
Ultimo giorno del diario palermitano: siamo tornati a casa, Manu si è un poco stancata del viaggio, anche perché, a causa di un volo strapieno, la Ryanair non ha potuto supportarla al meglio. In compenso, debbo elogiare l’organizzazione del servizio di assistenza dell’Aeroporto di Palermo, encomiabile per la sua qualità.
Ora ci sono quattro giorni per recuperare la fatica del viaggio, in attesa cosa ci diranno alla visita di controllo: io da parte mia, sono abbastanza ottimista.
Per cui, per concludere il mio diario palermitano, se Dio vorrà lo riprenderò sotto Natale, se nelle prime puntate ho parlato di un Principe Mago, ora per concludere parlerò di un Principe Santo, che al di là delle proprie convinzione religiose, è da ammirare, perché diede tutti i suoi beni ai poveri, Francesco Paolo Gravina.
Per fare questo, facciamo due passi nel Kalsa, dall’arabo “al-Halisah” cioè l’eletta, dove vi era il Palazzo degli Emiri di Balarm. Tra via IV Aprile, via Alloro e vicolo Palagonia all’Alloro si trova il medievale palazzo Palagonia, dove Francesco principe di Palagonia e di Lercara Friddi, nacque nel 1800.
Palazzo, in cui fu ospite anche Nelson, Gravina. Sopravvissuto ai bombardamenti della primavera/estate del 1943 e ad un destino di demolizione previsto dal piano regolatore del ’68, in cui Francesco, nonostante i parenti bigotti, si comportava come un normale nobile palermitano, con le giornate dedicate alla bisboccia e alla nobile arte di far niente. Finchè, innamorato della principessa Nicoletta Filangeri e Pignatelli, figlia del principe di Cutò, la sposò il il 14 marzo del 1819. Però, poco tempo dopo, la principessa si invaghì di un giovanissimo vicino di casa, Francesco Paolo Notarbartolo e Vanni, principe di Sciara. Tra i due iniziò una relazione clandestina nel palazzo dei Notarbartolo, a pochi metri da quello dei Palagonia. La passione diventava sempre più travolgente, tanto che Nicoletta iniziò ad andare a trovare il suo amante anche di notte, ritornando a casa all’alba.
Invece di far fare alla moglie la fine della Baronessa di Carini, il principe cercò di tollerare e di riconciliarsi con la moglie finché, un giorno, le fece trovare il portone sbarrato e un servo in livrea che, a nome suo, la invita “a tornarsene da dove era venuta”.
Dopo questo episodio, Francesco si rintanò in casa, per uscirne dopo un anno: una persona normale, forse, si sarebbe dedicato alla pazza gioia, ma lui, scelse una strada differente. Va nei luoghi più disgraziati di Palermo, con borse piene di monete d’oro che regala ai poveri, dispensando alimenti e trasforma Palazzo Palagonia, in una sede di un ente benefico, destinato all’accoglienza dei senzatetto.

Quattro passi e arriviamo al trionfo barocco di Santa Maria della Pietà, da cui parte ogni anno la processione dell’Immacolata, dove si trova la lapide che ricorda il battesimo di Francesco e la chiesa della Gancia, dal latino ganea, luogo solitario e isolato, fondata come ospizio e come ricovero per pellegrini, dall’Ordine dei Frati Minori Francescani arrivati in Sicilia intorno al 1212 e in cui pochi lo sanno, venivano seppelliti gli inquisitori spagnoli, tra cui Don Juan Lopez de Cisneros ucciso nelle segrete dello Steri “dall’eretico” frà Diego la Matina nel 1657, la cui vicenda è stata raccontata da Leonardo Sciascia nel suo libretto “Morte dell’Inquisitore”.

Chiesa dove Francesco andava sempre a pregare e che è legata a un fatto drammatico: l’uccisione, il 4 aprile 1860, di quasi tutti i rivoltosi che stavano preparando una insurrezione antiborbonica con le armi nascoste nel convento.

Si salvarono solo i due capi rivolta, Gaspare Bivona e Filippo Patti, nascosti per giorni al buio tra i cadaveri della Cripta. Come si legge nella lapide che riporta la data del 9 aprile 1860, i due riuscirono a fare un buco nel muro ed a comunicare con una popolana. La donna organizzò un piano per distogliere le guardie dalla Chiesa: simulando una rissa tutta al femminile creò un tale caos che i due capi rivolta riuscirono a fuggire tramite la Buca della Salvezza.

Più avanti, sempre nella Kalsa, vi è lo Spasimo, una volta sede del Brass Group, un’eccelsa scuola di jazz. Una chiesa che nel 1518 fu arricchita da un capolavoro di Raffaello, l’andata al Calvario o Spasimo di Sicilia, in cui si reinterpretano la Piccola e la Grande Passione di Dürer e che nel 1582 la chiesa venne adibita a sede di spettacoli pubblici, una specie di primo esempio di “teatro stabile” in Italia; successivamente un’epidemia di peste ne rese necessario l’utilizzo come lazzaretto per gli ammalati. Terminata l’epidemia, gli ambienti furono adibiti a granaio e a magazzino. A metà del settecento crollò la volta della navata centrale della chiesa, che non verrà mai più ricostruita.
Quando Francesco fu eletto pretore, ossia sindaco di Palermo, tentò di trasformare il tutto nell’equivalente del nostro San Michele a Ripa: il Deposito di Mendicità, un’opificio comunale in cui i poveri potessero trovare lavoro e formazione professionale.

Usciti dalla Kalsa,ci rechiamo a corso Catalafimi, all’Albergo delle Povere, fondato nel Settecento da un antenato di Francesco e ampliato da Carlo di Borbone, che voleva replicare a Palermo quanto realizzato a Napoli dal Fuga, ossia un luogo in cui potessero essere accolti poveri inabili, storpi, giovani vagabonde ed orfane e potessero essere impiegate per tessitura di capi in tela ed in seta, che servivano al confezionamento di tende ed abiti per i palermitani. Tra l’altro, forse mio nonno sarà stato ospite qualche volta del rifugio antiaereo costruito sotto quel palazzo…
Comunque sia, durante la grande epidemia del colera, che fece 27.000 morti a Palermo, Francesco divenne amministratore dell’Albergo delle Povere, gestendo per come poteva l’emergenza sanitaria e mantenendo di tasca sua più di 1000 poveri.

Più avanti, Palazzo Reale, dove nella Cappella Palatina, accanto ai mosaici bizantini e i pavimenti cosmateschi, vi è il soffitto, un capolavoro dell’arte fatimide, in cui nelle muqarnas dei cassoni lignei, dipinte con immagini rare e iscrizioni cufiche, presentano ornamenti fitoformi e zoomorfi, uccelli, animali fantastici e mitologici e figure umane, impegnate scene di caccia, di guerra e d’amore, suonatori, danzatori e danzatrici del ventre, giocatori di scacchi.
E qui in occasione dellaa rivoluzione antiborbonica del ’48, Francesco si schierrò all’interno del parlamento siciliano (era membro della camera dei pari) in favore dell’indipendenza dell’isola. I Borboni ritorneranno nel ’49, ma lui per intima coerenza non farà abiura di quell’atto, a differenza di molti altri opportunisti, il che gli alienò le simpatie della corona.

Un piccolo sguardo alla chiesa di Baida, dove fu sepolto nella nuda terra e un salto a Bagheria, dove un suo antenato, folle in modo differente, fece costruire la villa estiva della famiglia Palagonia, considerata dai viaggiatori Settecenteschi uno dei luogo più originali al mondo. Goethe ne rimase talmente impressionato da descrivere alcuni mostri della villa nella “Notte di Valpurga” del Faust. All’ingresso si legge: “Specchiati in quei cristalli e nell’istessa magnificenza singolar contempla di fralezza mortal l’immago espressa” riferendosi agli specchi che rovesciavano con un particolare gioco di sovrapposizioni, l’intera volta del soffitto, oltre che i lati nelle più complesse disposizioni.
Una villa che, con le sue statue, rappresenta una metafora potente delle varie fasi dell’opera alchemica, con il passaggio dal dominio della materia a quello dello spirito: cosa che Francesco fece semplicemente vivendo