Dato che sarà una giornata incasinata, i controlli di sicurezza al Politeama mi stanno costringendo a cambiare al volo i programmi per la serata, ne approfitto per fare subito gli auguri di Buon Anno, sia con le voci del coro di Piazza Vittorio, sia segnalando il Long-Term Megatrends 2017, pubblicato dall’Italian Institute of Future.
Lavoro meritorio, con qualche imperfezione, forse quest’anno sarebbe stato interessante dare uno sguardo sulla diffusione nel quotidiano dell’uso delle IA e del prossimo boom dell’IoT, ma che ci aiuta a capire dove stiamo andando…
Come ogni anno, sono sceso a Palermo: città che con tutte le sue stranezze, eccessi e contraddizioni, che la rendono uno specchio esatto della vita, mi ha sempre affascinato e contribuisce a nutrire la mia narrativa.
Ne Il Canto Oscuro, una delle comparse è Don Fabrizio Corbera, Principe di Salina, Duca di Querceta, Marchese di Donnafugata, spedito, con la scusa di far d’ambasciatore, in dorato esilio a Roma, corroso dalla nostalgia per la sua Palermo
Oltre ad essere un omaggio a uno dei romanzi che ho più amato, Il Gattopardo, ed essere uno degli archetipi del Principe Padre, di cui condivide parecchi difetti e peculiarità, è uno dei correlativi oggettivi di Andrea: entrambi uomini di grande cultura e statura intellettuale, hanno difficoltà a integrarsi nella società a loro contemporanea, di cui, per pigrizia e disincanto, non condividono miti e valori.
In Lithica, la Palermo liberty dei Florio, di Basile, di De Maria Bergler appare sullo sfondo: è uno dei luoghi della memoria di Andrea, uno dei suoi tanti sogni di fuga dalla realtà e la destinazione di Thomas Edward Lawrence, bloccato a Minorca, che vorrebbe raggiungere il suo sodale Aleister Crowley, nel timore che questo, impegnato a sventare un complotto dei Beati Paoli, possa combinare qualche colossale casino nelle Catacombe dei Cappuccini.
In Navi Grigie, la Palermo borghese di Via Libertà e del Politeama è una delle location del romanzo, assieme all’Esquilino: se questo rappresenta il mondo travolto dalla singolarità, in cui nulla ha più senso, la metropoli siciliana è l’ultimo brandello di vita normale, in attesa di essere travolta dall’Apocalisse.
E il seguito di Navi Grigie, Una Giovane Anima, sempre basato su un’idea di Giorgio Sangiorgi, su cui lavoro a tempo perso, sarà proprio ambientato nel centro storico, tra Capo, l’Olivella, la Kalsa e Ballarò.
In Come un Tuono d’Estate, il romanzo esquilino a cui sto lavorando, è presente una scena, ambientata alla Cala, in cui lo scirocco nella torrida estate palermitana diventa una metafora di come la Storia e la Politica abbiano, per dirla all’Amleto
does make cowards of us all, And thus the native hue of resolution Is sicklied o’er with the pale cast of thought, And enterprises of great pitch and moment With this regard their currents turn awry, And lose the name of action.
Uno degli effetti collaterali delle coliche renali è il tempo che sono riuscito a dedicare alla lettura di Bone. Avevo comprato quel tomo, stiamo parlando di più di 1300 pagine, a un’edizione di Più Liberi, Più Libri, nello stand della BAO, dopo una lunga discussione con un tizio che voleva appiopparmi Neonomicon di Alan Moore, che ritengo una delle opere meno riuscite del bardo di Northampton, non per i contenuti sessuali, che lo rendono simile a un fumetto erotico anni Settanta, ma per l’incapacità della sua scrittura citazionista e postmoderna, a differenza di quanto fatto con altri scrittori ne La Lega degli Straordinari Gentlemen, non è riuscito a entrare in risonanza con le radici profonde dell’orrore cosmico di Lovecraft.
Comunque, alla fine, più per togliermelo dalle scatole che per convinzione, afferrai il primo volume che mi era a portata di mano, per l’appunto Bone. Volume parcheggiato da anni nella mia libreria, più per pigrizia del sottoscritto che per mancanza di tempo, se si vuole, quello si trova sempre, finché in questi giorni costretto a letto, l’ho preso tra le mani…
E ne sono felice : Bone è un’infinita, fluviale favola, gestita con straordinaria capacità narrativa e grafica da Jeff Smith, che ha l’increbile dono di fare apparre come semplice, immediato, ciò che in realtà è complesso in maniera incredibile
Dal punto di vista grafico, Smith riesce in una stessa tavola a far convivere stili grafici totalmente differente, senza che ciò appaia disarmonico all’occhio del lettore e creando delle vignette di immensa suggestione ed equilibrio, in cui nessun particolare è di troppo, la perfetta incarnazione del Metron ariston, ottima è la misura, di Cleobulo di Lindo.
Dal punto della narrazione, Smith oltre a gestire un ampio numero di sottotrame e a passare con una facilità impressionante da un registro comico a uno drammatico, ha il dono di creare dei personaggi di cui ci si innamora, a cominciare dai cugini Bone: Fone Bone, il più inquadrato, serio e romantico dei tre, sempre pronto ad aiutare gli altri e fare la cosa giusta, con una smodata e incompresa passione per Moby Dick, Smiley Bone, sempliciotto, di buon cuore e sempre allegro, un anarchico fool elisabettiano, e Phoncible P. Bone detto Phoney, avido e astuto, sempre in cerca di un modo per far soldi, che è il motore immobile della storia.
Alla fine, rimangono due rimpianti: che la lettura sia cominciata così tardi e che sia finata così presto
Uno dei luoghi perduti dell’Esquilino, che appare sullo sfondo delle vicende de Il Canto Oscuro, è il cosiddetto Monte di Giustizia, una “maxi collina” artificiale, dovuta alla terra di sterro dovuta alla costruzione delle Terme di Diocleziano.
Collina alta ben 72 metri, il che la rendeva la più alta di Roma e si trovava esattamente dove oggi c’è la Stazione Termini, sulla cui sommità gli eredi di Sisto V, che aveva qui la sua immensa villa, fecero collocare in cima alla collina la Statua Romana di una donna seduta, ritrovata nelle Terme di Costantino al Quirinale, subito ribattezzata dal, popolo la “GIUSTIZIA”, e che fu ovviamente spianata tra il 1868 e il 1870 in occasione dei travagliati lavori per la costruzione della stazione ferroviaria.
Lavori di sbancamento che portarono al recupero di un tratto delle mura serviane e alla scoperta e contestuale distruzione di numerosi tesori archeologici, da una domus nobiliare romana all’oratorio del Monte di Giustizia, che alcuni identificano con Sant’Agata all’Esquilino, che era dedicato ai cristiani seguaci di Ario
LitRejections è un sito nato con l’intento di motivare i creativi, mostrando loro tutti i rifiuti che i grandi autori hanno ricevuto nel corso della carriera. Il sito illustra tantissimi episodi, che spaziano da H.G. Wells a Stephen King, di autori oggi ritenuti mostri sacri della letteratura che agli inizi della propria carriera (e a volte anche dopo aver già ottenuto un discreto successo) si sono visti respingere le proprie opere dagli editori. Per raggiungere il sito, basta cliccare qui.
Senz’alcun ombra di dubbio, questo Natale sarà difficile da dimenticare… In negativo, perché l’influenza, in tutte le sue svariate forme, si è accanita contro la famiglia Brugnoli e come ciliegina sulla torta, il sottoscritto è stato messo Ko dalle coliche renali… Detto tra noi, sempre sia lodato il nome degli scopritori del Toradol e delle proprietà diuretiche dell’acqua che sgorga a Fiuggi.
In positivo, perchè è il primo Natale che ho trascorso con il mio nipotino Valerio, un pacioccone di otto mesi e con lui non ci si annoia mai…
E benchè la mia famiglia sia assai strana e a volte insopportabile, è sempre gioia condividere con loro i momenti della mia vita…
Insomma, nonostante tutti i dolori ai reni, le ombre prevalgono sulla luce… E come sempre quest’anno, celebro il Natale che sta fuggendo con un altro brano del coro di Piazza Vittorio, la versione originale di Tu scendi dalle Stelle, Quanno nascette Ninno, che per caso o scelta consapevole, è stata cantata sulla scalinata della chiesa dedicata al suo autore Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, doctor zelantissimus, che oltre ad essere stato allievo del pittore Francesco Solimena, l’Abate Ciccio e visto il suo amore per scale, archi e colonne, nume tutelare del presepe napoletano, ed essere sopravvissuto a un esame universitario con il buon Giambattista Vico, divenne un prete di strada, che predicava e pregava in dialetto… Per chi fosse curioso, ecco il testo originale di Tu scendi dalle stelle
Quanno nascette Ninno a Bettlemme Era nott’e pareva miezo juorno. Maje le Stelle – lustre e belle Se vedetteno accossí: E a cchiù lucente Jett’a chiammà li Magge all’Uriente.
De pressa se scetajeno l’aucielle Cantanno de na forma tutta nova: Pe ‘nsí agrille – co li strille, E zombanno a ccà e a llà; È nato, è nato, Decevano, lo Dio, che nc’à criato.
Co tutto ch’era vierno, Ninno bello, Nascetteno a migliara rose e sciure. Pe ‘nsí o ffieno sicco e tuosto Che fuje puosto – sott’a Te, Se ‘nfigliulette, E de frunnelle e sciure se vestette.
A no paese che se chiamma Ngadde, Sciurettero le bigne e ascette l’uva. Ninno mio sapuritiello, Rappusciello – d’uva -sì Tu; Ca tutt’amore Faje doce a vocca, e po ‘mbriache o core.
No ‘nc’erano nnemmice pe la terra, La pecora pasceva co lione; Co’ o caprette – se vedette O liupardo pazzeà; L’urzo e o vitiello E co’ lo lupo ‘npace o pecoriello.
Se rrevotaje nsomma tutt’o Munno, Lu cielo, a terra, o mare, e tutt’i gente. Chi dormeva – se senteva ‘Npiett’o core pazzeà Pe la priezza; E se sonnava pace e contentezza.
Guardavano le ppecore i Pasturi, E n’Angelo sbrannente cchiù d’o sole Comparette – e le dicette: No ve spaventate no; Contento e riso La terra è arreventata Paraviso.
A buie è nato ogge a Bettalemme Du Munno l’aspettato Sarvatore. Dint’i panni o trovarrite, Nu potite – maje sgarrà, Arravugliato, E dinto a lo Presebbio curcato.
A meliune l’Angiule calate Co chiste se mettetten’a cantare: Gloria a Dio, pace’n terra, Nu cchiù guerra – è nato già Lo Rre d’amore, Che dà priezza e pace a ogni core.
Sbatteva o core mpietto a ssi Pasture; E l’uno ‘nfaccia all’auto diceva: Che tardammo? – Priesto, jammo, Ca mme sento scevolí Pe lo golìo Che tengo de vedé sso Ninno Dio.
Zombanno, comm’a ciereve ferute, Correttero i Pasture a la Capanna; Là trovajeno Maria Co Giuseppe e a Gioja mia; E ‘n chillo Viso Provajeno no muorzo e Paraviso.
Restajeno ‘ncantate e boccapierte Pe tanto tiempo senza dì parola; Po jettanno – lacremanno Nu suspiro pe sfocà, Da dint’o core Cacciajeno a migliara atte d’amore.
Co a scusa de donare li presiente Se jetteno azzeccanno chiano chiano. Ninno no li refiutaje, L’azzettaje – comm’a ddí, Ca lle mettette Le Mmane ‘n capo e li benedicette.
Piglianno confedenzia a poco a poco, Cercajeno licenzia a la Mamma: Se mangiajeno li Pedille Coi vasille – mprimmo, e po Chelle Manelle, All’urtemo lo Musso e i Mascarielle.
Po assieme se mettetteno a sonare E a cantà cu l’Angiule e Maria, Co na voce – ccossí doce, Che Gesù facette: ah aah… E po chiudette Chill’uocchie aggraziate e s’addormette.
La ninna che cantajeno mme pare Ch’avette a esse chesta che mò dico. Ma nfrattanto – o la canto, Mmacenateve de stà Co li Pasture Vecíno a Ninno bello vuje pure.
“Viene suonno da lo Cielo, Vien’e adduorme sso Nennillo; Pe pietà, ca è peccerillo, Viene suonno e non tardà.
Gioia bella de sto core, Vorria suonno arreventare, Doce, doce pe te fare Ss’uocchie bell’addormentà.
Ma si Tu p’esser’amato Te si fatto Bammeniello, Sulo amore è o sonnariello Che dormire te po fa.
Ment’è chesto può fa nonna, Pe Te st’arma è arza e bona. T’amo, t’a… Uh sta canzona Già t’ha fatto addobeà! T’amo Dio – Bello mio, T’amo Gíoja, t’amo, t’a…
Cantanno po e sonanno li Pasture Tornajeno a le mantre nata vota: Ma che buò ca cchiù arrecietto Non trovajeno int’a lu pietto: A o caro Bene Facevan’ ogni poco ò va e biene.
Lo ‘nfierno sulamente e i peccature Ncocciuse comm’a isso e ostinate Se mettetteno appaura, Pecchè a scura – vonno stà Li spurtegliune, Fujenno da lo sole li briccune.
Io pure songo niro peccatore, Ma non boglio esse cuoccio e ostinato. Io non boglio cchiù peccare, Voglio amare – voglio stà Co Ninno bello Comme nce sta lo voje e l’aseniello.
Nennillo mio, Tu si sole d’amore, Faje luce e scarfe pure o peccatore Quanno è tutto – niro e brutto Comm’a pece, tanno cchiù Lo tiene mente, E o faje arreventà bello e sbrannente.
Ma Tu mme diciarraje ca chiagniste, Acciò chiíagnesse pure o peccatore. Agg o tuorto – haje fosse muorto N’ora primmo de peccà! Tu m’aje amato, E io pe paga t’aggio maltrattato!
A buje, uocchie mieje, doje fontane Avrite a fa de lagreme chiagnenno Pe llavare – pe’ scarfare Li pedilli di Giesù; Chi sa pracato Decesse: via, ca t’aggio perdonato.
Viato me si aggio sta fortuna! Che maje pozzo cchiù desiderare? O Maria – Speranza mia, Ment’io chiango, prega Tu: Penza ca pure Si fatta Mamma de li peccature
Benché questo Natale, trascorso in emergenza sanitaria, sia quasi terminato, faccio ancora in tempo a farvi i miei auguri di un Sereno Natale, sempre sfruttando le voci del coro di Piazza Vittorio…
Approfittando delle splendide voci del coro di Piazza Vittorio, auguro una buona Vigilia a tutti… E come regalo per i miei lettori, provo a immaginare la lunga giornata di Andrea e Beppe.
Giornata che sarebbe cominciata alla mezzanotte del 23, presso il Portico d’Ottavia, con il “cottio”, dal latino medioevale “coctigium”, l’asta all’ingrosso del pesce, per il cenone di magro della vigilia.
Un misto tra una battaglia e uno spettacola teatrale, coloratissimo, rumoroso, pieno di gente, romani, forestieri, popolani, signori e signore fra i banchi che esponevano pesce di tutti i tipi, in cui Beppe avrebbe dato il peggio e il meglio di sè, tra boccacce, insulti e gestacci, gridando a pieni polmoni i termini del misterioso gergo commerciale usato in tale circostanza, un mix di latino medievale, di romanesco e lingua ebraica, noto solo ai “cottiatori” e a venditori al minuto, ai gestori di trattorie e ai valletti delle nobili famiglie romane, mentre Andrea avrebbe cercato, assai inutilmente, di darsi un contegno.
E alle due di notte, chiusa l’ultima grida, entrambi avrebbero partecipato alla colossale “cartocciata” di pesce fritto, offerta dai grossisti e benedetta in segreto dai litigiosi rabbini delle cinque sinagoghe del ghetto, le scole: la “Scòla Nova”, la “Scòla del Tempio”, la “Siciliana” di rito italiano, la “Castigliana” di rito spagnolo e la “Catalana”, la più importante dal punto di vista architettonico, costruita da Girolamo Rainaldi nel 1628.
La mattina del 24, mentre Beppe, insultato da Marta per la scarsa qualità del pesce comprato, doveva correre a comprare gli ultimi ingredienti del cenona alla Pescheria nova, a Via delle Coppelle e ai Mercati di Piazza Navona, di Piazza de’ Monti e di Piazza Scossacavalli, Andrea doveva partecipare ai riti goliardi dell’Università.
Con gli altri professori, doveva affacciarsi dal ballatoio di Sant’Ivo della Sapienza e lanciare fiori e dolciumi agli studenti che li acclamavano e applaudivano, anche se Francesca, memore del marchese Onofrio del Grillo, avrebbe voluto lanciare loro delle pigne.
Poi gli studenti avrebbero preso i professori sulle loro spalle, per portarli in trionfo sino alla statua di Pasquino, dove i capi della Goliardia davano loro i regali di Natale. ll pomeriggio, mentre Andrea si ostinava a continuare a lavorare al suo saggio e Beppe fingeva di riparare le automobili di famiglia, Marta si dedicava alla preparazione del cenone di magro, rispettando gli ordini del Principe Padre, che, oculato e tradizionalista, aborriva le novità gastronomiche della modernità.
Ci si vedeva tutti, nobili e servitori, nel salone da ballo, addobbato per l’occasione. Così si iniziava la cena un antipasto di olive, anguille, pescetti marinati e brodo di pesce; seguiva la pastasciutta al sugo di tonno, quindi il baccalà in umido con pinoli e zibibbo, accompagnato da broccoli e mele renette fritti in pastella. Infine pangiallo e torrone romano, accompagnati dalla malvasia dolce.
Neppure il tempo di sparecchiare, che cominciava la tradizionale tombolata, con il Principe Padre che teneva il tabellone, tirando con voce stentorea e uniforme i numeri, che faceva assopire Andrea e irritare Beppe, la cui sfortuna in qule gioco era diventata nota in tutta l’Urbe.
Poi, tutta la famiglia si trasferiva nella Sala Dante, affacciata su Fontana di Trevi, fatta costruire da quadrisnonno Stefano, per ospitare la preziosa biblioteca di famiglia e che nonno Appio aveva ristrutturato per ospitare le ventisette grandi tele costituenti la Galleria Dantesca, tele da lui commissionate a famosi pittori del tempo, tratte dai disegni di Filippo Bigioli.
Questi dipinti, di enormi dimensioni, di quattro metri per sei metri, venivano mostrati alternativamente al pubblico con speciali meccanismi e giochi di luci. Per l’inaugurazione della sala fu eseguita la Sinfonia Dantesca di Liszt per grande orchestra e cori, furono declamati un erudito discorso e nuovi versi composti su ispirazione delle scene della Divina Commedia illustrate.
Dipinti che annoiavano da morire il Principe Padre, uno delle poche che lo accomunava ad Andrea, che li aveva nascosti nella soffitta e che la utilizzava come sede del colossale presepe monumentale napoletano
Presepe che il Principe Padre montava di persona da metà ottobre e davanti cui i bambini del palazzo dovevano recitare il sermone, la poesia natalizia in onore di Gesù Bambino, cosa che riempiva di nostalgia per l’infanzia Andrea e di pessimi ricordi Beppe, date le busse con cui Padre Pucci lo motivava a mettere in moto la sua memoria…
E dopo questo, si correva i tutti alla messa di mezzanotte, uno dei pochi periodi in cui a Roma tacevano i computatori, nella Santa Maria Maggiore,seduti nei banchi riservati alla famiglia Borghese, proprio accanto alle reliquie della Mangiatoia di Gesù Bambino…
Essendo Natale, in cui siamo tutti più buoni e dato che alcuni lettori stanno cominciando a perdersi sulle vicende di Andrea e Beppe, che si articolano tra racconti, romanzi e testi teatrali, pubblicati da case editrici differenti, ho deciso di buttare giù uno schemino riassuntivo, per orientare al meglio chi si avvicina per la prima volta a questo universo narrativo e per fare il punto della situazione, stabilendo un ordine di lettura cronologico delle varie vicende
Colgo l’occasione per ringraziare e fare gli auguri di buon Natale a tutti coloro che mi hanno aiutato e sostenuto in questa impresa, credendo nelle qualità narrative del sottoscritto…