Ho un paio di sogni nella vita, nell’ambito della Street Art. Il primo è rendere il tunnel di Santa Bibiana una pinacoteca a cielo aperto per i writers romani, dove legalmente, in spazi e tempi delimitati, possano dedicarsi alle loro sperimentazioni: per capirci, una sorta di Stockwell Hall of Fame in salsa capitolina.
E a quanto pare, un’associazione, che non ha nulla a che vedere con il sottoscritto e con le Danze di Piazza Vittorio, ci tengo a specificarlo, perchè no pretendo di avere il monopolio della Street Art all’Esquilino non piace farmi bello con le fatiche e le idee altrui, specie quando, come in questo caso, sospetto si siano state versate lacrime e sangue per venirne a capo, è quasi riuscita a realizzare quest’idea…
Cosa che mi rende felice, perché più iniziative di questo genere si realizzano, maggiore è la vivibilità del Rione, ottenuta tramite la bellezza condivisa.
L’altro sogno, ancora più complesso da realizzare, è vedere un intervento di Banksy al Mercato Esquilino: questo perché il buon ragazzo di Bristol è forse il miglior interprete delle contraddizioni del contemporaneo.
Writers senza infamia e senza lode, è riuscito a portare alla perfezione una tecnica, quella dello stencil, già usata da altri grandi artisti come John Fekner e Blek le Rat, trasformandola in uno strumento, come la serigrafia per Warhol, per giocare con ironia con le paturnie e le contraddizioni della società in cui vive.
Ma se il buon ruteno, vivendo ai tempi del boom consumistico, demistificava la realtà concreta della Merce e dei beni di massa, Banksy, figlio della società postcapitalistica e webcentrica, si confronta con l’impalpabile mondo del virtuale, con le sue fake news, le sue paure e i suoi brand immateriali
Brand che è il suo stesso anonimato: nella società dei big data, questo sarebbe un segreto di pulcinella, basterebbe una settimana al massimo di lavoro per associarlo a un nome e un cognome.
Ma in una sorta di illusione collettiva, si finge di non conoscere la sua identità, perchè questa, paradossalmente lo virtualizza, dando l’illusione che sia un’entità astratta, libera dal Tempo e dallo Spazio, indulgente giudice delle nostre debolezze.
E proprio queste contraddizioni, figlie di una società magmatica e gassosa come quella contemporanea, trovano massima espressione urbana nell’Esquilino, il laboratorio cyberpunk della civiltà del futuro… Per cui sarebbe bello che i due mondi si incontrassero…
Ciao Luigi, è un piacere averti ospite qui sulle pagine virtuali di Kipple Officina Libraria. Per chi ancora non ti conoscesse, ti andrebbe di iniziare illustrandoci il tuo percorso letterario?
LM: Ciao Roberto, per me è un grande onore comparire sulle pagine di questo blog, da sempre tra i miei preferiti. Ho cominciato a scrivere una ventina d’anni fa, spinto e direi soprattutto confortato dai consigli di amici preziosi come Francesco Costa, Luciano Tas e Lia Levi.
La mia prima raccolta di racconti, Memorie a perdere, risale al 2009. Nel corso degli anni ho pubblicato alcuni romanzi e parecchi racconti, cercando di spaziare il più possibile tra i vari generi letterari: noir, mistery, sovrannaturale, horror e fantascienza, senza disdegnare la denuncia sociale, come nel romanzo «Ci sono stati dei disordini».
Negli ultimi anni ho scritto alcuni romanzi brevi tra l’horror e il noir in coppia con l’amica…
Progetto che vide coinvolto il nostro Centro Anziani e che fu finanziato, oltre che dall’università americana, anche dalla Fondazione Olivetti,dalla Roy A. Hunt Foundation e dalla Bitner Foundation.
Ora, mi ricordo che se ne parlava intorno al 2004/2005, ma essendo in quel periodo cominciata la mia personale versione di Casa Surace con il trasferimento a Milano, non seguì più la questione.
Anzi, visto che da quando ero tornato a casa, non ne avevo più sentito parlare, davo per scontato che quel progetto fosse abortito; finché, un settimanella fa, parlando con i miei amici del Mercato Esquilino, feci la mia solita figura da idiota…
L’opera non solo era stata realizzata, ma meritava di essere ammirata: così cominciò la mia peripezia. Tentai più volte di imbucarmi nell’Aula Magna, dove, a causa delle sessione d’esami, fui buttato fuori, nonostante tentassi di fingermi un turista inglese tonto e sperduto…
Alla fine, grazie alla gentilezza e disponibilità dei custodi dell’Università, che meritano un elogio pubblico, sono riuscito a spuntarla…
E sono rimasto a bocca aperta, per un’opera monumentale che è un grande atto d’amore per Roma e l’Esquilino… Ho scattato qualche brutta foto, perchè non rendono l’emozione che si prova nel vedere il tutto dal vivo, le ho caricate sui vari gruppi dell’Esquilino che si trovano su Facebook, convinto di essere spernacchiato, come l’unico che non avesse visto dal vivo tale capolavoro…
E invece, la seconda sorpresa: a quanto pare, non ero il solo a non conoscerla. Dello sforzo e del lavoro del 2005, si era persa memoria.
Ed è un vero peccato: sarebbe cosa buona, ma forse è una pia illusione che l’Esquilino si riappropriasse di un pezzo della sua storia, visto che tanti suoi abitanti vi hanno fatto da modelli e che, compatibilmente con le esigenze della facoltà, tale spazio potesse essere utilizzato per i tanti eventi culturali del Rione..
Kipple Officina Libraria presenta la raccolta di AA.VV. Aleppo c’è, curata dal collettivo Bibbia d’Asfalto. Dall’introduzione del Collettivo, estrapoliamo questi passi:
Abbiamo chiesto a scrittori e poeti di denunciare la tragedia umanitaria della Siria, prendendo come simbolo Aleppo, centro di carneficine e orrori che si sono susseguiti per mesi, interminabili e lunghissimi mesi, sotto i nostri occhi, impotenti ma offesi, immobili ma sensibili. Abbiamo detto ad Adorno che dopo Auschwitz non è solo doveroso ma necessario riparlare di stermini; che la Poesia lì non è morta, o se lo è, è rinata forte e urlante. La poesia, si sa, è fatta di parole. Di parole, non di soluzioni. Di cuore, non di falso buonismo. L’abbiamo scelta non per coprire il rumore delle bombe, ma per riempire quel vuoto assordante che viene dopo. Abbiamo scelto la poesia per costringere ognuno di noi, al caldo sicuro del proprio quotidiano, a…
I progressi nella robotica e nella produzione incrementale (additive manufacturing / 3D printing) sono diventati elementi chiave per le prospettive dell’industria spaziale. È diventato fattibile avviare sulla Luna un impianto autosufficiente e auto-espansivo a costi ragionevolmente bassi. Sono stati sviluppati semplici modelli matematici per identificare i principali parametri del successo di una installazione riuscita. Essi indicano che una installazione basata esclusivamente su risorse proprie può essere ottenuta con appena 12 tonnellate (MT) di materiale industriale vario trasportato sulla Luna durante un periodo di circa 20 anni. Meno di un LEM, il modulo di allunaggio dell’Apollo, che ne pesava circa 15. L’equipaggiamento sarà inizialmente gestito da una postazione remota, poi passato alla piena autonomia in modo che l’industria possa espandersi fino alla Fascia Principale degli Asteroidi e oltre. La strategia iniziale si basa su un sistema di sub-replicazione che evolve verso la piena auto-sostenibilità (l’isolamento…
Passarono un paio di giorni, credo. Questa volta, non avevo né bevuto, né bisbocciato. Anzi, stanco per una giornata folle al lavoro, con l’acqua alla gola per rispondere a un bando gara, avevo comprato da Radici, il locale salentino a via Emanuele Filiberto, una porzione di riso patate e cozze a portare via e una burrata. Le avevo mangiate, buttando le confezioni nella pattumiera, tanto sarebbero scomparse, se poi per merito dei mazzamurelli o per qualsiasi altro motivo, era un altro paio di maniche, e poi subito a letto.
Mentre armeggiavo per la cucina, per preparare il caffè e capire dove fossero finiti gli ultimi osvego, ebbi la sensazione che qualcosa non andasse. Mi girai verso la pattumiera. Era piena. Sospirai. Non avevo sognato tutto… E in qualche modo, Baillardo ce l’aveva fatta.
Il silenzio fu interrotto dal suono di un canto, proveniente da migliaia e migliaia di voci.
Compagni avanti, il gran Partito
noi siamo dei lavoratori.
Rosso un fiore in petto c’è fiorito
una fede ci è nata in cuor.
Corsi alla finestra del salone. Per viale Manzoni e via Principe Eugenio, marciava una folla sterminata di mazzamurelli, alzando il pugno chiuso verso il cielo e cantando l’Internazionale. Molti portavano bandiere rosse, ritratti di Marx e striscioni di ogni dimensione e colore.
Su alcuni d questi era scritto La proprietà è un furto, Proletari di tutto il mondo unitevi , Potere a chi lavora, ma, sulla maggior parte, spiccava un Sindaca caccia li sordi…
Così fu il mio turno, di scoppiare a ridere senza ritegno.
Anche nella mia famiglia abbondano anarchici e marxisti, nonno Ottavio se la passò brutta con i fascisti e ho persino un cugino che ha fondato un suo personale partito comunista, non sono mai stato interessato alla politica attiva: in compenso, mi ha sempre affascinato l’estetica delle grandi manifestazioni…
Uno dei ricordi che ho da bambino, sono le manifestazioni del 77, che percorrevano Viale Manzoni, con tante bandiere e slogan ritmati
Probabilmente avrà avuto ragione Ionesco, saranno diventati tutti notai, ma quella massa di persone ha colpito il mio immaginario: per cui, mi sono divertito a rendere loro omaggio, sperando che vi siate divertiti a leggere questo racconto, tanto quanto io mi sono divertito a scriverlo..
Per tornare al discorso sul cantiere di Assisi, i vari studiosi, dopo una serie di discussioni senza fine, peggiorate dal fatto che non si trovano documenti probanti, si stanno orientando sulla cosiddetta cronologia corta, che fa risalire l’inizio della decorazione della Basilica Superiore all’epoca di Niccolò IV, pontefice francescano. Testi che mi pare, ma non vorrei sbagliarmi, sia stata sostenuta la prima volta da Luciano Bellosi, basata sia su argomenti stilistici, sia su argomenti storici. I principali sono
Gli stemmi di Niccolò III, rappresentati da Cimabue sono troppo piccoli e visibili solo con un potente binocolo per voler rappresentare un omaggio al pontefice regnante. Più probabile che Cimabue abbia voluto dipingere una fedele riproduzione del Palazzo Senatorio dell’epoca;
La decorazione della basilica è omogenea da un punto di vista tematico e degli ornamenti e frutto di un programma chiaramente unitario: gli affreschi di abside e transetto non possono essere troppo distanti da quelli della navata, che devono essere stati terminati entro 1297, anno in cui la famiglia Colonna, omaggiata ne La Liberazione dell’Ereticode le Storie di San Francesco, cade in disgrazia;
I cosiddetti francescani spirituali, invocando il diretto insegnamento di povertà di San Francesco, si rifiutavano di arricchire i luoghi di culto francescani con opere d’arte. La linea spirituale prevalse nel capitolo generale di Narbona (1260) e ancora nel capitolo generale di Assisi del 1279 quando venne ribadita la scelta aniconica (senza immagini della divinità). Tuttavia la chiesa fu dichiarata dal pontefice Niccolò IV una basilica papale, scavalcando le norme dei francescani sulla povertà e la sobrietà.
Per cui, il periodo di esecuzione di tutta la decorazione va dal 1288, anno in cui la Basilica Superiore viene definita come basilica papale, al 1296: una compressione dei tempi, che implica come le varie botteghe che vi lavorarono procedettero in parallelo, scambiandosi idee, tecniche e maestranze.
Nel 1288, quindi, viene definito il programma complessivo della decorazione: programma che deve essere stato buttato giù in tempi rapissimi, tra il 16 maggio 1288, data in cui Matteo d’Acquasparta, ministro generale dell’ordine francescano, divene cardinale di San Lorenzo in Damaso e l’elezione a nuovo ministro generale di Raymond de Gaufredi, simpatizzante degli spirituali e quindi poco convinto dell’utilità di dipingere le chiese.
Programma che viene definito da Matteo d’Acquasparta e da Iacopo Torriti, che oltre ad essere uno dei pittori pontifici, per il suo stile classicista che riprendeva e riattualizzava quello paleocristiano, era anche un frate minore.
Proprio questo incarico fa pensare come, dato che non si poteva affidare un tale incarico al primo arrivato, debba essere anticipato di almeno una decina d’anni. Comunque sua Iacopo, vista la mole del lavoro, decise di coinvolgere oltre alla bottega per il Papa, quella di Cimabue, che pur essendo toscano, bazzicava la stessa committenza, essendo stato nel 1272 a Roma e avendo due o tre anni prima realizzato la Maestà della Basilica Inferiore, e il misterioso Maestro Oltremontano, un pittore inglese, di cultura figurativa gotica.
Intorno al 1291, vi è un cambio di gestione nel cantiere: Iacopo Torriti viene chiamato a Roma, dove è incaricato di decorare l’abside di San Giovanni, incarico ben più prestigioso di Assisi, Cimabue torna a Firenze e del Maestro Oltremontano si perdono le tracce.
Così, la direzione della bottega toscana, che in termini di forza lavoro pare essere stata la più numerosa, da alcuni conteggi risulterebbe essere costituita da una quindicina di persone, viene presa dal Maestro della Cattura, forse Gaddo Gaddi e quello dell’Andata al Calvario, che dovrebbe essere il buon Giotto.
La bottega romana è affidata al Maestro d’Isacco, probabilmente Pietro Cavallini, che essendo Petrum de Cerronibus, probabilmente era nato all’Esquilino e che essendo nato nel 1240, era il babbione del gruppo, e al Maestro della Pentecoste, di cui poco si sa, tranne che, per motivi stilistici, doveva aver bazzicato il Maestro d’Oltralpe
La bottega inglese, di quattro gatti, è presa in carico dal Maestro del Compianto.
Il Maestro d’Isacco, essendo il più autorevole ed esperto della banda, avendo alle spalle la decorazione della Basilica di San Paolo fuori le Mura, svolgeva il ruolo di prothomagister ossia occupava del punto di vista progettuale e organizzativo, di normalizzatore, incaricato a far sì che il risultato finale fosse omogeneo, e sollicitator fabricae, una specie di controllore dell’efficienza del cantiere, finalizzato a una solerte e valida conclusione dei lavori.
E con questi ruoli da una parte, con il suo classicismo nel rappresentare la figura umana e l’attenzione per la spazialità, influenza le altre botteghe, dall’altra cambia il metodo di lavorare, trasformandolo da “ponteggio” a “giornata”, razionalizzando così tempistiche e risorse, modolità che diventerà standard, tanto da essere utilizzata persino nella moderna street art.
Razionalizzazione che, vista l’omogeneità delle proporzioni di molto delle figure presenti negli affreschi, potrebbe far pensare all’utilizzo dei patrones, figure sagomate e disegni su carta oleata o cerata che servivano per semplificare la realizzazione delle sinopie
Così dal 1294, in poi, il tour de force affronta le storie di San Francesco: il Maestro d’Isacco, con la sua bottega romana, esegue gli affreschi che vanno da San Francesco dona il suo mantello al Povero, alla Visioni dei troni. Dalla visione di San Francesco alla Visione di Frate Agostino gli affreschi sono opera della bottega toscana, capeggiata da Giotto, mentre i rimanenti, tranne una parte di Francesco davanti al Sultano a liberazione dell’Eretico, farina del sacco del Maestro della Pentecoste, sono frutto della bottega inglese, forse guidata sempre dal Maestro del Compianto, con lo stile aggiornato secondo le novità romane e fiorentine.
Nel 1296, l’impresa termina: il Maestro d’Isacco alias Cavallini torna a Roma, per dedicarsi alla decorazione di Santa Maria in Trastevere, Giotto torna a Firenze, per godersi i frutti del lavoro fatto, portandosi dietro un linguaggio più moderno rispetto al resto della bottega di Cimabue e il Maestro del Compianto va in Nord Italia, vagabondando tra Piemonte e Lombardia, dando così un contributo alla nascita della scuola padana del Gotico Internazionale.
Devo confessare che un rapporto conflittuale con i personaggi dei miei romanzi: appena scritta l’ultima riga, me ne vorrei liberare, buttarli in una discarica e non averne più a nulla a che fare…
Poi spesso tornano nei miei sogni e sono costretto a ripensarci: così mi accorgo che hanno ancora molto da dire: così, come un povero schiavo in balia delle paturnie di un padrone esigente, sono costretto a dare loro di nuovo voce…
Stavolta è il turno di un personaggio di Lithica, la cui ispirazione mi è nata da un paio di canzoni: l’Uomo nell’Alto Castello dei Modena City Ramblers e Bisanzio di Guccini…
Beh, bando alle ciance ed ecco a voi la quarta parte del racconto…
All’improvviso, mi ritrovai sui bastioni di un alto castello, con accanto il folletto vestito da prete, che mi fece un ghigno
“Devo andare, devo andare”.
E si buttò giù dai merli, con Il Capitale stretto sul petto, a fargli da zavorra. Rimasi con un palmo di naso. Non sapendo cosa fare, mi affacciai. Lo spettacolo era inquietante: un valle piena piena di mondezza, di ogni genere e risma, con migliaia di mazzamurelli che saltavano, scavavano, trituravano, trascinando strani macchinari a vapore. Il tutto cantando a pieni polmoni l’intera discografia der Califfo, e questo non mi dispiaceva, e ahimè dei Ricchi e Poveri.
Come risultato, una cacofonia quantistica di urla, stridii, di tutto il resto è noia e di mamma mamma mamma Maria mamma… All’improvviso, il silenzio: si alzarono dai cumuli di mondezza delle colonne di fuoco bianco, rosso e nero, senza che si vedesse del fumo.
Così come erano arrivate, le colonne di fuoco scomparvero; ricominciò così la tortura per le mie povere orecchie.
Mi allontanai dagli spalti e senza preavviso mi trovai davanti un vecchio, dai capelli bianchi e con rughe accentuate rughe d’espressione: indossava un completo blu elettrico, che sembrava essere uscito da qualche romanzo vittoriano, comprensivo di cilindro, monocolo e un paio di baffetti arricciati. Anche se non mi sembrava ne avesse bisogno, era dritto come un fuso, si appoggiava a un bastone da passeggio di canna di bambù, con l’impugnatura decorata con una testa d’aquila a scacchi.
Sì inchinò con eleganza e con vigore, mi fece segno di seguirlo. Sia per l’aspetto rassicurante, uno psicopatico non credo vestirebbe mai come un dandy, sia perché volevo tornare quanto prima nella mia cucina, lo assecondai senza problemi.
Entrammo in salone, che non sarebbe sfigurato in una poesia di Gozzano: la carta da parati a fiori, i mobili stile impero, un Loreto impagliato ed il busto d’Alfieri e di Napoleone I e fiori secchi in cornice. In una teca, vi era una maschera, che dava l’aria di essere un qualche reperto archeologico, tutta ricoperta di conchiglie. Un grammofono continuava a suonare
Maramao perché sei morto
Il vecchio si sedette e mi scrutò.
“Mi scuso per i mazzamurelli… Purtroppo sono convinti di essere alquanto intonati, nonostante l’evidenza dei fatti. Ma che fa in piedi ? Si sieda”.
Benché il tono fosse gentile, ebbi come la sensazione che due mani invisibili mi prendessero e mi trascinassero a forza sulla poltrona.
“Chi è lei ?”.
“Qui mi faccio chiamare Baillardo, ma ho cambiato talmente tanti di quei nomi, da non dargli più peso… Stat Roma pristina nomine, nomina nuda tenemus”.
“Il grande mago!”.
Il vecchietto schioccò le dita: davanti a me apparve un vassoio pieno di bon bon e con un calice dotato di coppa di misura ridotta, piena di un liquido paglierino.
“Sì, senza falsa modestia, anche se preferisco il titolo di Ierofante… Per servirla… Su, su favorisca pure, non voglio certo avvelenarla… I sampietrini li ho presi da Fassi e il bicchiere è pieno di Zibibbo, quello buono, non la mondezza che vendono al supermercato”.
“ A proposito di mondezza, Opus Magnum ? Ma che vuole utilizzare il contenuto dei cassonetti di Roma per conquistare il Mondo ?”.
Lo, so a raccontarlo sembra un’idiozia, ma temevo di trovarmi di fronte a qualche cattivone da fumetto, pronto a spiattellarmi qualche elaboratissimo e strampalato piano di dominio, per poi farmi torturare a morte dai mazzamurelli. Il vecchietto, intuendo forse i miei pensieri…
“ A quanto pare i mazzamurelli non sanno tenersi il cecio in bocca ! Vede… A proposito, quale è il vostro nome ? Sono stato così screanzato da non chiedere…”.
“Andrea”.
L’anziano fece una cosa che non mi sarei mai aspettato: cominciò a ridere senza ritegno, quasi a soffocarsi.
“Mi scusi, Andrea, ma ha volte sospetto che il Fato abbia uno strano senso dell’umorismo… In un altro mondo e in un altro tempo conobbi un uomo del vostro nome… A dire il vero, con lui e con i suoi amici non mi comportai nel migliore dei modi, ma ero più giovane e privo di buonsenso”.
“Quindi non ha strani sogni di dominio ?”.
Baillardo sospirò; per un attimo ebbi l’impressione di trovarmi davanti a una di quelli mummie, che riempivano i corridoi del museo egizio di Torino.
“Temo che abbia frainteso le mie intenzione. Persino i mazzamurelli, non sono schiavi, ma onesti impiegati, tutelati dalle vostre leggi sul lavoro. Anzi, mi devo ricordare di mandare le fatture al Campidoglio, per liquidare i loro servizi.
Sono troppo vecchio e ho visto troppi universi, per non considerare come futili le cose al cui il volgo da soverchio valore… Come le raccontavo, in un mondo simile al vostro, dove però dominava la forza del vapore, commisi un torto, ai danni del suo omonimo. Da quel momento in poi, come Ahasuerus, sono condannato a vagare di terra in terra. Voglio solo tornare a casa, per morire nei luoghi che mi hanno visto nascere.”
“Sì, ma la monnezza ?”.
“Serve per alimentare il Rubedo, l’opera in rosso, la chiave per aprire la porta per il prossimo Universo, sperando sia quello giusto… Ahimè, lo so che suona strano, ma da voi funziona così ! In altre dimensioni, il procedimento è assai meno disgustoso e me lo conceda, puzzolente…”.
“Capisco ? Quindi mi rimanderà a casa ? Avrò cancellata la memoria ?”.
Il vecchietto alzò gli occhi verso il soffitto; temetti di avere messo alla prova la sua pazienza, con le mie richieste.
“A casa, anche subito… Poi, non capisco la storia della memoria… Non ho nulla da nascondere, io. Ho persino reso pubbliche le mie intenzioni, come si usa da voi, pubblicandole su Facebook, Twitter, Linkedin e Instagram . Se non fossi prossimo al raggiungimento del risultato, le chiederei l’amicizia… ”.
“Ehm…”.
“Ho ottenuto una sessantina di like, qualche commento con scritto Cosmico, Cì e uno ha scritto Sempre i soliti buonisti… Certo di mondi strani li ho visti, ma voi li battete tutti”.
Annui con vigore.
“Ha confermato una mia opinione”.
La pendola batté quattro colpi: il vecchietto si alzò, sorridendomi.
“Temo si sia fatto tardi per lei e che domani, come le persone normali, debba andare al lavoro…”.
“Effettivamente”.
Il vecchio mi indicò una porta.
“Mi segua”.
“Volentieri”.
Entrammo in un magazzino, che pareva quello della scena finale di Indiana Jones e l’Ultima Crociata. Gli scaffali erano stracarichi delle cose più strane, specchi etruschi simili a quelli che stanno a Villa Giulia, lame di ossidiana, elmi piumanti, strani esseri impagliati. Mi cadde l’occhio su una soglia di marmo, sui cui era stata incisa, con la punta di un pugnale, la scritta
Non fidarti di Serpenti e Volpi
Baillardo scosse il capo.
“Sa, ogni tanto penso di dovere fare un poco di pulizia, buttando parecchie di queste cianfrusaglie. Ma è difficile liberarsi dalla schiavitù dei ricordi”.
Ci trovammo davanti a un cerchio, tracciato in gesso azzurro. Il vecchio mi fece segno di entrarci. Stavo per eseguire i suoi ordini, quando esitai un istante e mi girai a scrutarlo.
“In bocca al lupo, gran Mago”.
“Ierofante, lo preferisco… Crepi il lupo”.
Traversai la circonferenza, per ritrovarmi tra le mie coperte. Guardai l’orologio. Erano le tre di notte… Forse mi ero sognato tutto.
La Torre Nera (The Dark Tower), mischiando abilmente fantasy, fantascienza, horror e western ha saputo conquistare milioni di fan in tutto il mondo, grazie anche all’abilità indiscussa dell’autore: Stephen King. Ora la saga sbarcherà anche al cinema con l’adattazione del regista danese Nikolaj Arcel. Vi proponiamo il trailer (che sembra promettere molto bene).