Approfittando delle splendide voci del coro di Piazza Vittorio, auguro una buona Vigilia a tutti… E come regalo per i miei lettori, provo a immaginare la lunga giornata di Andrea e Beppe.
Giornata che sarebbe cominciata alla mezzanotte del 23, presso il Portico d’Ottavia, con il “cottio”, dal latino medioevale “coctigium”, l’asta all’ingrosso del pesce, per il cenone di magro della vigilia.
Un misto tra una battaglia e uno spettacola teatrale, coloratissimo, rumoroso, pieno di gente, romani, forestieri, popolani, signori e signore fra i banchi che esponevano pesce di tutti i tipi, in cui Beppe avrebbe dato il peggio e il meglio di sè, tra boccacce, insulti e gestacci, gridando a pieni polmoni i termini del misterioso gergo commerciale usato in tale circostanza, un mix di latino medievale, di romanesco e lingua ebraica, noto solo ai “cottiatori” e a venditori al minuto, ai gestori di trattorie e ai valletti delle nobili famiglie romane, mentre Andrea avrebbe cercato, assai inutilmente, di darsi un contegno.
E alle due di notte, chiusa l’ultima grida, entrambi avrebbero partecipato alla colossale “cartocciata” di pesce fritto, offerta dai grossisti e benedetta in segreto dai litigiosi rabbini delle cinque sinagoghe del ghetto, le scole: la “Scòla Nova”, la “Scòla del Tempio”, la “Siciliana” di rito italiano, la “Castigliana” di rito spagnolo e la “Catalana”, la più importante dal punto di vista architettonico, costruita da Girolamo Rainaldi nel 1628.
La mattina del 24, mentre Beppe, insultato da Marta per la scarsa qualità del pesce comprato, doveva correre a comprare gli ultimi ingredienti del cenona alla Pescheria nova, a Via delle Coppelle e ai Mercati di Piazza Navona, di Piazza de’ Monti e di Piazza Scossacavalli, Andrea doveva partecipare ai riti goliardi dell’Università.
Con gli altri professori, doveva affacciarsi dal ballatoio di Sant’Ivo della Sapienza e lanciare fiori e dolciumi agli studenti che li acclamavano e applaudivano, anche se Francesca, memore del marchese Onofrio del Grillo, avrebbe voluto lanciare loro delle pigne.
Poi gli studenti avrebbero preso i professori sulle loro spalle, per portarli in trionfo sino alla statua di Pasquino, dove i capi della Goliardia davano loro i regali di Natale. ll pomeriggio, mentre Andrea si ostinava a continuare a lavorare al suo saggio e Beppe fingeva di riparare le automobili di famiglia, Marta si dedicava alla preparazione del cenone di magro, rispettando gli ordini del Principe Padre, che, oculato e tradizionalista, aborriva le novità gastronomiche della modernità.
Ci si vedeva tutti, nobili e servitori, nel salone da ballo, addobbato per l’occasione. Così si iniziava la cena un antipasto di olive, anguille, pescetti marinati e brodo di pesce; seguiva la pastasciutta al sugo di tonno, quindi il baccalà in umido con pinoli e zibibbo, accompagnato da broccoli e mele renette fritti in pastella. Infine pangiallo e torrone romano, accompagnati dalla malvasia dolce.
Neppure il tempo di sparecchiare, che cominciava la tradizionale tombolata, con il Principe Padre che teneva il tabellone, tirando con voce stentorea e uniforme i numeri, che faceva assopire Andrea e irritare Beppe, la cui sfortuna in qule gioco era diventata nota in tutta l’Urbe.
Poi, tutta la famiglia si trasferiva nella Sala Dante, affacciata su Fontana di Trevi, fatta costruire da quadrisnonno Stefano, per ospitare la preziosa biblioteca di famiglia e che nonno Appio aveva ristrutturato per ospitare le ventisette grandi tele costituenti la Galleria Dantesca, tele da lui commissionate a famosi pittori del tempo, tratte dai disegni di Filippo Bigioli.
Questi dipinti, di enormi dimensioni, di quattro metri per sei metri, venivano mostrati alternativamente al pubblico con speciali meccanismi e giochi di luci. Per l’inaugurazione della sala fu eseguita la Sinfonia Dantesca di Liszt per grande orchestra e cori, furono declamati un erudito discorso e nuovi versi composti su ispirazione delle scene della Divina Commedia illustrate.
Dipinti che annoiavano da morire il Principe Padre, uno delle poche che lo accomunava ad Andrea, che li aveva nascosti nella soffitta e che la utilizzava come sede del colossale presepe monumentale napoletano
Presepe che il Principe Padre montava di persona da metà ottobre e davanti cui i bambini del palazzo dovevano recitare il sermone, la poesia natalizia in onore di Gesù Bambino, cosa che riempiva di nostalgia per l’infanzia Andrea e di pessimi ricordi Beppe, date le busse con cui Padre Pucci lo motivava a mettere in moto la sua memoria…
E dopo questo, si correva i tutti alla messa di mezzanotte, uno dei pochi periodi in cui a Roma tacevano i computatori, nella Santa Maria Maggiore,seduti nei banchi riservati alla famiglia Borghese, proprio accanto alle reliquie della Mangiatoia di Gesù Bambino…
Detto questo, ancora auguri…
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