
Ogni eroe, per essere tale, deve confrontarsi con un avversario alla sua altezza: altrimenti, se vince facile, perde molto del suo fascino. Così, Belzoni, senza l’arcinemico Drovetti, sarebbe assai meno fascinoso.
Anche perché il buon Bernardino Michele Maria Drovetti, nato il 4 gennaio 1776 a Barbania, un ridente paesino del Canavese, figlio del notaio Giorgio Francesco e della contessa Anna Vittoria Vacca, ha tanto da dire di suo.
A 15 anni fu spedito a studiare a Torino, dove si laureò in Legge l’1 aprile 1795 e di certo, senza la Rivoluzione Francese, sarebbe stato uno dei tanti notai di provincia: invece, si trovò coinvolto nell’epopea napoleonica, come Avitabile e Ventura.
Solo che, a differenza del suo conterraneo Solaroli, beh, Bernardino il soldato lo fece seriamente, arruolandosi nel 1796 (27 legère) come soldato semplice. Presente all’assedio di Mantova, è promosso sergente maggiore, quindi sottotenente (1° ag. 1797). Nel governo provvisorio (dicembre 1798-aprile 1799) diventa segretario del Comitato di sicurezza generale durante le ultime settimane, più che altro perché tutti gli altri possibili candidati alla posizione, si erano dati dalla macchia.
Con l’arrivo dei russi, Bernardino scappa di corsa in Francia, ma invece di starsene buono, buono, con la ripresa delle ostilità nel ’99, si presenta volontario e viene nominato capitano nella 1ademi-brigade piemontese dal generale J.-E. Championnet; passa poi allo stato maggiore della cavalleria dell’armata di Riserva come aiutante di campo e prendere parte alla mitica battaglia di Marengo e, nell’agosto dello stesso anno, divenne comandante di squadrone negli ussari piemontesi.
Marengo, dove, tra l’altro, si comporta da vero eroe: salva la vita a Gioacchino Murat facendogli scudo con il suo corpo e perdendo alcune dita di una mano. Nel febbraio 1801 il generale Colli, noto voltagabbana lo vuole come capo di stato maggiore della divisione piemontese dell’Armata d’Italia; però Bernardino, stanco della vita militare, canticchiando
Non più andrai farfallone amoroso
Da le dimissioni dall’esercito, vista anche la sua invalidità. Il problema, è che fare per riempirsi lo stomaco: il Colli, lo fa nominare giudice posto di giudice presso il tribunale criminale di Torino, ma lo stipendio arriva una volta ogni tre. Per cui, bisogna inventarsi un altro mestiere. Bernardino scrive così a Murat, che in debito di riconoscenza, rompe le scatole a Napoleone, il quale, per toglierselo dalle scatole, nomina Drovetti sottocommissario alle relazioni commerciali ad Alessandria d’Egitto, promettendo come tale carica sia provvisoria e che presto arriverà un incarico di prestigio a Parigi.
Così, pieno di fiducia nella parola del Primo Console, si imbarca assieme a De Lesseps, il console generale in Egitto. Però, De Lesseps, più scafato di Bernardino sui complessi meccanismi della burocrazia francesce, capisce subito come tale altisonante incarico sia una sola cosmica, per cui, millantando un non ben precisato malessere, se ne ritorna, nel 1804 a Parigi, nominando Drovetti console generale al suo posto.
Bernardino, che è un bell’uomo, atletico, colto e brillante, amante del buon vino e insofferente “alle mode ridicole” dei suoi tempi, vorrebbe anche lui tornarsene a casa, ma ahimè, per dirla alla francese, la femme ci mette lo zampino.
In quell’anno conosce l’amore della sua vita Rose Rey Bathalon. Si racconta che fosse un tipetto molto accorto, parsimonioso e semi-analfabeta. Certo è che fosse sposata con un marsigliese, dal quale ebbe quattro figli! La passione però prende il sopravvento, magari spinta dal clima ardente e dall’ ambiente esotico… Ed è così che Rose chiese il divorzio… Solo che questi benedetti documenti, anche per colpa di Tallyerand, non arrivano… E senza questi, appena si sbarca in Europa, si finisce al gabbio per bigamia…
Per cui, Bernardino è costretto a rimanere in Egitto, in cui a questi dettagli di burocrazia matrimoniale si fa poco caso: per sua fortuna, diventa grande amico del pascià d’Egitto Mohammed Alì. Nel 1807 addirittura, salvò il trono al pascià: gli inglesi, preoccupati dalla politica ambiziosa di Mohammed Alì, avevano mandato in Egitto una spedizione militare, guidata dal generale Mackenzie Fraser, per spodestarlo, con l’aiuto dei bey mamelucchi..
Mackenzie Fraser, sbarcato ad Alessandria, tenta di arrestare Bernardino, che si becca anche un paio di pistolettate, ma il buon Drovetti, travestito da cammelliere, riesce a sfuggire, raggiunge il Cairo, dove si mette a capo di un esercito improvvisato, sconfigge gli inglesi che tentano di conquistare con un colpo di mano la città. In più, manda un messaggero Mohammed Alì che stava combattendo contro dei ribelli al sud del paese.
Mohammed, capita l’antifona, prende armi e bagagli e marcia a Nord, per prendere a randellate inglesi e ribelli. Al momento della resa di Fraser, Bernardino, con molta fatica, riesce a convincere il suo amico pascià che non è una prassi accettata dalla diplomazia europea l’impalamento dei generali avversari…. Proprio questo gesto di generosità, gli permette, alla caduta di Napoleone di barcamenarsi alla meno peggio.
Nel 1811 giunge poi in Egitto, in missione segreta, il colonnello. Boutin, con l’incarico di studiarvi la situazione militare nell’eventualità di una nuova invasione francese. Bernardino, dato il suo ruolo, lo accompagna nell’Alto Egitto, facendo il doppio gioco, informando Mohammed e convincendo Boutin che è meglio avere un alleato che un nemico in più. In più scopre che tutte le anticaglie faraoniche possono essere piazzate a peso d’oro presso i ricconi europei.
Scoperta che viene poi confermata durante il viaggio di De Cherville, linguista francese, con cui, vestito da beduino, esegue un censimento delle lingue parlate lungo il Nilo. La caduta del regime napoleonico trasforma Bernardino in un disoccupato.; non essendo ancora giunto il suo successore, Roussel, durante i Cento giorni Bernardino rialza il tricolore sulla legazione francese e, nel giugno 1815, si dichiara ancora fedele al Murat, suo antico protettore. Ovviamente, dopo Waterloo, Bernardino è cacciato a pedate dal consolato: il problema è come diavolo campare. Muhammad Pascià, pur chiedendo continuamente consigli, non vuole assumerlo… A un certo punto, Bernardino ha un’idea: visto che sono tanto richieste, diventerà un commerciante di anticaglie.
Nei primi mesi del 1816,così Bernardino compie il suo primo vero e proprio viaggio di esplorazione in Alto Egitto, arrivando sino alla seconda cataratta, dove tenta, senza successo, di convincere gli indigeni, seguaci del motto
Tu pagare cammello, tu vedere cammello
ad aiutarlo nei lavori necessari per portare alla luce il tempio di Abu-Simbel. In più, per dare evidenza al suo nuovo business, Bernardino si costruisce casa in cima uno dei piloni del tempio di Karnak.
Nel frattempo, durante la sua assenza, è giunto ad Alessandria il nuovo console generale inglese H. Salt, destinato ad essere per un lungo periodo (il Salt morì in Egitto nel 1827) il suo maggior rivale sia nell’attività politica. In più dal giugno 1815 operava in Egitto il buon Belzoni, che comincia a fargli concorrenza.
Nel 1816 Drovetti avvista un obelisco sull’isola nilotica di File e si accorda con l’aga del villaggio, dietro congrua mancia, perché glielo conservi. Due anni dopo viene a sapere che l’obelisco è in viaggio per l’Inghilterra, mittente Belzoni, che pare abbia compensato il capo locale con un orologio d’oro. E quando pochi mesi dopo avviene un contatto ravvicinato tra le due squadre di «cacciatori», gli uomini del piemontese assalgono quelli del padovano, e a un certo punto dalla pistola di Drovetti parte un colpo di pistola. Dopo quell’episodio Belzoni lascerà l’Egitto per non farvi mai più ritorno.
Nel febbraio 1819 Bernardino, alla ricerca di nuove possibili antichità, parte assieme al viaggiatore francese F. Caillaud, per il suo secondo giro di esplorazione alle oasi di Dakel e di Kharga; in più nel marzo 1820 viene incaricato da Mohammed Alì di sottomettere le tribù beduine che infestano la zona dell’oasi di Siwah: compito che con un contingente di 2000 uomini e qualche cannone, porta al termine senza grossi problemi, trovando il tempo, oltre che per arraffare qualche reperto archeologico, anche di classificare le specie botaniche della zona e di compilare un piccolo vocabolario della lingua locale.
el corso di questi anni Bernardino, a gratis, perché, come detto, non ricopriva alcun incarico ufficiale, non aveva mai abbandonato il suo ruolo di abile consigliere del pascià, il quale, praticamente sovrano indipendente del paese, aveva dato inizio ad un vasto programma di riforme e ammodernamento dell’Egitto; in particolare Bernardino . aveva seguito il lavoro di riorganizzazione delle finanze egiziane e della Zecca, e aveva caldeggiato la rimessa in opera dell’antico canale Mahmoudieh, che mette in comunicazione Alessandria con il Nilo e quindi con Il Cairo (compiuto nel 1819).
A Parigi si rendono conto di questo ruolo e quindi, dati i crescenti interessi per il Nord Africa, decidono di approfittarne: nel 1821, all’improvviso, Bernardino si ritrova di nuovo non solo console per i francesi, ma a seguito di una serie di liti tra Zar e Sultano, anche per i Russi. Se da una parte continua ad affiancare l’amico pascià nella sua opera di riforma, lo convince ad imporre l’obbligo della vaccinazione antivaiolosa, al contempo deve smettere di dedicarsi al commercio di antichità.
Solo che lo stipendio, dalla Francia, arriva ogni morte di papa: per cui, per mantenersi, decide di vendere al migliore offerente la sua collezione privata, che comprende 169 papiri. 102 mummie, 95 statue di grande valore. Tra i papiri spicca il Canone Reale, che è alla base della cronologia egiziana, mentre tra le statue, vi figurano veri capolavori, come quella di Ramesse II.
La sua intenzione è di vendere la collezione alla Francia, ma il prezzo richiesto è troppo alto e non se ne fa niente. Intanto nella vicenda interviene un altro viaggiatore piemontese, Carlo Vidua, che si prodiga affinché i reperti, ammassati in un magazzino di Livorno , non prendano la via di Parigi:
«Questo affare mi sta moltissimo a cuore»
scrive a un amico.
«Desidero che i forestieri non possano più dire: “Turin est une ville fort jolie et régulière, mais il n’y a presque rien à voir”».
Brillante intuizione della possibile vocazione turistica della città, a cui il re Carlo Felice aderisce acquistando nel 1823 la collezione per una cifra enorme: 400 mila lire, pari a circa 700 milioni di euro. Niente male per un piccolo Stato militare come era il Regno di Sardegna.
A Torino i reperti – ottomila pezzi, tra i quali grandi statue, sarcofagi di pietra, papiri, mummie, amuleti, tutti oggetti di primaria importanza, da cui si svilupperà la moderna egittologia – giungono sotto la neve, accolti nella Reale Accademia delle Scienze che diventa il primo museo al mondo interamente dedicato all’antico Egitto. Dopo lunghi mesi di studi e catalogazione, l’apertura al pubblico, l’8 novembre 1824.
E subito a Torino accorre Jean-François Champollion, che ha appena decifrato la stele di Rosetta e vuole mettere alla prova la sua scoperta.
Nel 1825, nell’ambito dei provvedimenti relativi allo sviluppo agricolo dell’Egitto, Bernardino suggerisce di incrementare la coltivazione cotone e grazie alle sue relazioni piemontesi in particolare con Michele Benso marchese di Cavour, presidente della Società pastorale e papà del più noto Camillo, fa importare un gregge di pecore merinos introducendone l’allevamento nel paese.
Per ricambiare questo gesto, Mohammed Alì regala al Piemonte un elefante indiano di 27 anni chiamato Fritz, che diventerà una della attrazioni della Palazzina di Caccia di Stupinigi. Nel 1828, intanto, Bernardino compie il capolavoro diplomatico della sua vita: riesce a convincere Mohammed Alì a ritirarsi dalla Morea, permettendo così l’indipendenza della Grecia. In più, con l’arrivo in Egitto della spedizione di di Champollion e Rossellini, capisce che la sua epoca è finita. Così dopo aver piazzato al Louvre un’altra collezione, per 150.000 franchi, pagabili in cinque comode rate, nel 1829 si ritira a vita privata.
Passa gli ultimi anni viaggiando per l’Europa e facendo il consulente sia in ambito agricolo, sia in quello geopolitico. Il 3 marzo 1852 è ricoverato nell’ospedale di San Salvario, dove muore il 9 alle 21, per problemi causati da idropisia e disturbi neurologici.
L’11 marzo si svolgono i funerali Nel testamento, scritto il 23 febbraio, lascia disposizioni per l’autopsia sul suo corpo: voleva avere la certezza di essere morto davvero per non rischiare di essere seppellito vivo (terrore molto diffuso all’epoca)! Indica come suoi eredi i poveri di Torino e Versailles. E’ sepolto al Monumentale.
Il suo monumento funebre è del 1855 e si trova in una nicchia un po’ nascosta: un busto opera dell’Albertoni lo raffigura con lunghi capelli e folti favoriti, baffi e pizzetto puntuto, l’espressione decisa (una copia della scultura si trova in Piazza Umberto I a Barbania). E’ posto su un grosso piedistallo decorato in cima da un simbolo egizio sotto cui sono incise queste frasi:
Qui giace Bernardino Drovetti F. di Giorgio, insignito di molti ordini e ascritto a molte accademie d’Europa
Nato a Barbania il 7 gennaio 1776, morto in Torino il 9 marzo 1852
Fu dottore in ambe leggi, reggente il Ministero di Guerra, uffiziale e console generale di Napoleone I in Egitto
Promosse colà il progresso e vi raccolse preziosi monumenti onde si creò il Museo Egizio, precipuo ornamento di questa città
Morì qual visse: benefico, chiamando i poveri a suoi eredi.
C. Cagnon e C. Mosca senatori del Regno, amici ed esecutori testamentari di lui posero questa memoria 1855