da alcuni “quartierini” artistici locali, che, invece di gioire per una potenziale occasione di confronto, sbraitano per quelle che ritengono come invasioni di quello che considerano una riserva di caccia per alimentare il loro ipertrofico ego.

Tuttavia, anche queste discussioni hanno una loro utilità: danno la possibilità di riflettere sull’Arte come Bene Comune e Risorsa Condivisa e le sue ricadute per la Collettività. Questo perché i soldi investiti nell’Arte non sono sprecati, ma sono investimenti sul corpo globale della società, poiché come, afferma la Archer nella sua “Teoria della morfogenesi, queste sono scindibili solo a livello di artifici retorici e sono l’una lo specchio dell’altra come sostiene la Griswold nella sua “Teoria del riflesso

Anche perché l’Arte, dal Futurismo in poi, non si pone più l’obiettivo di rappresentare il Mondo, ma quello di cambiarlo.

Cambiamento che, citando il filosofo francese Jaques Rancière, avviene nell’immersione dell’Arte nel Quotidiano, come testimonianza, come riscrittura dei rapporti sociali e come resistenza contro una società alienante e incentrata sulla dialettica tra produzione, consumo e spreco.

Se l’Arte deve avere questo ruolo di lotta e cambiamento, confinarla nelle gallerie e nei musei ha significa depotenziarla: per questo è necessario farla agire in una dimensione urbana, rendendola una prassi sociale.

Per questo, ogni intervento artistico sul Territorio diviene un Bene Comune, che facendo riferimento alla Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico del buon vecchio Karl Marx, possiamo caratterizzare con:

  1. Libera fruizione da parte della totalità dei cittadini;
  2. Gestione globale e rappresentativa da parte dell’intero corpo comunitario, cosa che può essere realizzata con un uso consapevole e mirato dei social media;
  3. Eventuali revenue, materiali e immateriali generati messi a disposizione della collettività;

Proprio il terzo punto è quello focale: per dimostrare che un intervento di Public Art non è inutile, dobbiamo valutare il suo impatto in termini di ricadute sulla Società. Cosa non immediata, perché se da una parte come afferma bene Morin la complessità è il paradigma della condizione umana, con tutte le difficoltà nel valutare gli effetti di una specifica azione su un sistema caotico, dall’altra facendo riferimento a Wittgenstein,

“I confini della mia lingua sono i confini del mio universo”

Ossia, ogni società definendo se stessa e i suoi schemi di interpretazione del mondo, si autosemplifica e limita.

Per cui, per valutare l’impatto della Public Art, bisogna prima comprendere l’immagine che il corpo sociale si è creato di se stesso, le sue aspettative e ambizioni e da questi definire i relativi criteri di valutazioni per misurare il gap tra valore aspettato e valore creato.

Valore che può variare a secondo del contesto: in una società a forte gentrificazione, i criteri potranno essere meramente economici, come per esempio l’incremento percentuale del prezzo dell’immobile, mentre in una società orizzontale questi potrebbero essere legati alla misura della qualità della vita.

Definiti i criteri, è possibile quindi definire delle strategie di massimizzazione degli effettia della Public Art, intesa quindi come risorsa condivisa un cluster territoriale. Per questo può essere utile sfruttare al meglio e in chiave sociale, invece che in ottica di marketing, la Business Intelligence e le nuove tecnologie come:

IA predittive che devono essere economiche, veloci nel calcolo e robuste agli errori connessi all’acquisizione dei dati: cose che, grazie alle reti bayesiane, appartengono al dominio reale e non a quello della fantascienza

Casa del passeggero di Roma …

Centro Studi Giorgio Muratore

CASPAS

Da Andrea Bentivegna …

“Costruita nel 1920 dall’architetto Oriolo Frezzotti, la Casa del Passeggero,nacque come albergo diurno dotato di servizi per i passeggeri dei treni in arrivo in città dalla vicina stazione ferroviaria di Termini. Da molto tempo la struttura, che dovrebbe essere di proprietà dell’ente pubblico “Istituto Romano San Michele”, ha perso la sua funzione originaria ed è stata abbandonata al degrado. “

alcuni filmati degli interni,splendidi e ancora in uno stato dignitoso.

è ,anche questo,un luogo ancora oggi, nonostante tutto,incredibilmente poetico che rischia di andare perduto.

i miei saluti

A.B.

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Muro come bene comune

nomentana

Nei mesi scorsi, i Pittori Anonimi del Trullo guidati dal buon Mario D’Amico assieme a tanti cittadini hanno realizzato un progetto di street art condiviso e partecipato per riqualificare la Stazione Nomentana.

Progetto che è stato apprezzato non solo dagli addetti ai lavori, ma soprattutto dai fruitori più importanti, gli abitanti della zona e i pendolari che ogni giorno affollano la stazione. In questi giorni, però, i murales sono stati deturpati con una serie di slogan.

Evento che ha scatenato infinite discussioni nella comunità romana di street artist: personalmente, benchè nel variegato mondo dei writers vi possano anche essere persone capaci di questi gesti, però qualche dubbio sulla loro responsabilità ce l’ho, sia per i materiali, vernice invece che bombolette, sia per la tecnica, assai rozza, sia per i messaggi, da addetti ai lavori.

Sospetto più che sia una faida tra artisti che una bravata provocatoria… Quello che però tengo a evidenziare è background ideologico che vi è dietro a questo gesto, che trovo sbagliato.

Il primo assunto di questo background è che la street art sia una perversione del graffitismo urbano, una sua commercializzazione, a servizio del sistema economico delle gallerie. In realtà sono due cose differenti e complementari: se il graffitismo, nella sua forma migliore, è un grido di ribellione contro la società, la street art è lo strumento per riportare l’Arte al centro della Vita, rompendo le barriere che Società, Economia e Cultura hanno costruito tra questa e l’Uomo, rafforzando al contempo i legami che uniscono una comunità.

Il secondo, è un’idea distorta di bene comune, nel caso specifico il muro, ossia una risorsa condivisa da una comunità, che ne gode di una proprietà collettiva e di un uso civico.

Ora, in Italia, vi è l’idea che il bene comune sia o un qualcosa di fossilizzato e inutilizzabile, se non tramite una gestione autoritaria e centralizzata, in termini concreti, guai a te se provi a disegnare sul muro, perchè generi degrado, o sia privatizzabile, io metto il tag sul muro e te trancio le mani se me lo tocchi.

In realtà, come raccontava il premio Nobel per l’economia Elinor Ostrom in Governing the Commons, esiste anche una terza via, in cui le singole possono evitare i conflitti improduttivi e a raggiungere accordi su una utilizzazione sostenibile nel tempo delle risorse comuni tramite l’elaborazione endogena di una gestione partecipata

Ciò implica la creazione di un set di regole, anche informali, semplici e condivise da tutte le parti in causa. Purtroppo, sono convinto che ci vorrà ancora del tempo, affinchè questo concetto sia compreso anche nell’ambito della Street Art

Incipit nuovo romanzo, ambientato all’Esquilino

Di seguito l’incipit di Come un tuono d’Estate, il mio nuovo romanzo ambientato all’Esquilino

Non so cosa diavolo voglia Alberto, per farmi chiamare così di fretta: ero nei giardini di Piazza Vittorio, gettando briciole alle papere  del laghetto, in attesa del commissario Ingravallo, per avere qualche dettaglio con cui arricchire e condire il mio prossimo articolo di nera. Scrivere è cucinare, sotto tanti punti di vista, e le parole, gli aggettivi e gli avverbi sono come salse e spezie; poche e il risultato è sciapo, con il lettore che sbadiglia. Troppe e perde il filo, con il cervello che digerisce male i concetti.

Mentre inseguivo questi pensieri, che Alberto definirebbe oziosi, da scrittore frustrato invece che da buon giornalista, all’improvviso mi sono trovato davanti uno dei garzoni del mercato, con i pantaloni di fustagno e la camicia bianca sporca di grasso e sangue. Puzzava anzi che no.

“ Sete voi  Camisasca ? ” mi ha detto, tutto affannato.

Mi sono grattato il capo, improvvisando un paio di smorfie.

“ Ha qualcosa da dirmi sulla rapina  ai danni della vedova Menegazzi  ?“.

Il garzone ha scosso il capo con vigore.

“Magari, almeno ce guadagnavo quarcosa… Me manda  ‘nvece  Don Umberto, er pretonzolo de  Sant’Eusebio… Ce l’ha presente no ?  Quello ‘mpettito come l’Alberone, co’ l’occhiali tonni e la faccia che pare la Luna”.

“Sì, sì… Ma non capisco cosa possa volere… Non sono tanto di messa, io…”

Il garzone si è fatto un paio di segni della croce, per poi guardare preoccupato verso la scalinata della chiesa, temendo di vedere la tonaca nera del parroco spuntare all’improvviso.

“ E che  j’hanno telefonato ‘n sagrestia, dicenno de trovalla urgentemente. Io ero appena  ‘ntrato, ma dalla porta de dietro, a Principe Amedeo, pe’ consegnà ‘na chilata de braciole d’abbacchio e la coratella, che subito zi’ prete m’ha fregato.

  • Non perdere tempo Pisciarè che una cosa importante, altrimenti la prossima volta che ti confessi, oltre a un centinaio d’Ave Maria e di Pater Noster, ti ammollo pure tre o quattro ceffoni.

Così m’ha detto don Umberto… E detto fra noi, dato che c’ha du’ mani che parono palanche, me so’ sbrigato”.

 

Il Rosso di Marte

 

Piccola nota a margine della mia chiacchierata video: a un certo punto della lettura, negli ultimi capitoli, mi sono perso…  La prima cosa che ho pensato, è di essere improvvisamente rincitrullito.

La seconda è che, improvvisamente posseduto dallo spirito di Marinetti, Kim Stanley Robinson si fosse convertito al Connettivismo….

Alla fine, mi sono reso conto che la numerazione sequenziale delle pagine era saltata… A quanto pare, sentendo in giro, ci sono diverse copie fallate, mentre il problema non sembra essersi verificato per gli ebook…