Ogni tanto qualche giornalista, per riempire una mezza pagina, ritira fuori il racconto della Novorossijsk, ex Giulio Cesare, affondata dai reduci della X MAS, benché gli storici l’abbiano smentito in ogni modo.
Però, è interessante, capire come sia nata e cresciuta questa fake news, specie in periodo come il nostro, in cui le bugie sono diventate le basi principali della politica.
La corazzata Giulio Cesare fu costruita dall’Ansaldo nel cantiere navale di Sestri Ponente, dove il suo scafo venne impostato sugli scali il 24 giugno 1910.
La nave, varata il 15 ottobre 1911, venne completata il 14 maggio 1914, proprio alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, dove in pratica, non sparò un colpo, limitandosi ad andare su e giù tra Ionio e Adriatico.
Nel 1923 il Giulio Cesare prese parte all’attacco all’isola greca di Corfù, come rappresaglia per l’uccisione di rappresentanti italiani a Giannina.Il 27 agosto 1923 la missione militare italiana, presieduta dal generale Tellini e incaricata dalla Conferenza degli Ambasciatori della delimitazione del confine greco-albanese, era stata trucidata in un’imboscata ed il capo del governo italiano Mussolini chiese che la flotta greca in un’apposita cerimonia rendesse gli onori alla bandiera italiana. La proposta era stata rifiutata dal governo greco e Mussolini replicò inviando una divisione navale composta dalle corazzate Cavour, Cesare, Doria e Duilio ad occupare Corfù. Dopo che le navi italiane bombardarono il 29 agosto il vecchio forte della città, il governo greco dovette accettare l’imposizione degli onori alla bandiera italiana che la Squadra navale italiana ricevette al Falero, uno dei porti presso Atene.
Il 12 maggio 1928 la nave venne posta in disarmo a Taranto e dal 1928 al 1933 utilizzata come nave d’addestramento per gli artiglieri. Nell’ottobre del 1933 lasciò La Spezia per rientrare in cantiere fino al 1937 per un radicale riammodernamento.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Giulio Cesare fece una barbina figura nella battaglia di Punta Stilo, per poi essere dichiarata obsoleta nel 1942. Con il trattato di pace, l’Unione Sovietica, come rimborso dei danni di guerra subiti a causa della Campagna di Russia, chiese la consegna di parte della flotta italiana: l’obiettivo di Stalin era di ottenere le corazzate della classe Littorio, ma essendo queste destinate alla demolizione, si dovette accontentare di soluzioni alternative
Così, il governo italiano scatenò la caccia a tutti i possibili catorci della flotta, per darvi una riverniciata e spacciarli come ehm efficienti e moderne navi da guerra. Tale destino, oltre alla Giulio Cesare, toccò alla nave scuola Cristoforo Colombo,la gemella dell’Amerigo Vespucci, l’incrociatore Emanuele Filiberto, i cacciatorpediniere Artigliere e Fuciliere, le torpediniere Classe Ciclone Animoso, Ardimentoso e Fortunale, e i sommergibili Nichelio e Marea, il cacciatorpediniere Riboty ed altro naviglio, quali MAS e motosiluranti, vedette, navi cisterna, motozattere da sbarco, una nave da trasporto e dodici rimorchiatori.
La commissione sovietica si accorse solo parzialmente della sola che stava subendo, solo il Riboty e parte del naviglio minore fu rifiutato e sostituito con un rimborso in denaro: l’unico a rendersi conto della patacca fu Malyšev, dal 1939 Commissario del Popolo per l’industria pesante, inviato ad ispezionare la Giulio Cesare durante i lavori di approntamento per il trasferimento all’Unione Sovietica.
Malyšev espresse un parere sfavorevole alla sua cessione, ritenendo la nave non solo di superato valore bellico, ma anche di limitato impiego a causa del generale degrado di apparati e strutture in conseguenza della limitata manutenzione cui l’unità era stata oggetto per tutto il periodo dell’internamento e della cobelligeranza. Il parere di Malyšev tuttavia non venne tenuto in considerazione da Stalin per ragioni di prestigio diplomatico, così la Giulio Cesare il 15 febbraio 1949 raggiunse Sebastopoli e il e, il 5 marzo 1949 venne ribattezzata Novorossijsk ed inquadrata nella Flotta del Mar Nero.
Gli ammiragli sovietici che pensavano di avere fatto bingo, avevano le corazzate Oktjabr’skaja Revoljucija e Parižskaja Kommuna, due vecchie unità della Classe Gangut, risalenti alla prima guerra mondiale e rimodernate negli anni trenta, ci misero poco a comprendere l’immane fregatura subita.
La nave al momento della consegna era in condizioni molto trascurate, in quanto dal 1943 al 1948 aveva avuto una scarsissima manutenzione se si eccettuano alcuni piccoli lavori di riparazione alle parti elettromeccaniche, effettuati a Palermo. La Giulio Cesare presentava ruggine in vari punti, il fuoribordo era in pessime condizioni e lungo la linea di galleggiamento erano attaccate numerosissime conchiglie. In condizioni soddisfacenti la maggior parte delle armi, tranne l’armamento antiaereo minore, e la centrale elettrica principale, così come l’opera viva che era stato trattata con vernici anti-incrostanti, mentre erano in pessime condizioni valvole e tubazioni ed erano praticamente inutilizzabili i generatori diesel di emergenza.
I tubi dei sistemi antincendio e le tubazioni delle caldaie erano pieni di incrostazioni, e per quanto riguarda le cucine, solo quella della mensa ufficiali era pienamente funzionante.I locali destinati all’equipaggio non erano inoltre adeguati alle caratteristiche climatiche della regione del Mar Nero, in quanto essendo stata la nave progettata per operare nel Mediterraneo i locali equipaggio erano scarsamente isolati dall’esterno, e questo, nel periodo invernale, quando era maggiore la differenza tra la temperatura interna dei locali riscaldati e quella esterna molto più fredda, causava il formarsi di condensa, in particolare nella zona di prua, con la conseguenza che pioveva all’interno dei locali.
Il comando della Flotta del Mar Nero cercò di trasformare la nave nel più breve tempo possibile in una vera e propria unità di combattimento, ma la situazione era complicata dal fatto che parte della documentazione, esclusivamente in italiano, non era disponibile. Insomma, passando più tempo in cantiere che in mare, si era trasformato in un pozzo senza fondo; un qualsiasi complotto per affondarla, sarebbe stato un piacere, non un danno alla Marina Sovietica…
La sera del 28 ottobre 1955, dopo essere tornata da un viaggio di partecipazione alle celebrazioni del centenario della difesa di Sebastopoli, la nave venne ormeggiata ad una boa nella baia di Sebastopoli a 300 metri dalla riva, di fronte ad un ospedale. Alle ore 1:30 della notte del 29 ottobre, un’esplosione, della potenza stimata di 1 200 kg di TNT sotto lo scafo squarciò tutti i ponti dalla corazzatura, dal ponte inferiore fino al ponte del castello di prua, aprendo uno squarcio sulla carena di oltre 340 metri quadrati su entrambi i lati della chiglia, per 22 metri di lunghezza. La nave s’inclinò in 3 minuti, a 110 metri dalla riva, dove la profondità delle acque era di 17 metri, con ulteriori 30 metri di fango viscoso sul fondo della baia di Sebastopoli. A bordo della Novorossijsk vi era un migliaio di marinai: parte dell’equipaggio e 200 cadetti. Si calcola che al momento dell’esplosione persero la vita dai 150 ai 175 uomini dell’equipaggio che si trovavano nella zona della deflagrazione.
Sul ponte del castello di prua il foro misurava 14 x 4 metri. L’esplosione fu talmente forte da essere registrata anche dai sismografi della Crimea.
Alle 2:00, il comandante delle operazioni della Flotta, Capitano di 1° rango Ovčarov, ordinò “di rimorchiare la nave in un punto poco profondo“, ma alle 2:32 la nave s’inclinò a tribordo, mentre i rimorchiatori trascinavano la corazzata. Dopo 10 minuti, la nave s’inclinò di 17 gradi, quindi il capo di stato maggiore della Flotta del Mar Nero contrammiraglio Nikolaj Ivanovič Nikol’skij, chiese al Comandante della Flotta del Mar Nero, Viceammiraglio Viktor Aleksandrovič Parchomenko, e al Viceammiraglio Nikolaj Michajlovič Kulakov, del Consiglio militare della Flotta del Mar Nero, di evacuare i marinai non necessari ai lavori di recupero, ma la risposta fu negativa.
La nave affondò lentamente dalla prua, capovolgendosi sul lato sinistro, alle 4:15 di notte, 2 ore e 45 minuti dopo l’esplosione, quando aveva già imbarcato più di 7 000 tonnellate di acqua, con centinaia di marinai, che si trovavano sul ponte, caduti in acqua e coperti dallo scafo della corazzata.Il capovolgimento venne accelerato dall’allagamento dei ponti, causato dall’equipaggio stesso, per evitare l’esplosione dei restanti depositi di munizioni. La nave è rimasta 18 ore in questa posizione con l’albero piantato nel fondale e alle 22:00 lo scafo era completamente scomparso sotto l’acqua, con centinaia di marinai intrappolati nei compartimenti della nave.
Alla fine, morirono ben 606 marinai: che diavolo era successo ?
Durante la seconda guerra mondiale, Sebastopoli fu soggetta a un blocco navale, in cui furono utilizzate migliaia e migliaia di mine magnetiche: mentre in Occidente, in condizioni analoghe, si fecero salti mortali per farle brillare ed eliminare il pericolo, in URSS, la questione, per mancanza di denaro e di competenze, fu presa assai sottogamba. A questo si aggiunse il fatto che i vertice della flotta fossero nominati più per fedeltà a Stalin che per effettiva competenza.
Per cui, in soldoni, l’affondamento della Novorossijsk fu causato da un incapace che prese in pieno una mina tedesca che nessuno si era mai preso la briga di disinnescare: ora, ammettere che la propria flotta, tanto decantata dalla propaganda e per la quale erano stati spesi tanti bei rubli, era costituita da scarti altrui in mano a dei completi incapaci, non era molto piacevole. Quindi, le autorità sovietiche decisero di nascondere il disastro, e nessuna menzione di quanto era accaduto venne fatta nell’ambito della stampa nazionale. Le vittime furono sepolte in una fossa comune in un cimitero militare locale ed ai sopravvissuti, riassegnati ad altri reparti, venne dato l’ordine di tacere l’avvenimento.
Ma nascondere il relitto ingombrante di una corazzata, proprio dinanzi all’imbocco di uno principali porti del Mar Nero, non era una cosa molto semplice: così, per tranquillizzare l’opinione pubblica, il KGB decise di utilizzare un metodo antico come il cucco, quello di attribuire i problemi ai complotti dei nemici esterni.
Così venne tirato in ballo la X Mas, che aveva combattuto anche nel Mar Nero con buoni risultati (i mezzi italiani avevano affondato 3 navi da trasporto e avevano inoltre danneggiato l’incrociatore Molotov, mettendolo fuori gioco per due anni), i cui reduci, nel 1949, ignari del colpo gobbo del nostro governo, avevano detto peste e corna sulla cessione della Giulio Cesare.
Il problema è che nonostante decine di smentite, questa storia fu fatta propria da alcuni ambienti neofascisti italiani, pronti a gonfiarsi il petto con successi immaginari… Per cui, ogni tanto salta fuori, con l’articolone che ripete sempre la stessa frase fatta
In America sarebbe un film da Oscar, da noi è una storia dimenticata…
Quando invece, sulle storie vere e affascinanti è caduto un velo d’oblio…