Di seguito l’incipit di Come un tuono d’Estate, il mio nuovo romanzo ambientato all’Esquilino
Non so cosa diavolo voglia Alberto, per farmi chiamare così di fretta: ero nei giardini di Piazza Vittorio, gettando briciole alle papere del laghetto, in attesa del commissario Ingravallo, per avere qualche dettaglio con cui arricchire e condire il mio prossimo articolo di nera. Scrivere è cucinare, sotto tanti punti di vista, e le parole, gli aggettivi e gli avverbi sono come salse e spezie; poche e il risultato è sciapo, con il lettore che sbadiglia. Troppe e perde il filo, con il cervello che digerisce male i concetti.
Mentre inseguivo questi pensieri, che Alberto definirebbe oziosi, da scrittore frustrato invece che da buon giornalista, all’improvviso mi sono trovato davanti uno dei garzoni del mercato, con i pantaloni di fustagno e la camicia bianca sporca di grasso e sangue. Puzzava anzi che no.
“ Sete voi Camisasca ? ” mi ha detto, tutto affannato.
Mi sono grattato il capo, improvvisando un paio di smorfie.
“ Ha qualcosa da dirmi sulla rapina ai danni della vedova Menegazzi ?“.
Il garzone ha scosso il capo con vigore.
“Magari, almeno ce guadagnavo quarcosa… Me manda ‘nvece Don Umberto, er pretonzolo de Sant’Eusebio… Ce l’ha presente no ? Quello ‘mpettito come l’Alberone, co’ l’occhiali tonni e la faccia che pare la Luna”.
“Sì, sì… Ma non capisco cosa possa volere… Non sono tanto di messa, io…”
Il garzone si è fatto un paio di segni della croce, per poi guardare preoccupato verso la scalinata della chiesa, temendo di vedere la tonaca nera del parroco spuntare all’improvviso.
“ E che j’hanno telefonato ‘n sagrestia, dicenno de trovalla urgentemente. Io ero appena ‘ntrato, ma dalla porta de dietro, a Principe Amedeo, pe’ consegnà ‘na chilata de braciole d’abbacchio e la coratella, che subito zi’ prete m’ha fregato.
- Non perdere tempo Pisciarè che una cosa importante, altrimenti la prossima volta che ti confessi, oltre a un centinaio d’Ave Maria e di Pater Noster, ti ammollo pure tre o quattro ceffoni.
Così m’ha detto don Umberto… E detto fra noi, dato che c’ha du’ mani che parono palanche, me so’ sbrigato”.
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