Per prima cosa, buon Ferragosto a tutti, anche se la giornata è quasi finita. Il bollettino medico è abbastanza monotono: Manu ogni giorno compie un piccolo passo avanti. I dolori diminuiscono e fa sempre qualche passetto in avanti.
Io le sono sempre vicino e per penitenza della mia dabbenaggine, che le ha causato l’infortunio, mi sono vietato di andare alla mostra del Serpotta, scultore di cui sono innamorato, all’Oratorio dei Bianchi.
Per non fosse esperto di vita palermitana, l’Oratorio dei Bianchi è l’equivalente locale del nostro San Giovanni Decollato: la sede di una confraternita deputata a confortare e convertire i condannati a morte..
Immaginatevi la scena: il condannato, dopo essere uscito dalle grinfie dell’Inquisizione, ossia dal famigerato carcere degli Steri, o del braccio secolare, era consegnato al Presidente di Giustizia che mandava il “biglietto d’avviso” alla Compagnia dei Bianchi, dal colore della tunica che indossavano, e da li cominciavano, per lo sfortunato, una serie di sfracellamenti di cabasisi, al grido di “Pentite Fijo”
I confrati, tutti nobili palermitani vestiti con saio bianco e cappuccio calato sul viso, per tre giorni ehm confortavano l’afflitto, invitandolo a un’ottima confessione e comunione, salmodiandogli attorno notte e giorno.
Per essere più convincenti nel loro invito alla penitenza, i confratelli varie volte, fingendo che fosse giunta l’ora dell’esecuzione, andavano a prelevarle il condannato verso l’alba con i ceri accesi, annunciandosi da lontano al canto del “Miserere” e del “De Profundis”, impiegando ore per percorrere corridoi lunghi solo qualche decina di metri, facendo rischiare un coccolone al poveretto. La beffa è che terminata tutta questa sceneggiata, andavano a chiedergli se fosse o no rimasto edificato dalla esperienza fatta, e se ritenesse di aver fatto una preparazione al gran passo.
Terminate questa sorta di prove generali, il giorno dell’esecuzione i Bianchi erano in prima fila nel corteo che portava il condannato al patibolo. Nel caso che come a Roma, il Venerdì Santo i Bianchi chiedessero la grazia per un condannato, non è che questi ottenesse un gran vantaggio da ciò, essendo spedito a remare sulle galee spagnole… Insomma aveva scambiato una morte rapida con una lenta eutanasia.
Per tornare all’Oratorio, imponente, dallo splendido scalone a doppia rampa in marmo bianco, dagli affreschi barocchi, al pavimento in maioliche della sala dell’adunanza, dopo anni d’incuria è diventato una sorta di museo, collegato a Palazzo Abatellis. Oltre alle opere di Gagini e di Serpotta, queste provenienti dalla non più esistente chiesa delle Stimmate, dove adesso vi è il teatro Massimo, custodisce la storica “Bab-al Futuh” (da cui, secondo la tradizione, il normanno Roberto il Guiscardo nel 1071 entrò vittorioso in città), porta urbica, l’unica dell’antica “Al–Halisah” (Kalsa), la quale si conosce l’esatta ubicazione, costituita da un semplice fornice a sesto acuto, è rimasto uno degli ultimi reperti di epoca araba con una datazione certa (956 D.C).
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