Muro come bene comune

nomentana

Nei mesi scorsi, i Pittori Anonimi del Trullo guidati dal buon Mario D’Amico assieme a tanti cittadini hanno realizzato un progetto di street art condiviso e partecipato per riqualificare la Stazione Nomentana.

Progetto che è stato apprezzato non solo dagli addetti ai lavori, ma soprattutto dai fruitori più importanti, gli abitanti della zona e i pendolari che ogni giorno affollano la stazione. In questi giorni, però, i murales sono stati deturpati con una serie di slogan.

Evento che ha scatenato infinite discussioni nella comunità romana di street artist: personalmente, benchè nel variegato mondo dei writers vi possano anche essere persone capaci di questi gesti, però qualche dubbio sulla loro responsabilità ce l’ho, sia per i materiali, vernice invece che bombolette, sia per la tecnica, assai rozza, sia per i messaggi, da addetti ai lavori.

Sospetto più che sia una faida tra artisti che una bravata provocatoria… Quello che però tengo a evidenziare è background ideologico che vi è dietro a questo gesto, che trovo sbagliato.

Il primo assunto di questo background è che la street art sia una perversione del graffitismo urbano, una sua commercializzazione, a servizio del sistema economico delle gallerie. In realtà sono due cose differenti e complementari: se il graffitismo, nella sua forma migliore, è un grido di ribellione contro la società, la street art è lo strumento per riportare l’Arte al centro della Vita, rompendo le barriere che Società, Economia e Cultura hanno costruito tra questa e l’Uomo, rafforzando al contempo i legami che uniscono una comunità.

Il secondo, è un’idea distorta di bene comune, nel caso specifico il muro, ossia una risorsa condivisa da una comunità, che ne gode di una proprietà collettiva e di un uso civico.

Ora, in Italia, vi è l’idea che il bene comune sia o un qualcosa di fossilizzato e inutilizzabile, se non tramite una gestione autoritaria e centralizzata, in termini concreti, guai a te se provi a disegnare sul muro, perchè generi degrado, o sia privatizzabile, io metto il tag sul muro e te trancio le mani se me lo tocchi.

In realtà, come raccontava il premio Nobel per l’economia Elinor Ostrom in Governing the Commons, esiste anche una terza via, in cui le singole possono evitare i conflitti improduttivi e a raggiungere accordi su una utilizzazione sostenibile nel tempo delle risorse comuni tramite l’elaborazione endogena di una gestione partecipata

Ciò implica la creazione di un set di regole, anche informali, semplici e condivise da tutte le parti in causa. Purtroppo, sono convinto che ci vorrà ancora del tempo, affinchè questo concetto sia compreso anche nell’ambito della Street Art

4 pensieri su “Muro come bene comune

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