Omero non era nel Baltico

micenei

Ogni tanto, qualche mi amico mi chiede un parere sull’ ehm saggio di Felice Vinci Omero nel Baltico, saggio sulla geografia omerica, che in passato ha avuto notevole visibilità sui media.

Secondo l’autore, gli Achei sarebbero vissuti agli inizi del II millennio a.C. sulle coste del Baltico e alla metà del millennio, in seguito ad un irrigidimento del clima individuato in quest’epoca dalla paleoclimatologia, si sarebbero spostati verso sud lungo il corso del fiume Dnepr, giungendo al mar Nero e al mar Egeo. I nuovi venuti avrebbero fondato le città miceneee avrebbero quindi dato alle nuove sedi i nomi delle località nordiche, ma in modo non perfettamente rispondente alla loro collocazione geografica originaria, a causa delle differenze di conformazione delle due regioni.

Con la migrazione avrebbero inoltre portato con sé i propri tradizionali racconti orali, una saga poetica ambientata nelle località della patria originaria, tra il mar Baltico e il mare del Nord. La guerra di Troia si sarebbe svolta dunque non intorno al XIII secolo a.C., come normalmente ritenuto, ma intorno al XVIII secolo a.C. Dopo ottocento o novecento anni di trasmissione orale, i poemi sarebbero quindi stati trascritti tra l’VIII e il VII secolo a.C.

Ovviamente, la realtà è molto diversa, ma la questione è interessante da affrontare per due motivi: il primo per mostrare come un abuso superficiale del metodo linguistico, senza il supporto del dato archeologico, possa generare dei mostri. Il secondo è perché una tesi così bislacca possa avere avuto successo nella cultura popolare.

Per fare questo, dobbiamo per prima cosa tradurre in lingua storico archeologica quanto affermato da Vinci: ciò significa come nell’Antico Elladico II, in cui in Grecia è presente una popolazione indeuropea di tipo non greco e dai forti caratteri anatolici, che sperimenta la metallurgia, inventa una specifica forma torno da vasaio e la casa a megaron in Scandinava è presente una civiltà capace di un’elevata capacità di lavorare il bronzo, di un’organizzazione statale paragonabile a quella delle polis dell’età classica e impegnata in guerre di ampio respiro.

All’inizio del Medio Elladico, quando in Grecia si sviluppa la cosiddetta cultura minia, una catastrofe climatica li costringe a prendere armi e bagagli e andarsene verso sud, portandosi dietro una storia orale, finché non invadono la Grecia all’inizio del Tardo Elladico, dove rifondano la civiltà micenea. Il loro corpus di miti sopravvive al collasso dell’età del bronzo, per qualche secolo passano da un dialetto greco all’altro, finché non vengono trascritte in ionico.

E per giustificare tutto questo, Vinci si basa sulle incongruenze tra descrizione omerica e geografia reale, sulle somiglianze tra i nomi scandinavi e greci, nella descrizione del clima dell’Iliade e nelle usanze, nella mitologia e nella letteratura, tra il mondo descritto nei poemi omerici e quello nordico di epoca medioevale.

Il tutto infiorettato da considerazioni e deduzioni linguistiche. Ma i fatti, invece, che dicono ?

1) Nel periodo in cui in Grecia si sperimenta la lavorazione del Bronzo, in Scandinavia sono ancora in pieno neolitico, con la cultura dei vasi a imbuto, i cui popoli vivevano in piccoli villaggi costituite da case per famiglie singole impastate di paglia e argilla, di 12 m x 6 m ca., in cui vi dimoravano gli animali d’allevamento, pecore, bestiame, maiali, capre, ma si praticava anche la caccia e la pesca. Il frumento primordiale e l’orzo venivano coltivati su appezzamenti di terreno che si impoverivano velocemente, per cui la popolazione frequentemente doveva spostarsi per brevi distanze. La tecnologia era basata sulla selce e importavano asce di rame dal sud Europa. Insomma, una civiltà che non aveva una complessa organizzazione statale, non andavano oltre lo stato chiefdom e più di qualche scaramuccia legata al fregarsi le pecore a vicenda, non potevano andare

2) Nel periodo della presunta migrazione, non c’è nessuna peggioramento climatico: questo invece, avverrà al termine dell’età del bronzo, contribuendo al collasso delle civiltà dell’epoca. Anzi, intorno al 2000 a.C., in Scandinavia vi è l’optimum, con una temperatura intermedia tra l’attuale e quella del periodo caldo medievale

3) Dalle analisi archeologiche, non appare nessuna rottura culturale tra il Medio e il Tardo Elladico. La nascita della civiltà micenea è quindi più legata a una progressiva immigrazione, che a un’improvvisa invasione. In più, date le somiglianze tra proto greco e proto armeno, è più probabile che i coloni elladici abbiano una provenienza anatolica/caucasica, piuttosto che scandinava

4) Grazie ai documenti ittiti e luvi, abbiamo idee abbastanza chiare sulle vicende della tarda eta del bronzo anatolica. In tale scenario, le vicende omeriche, con tutte le modifiche dovute alla trasmissione orale, si incastrano perfettamente.

Per cui, perché, pur essendo basate sul nulla, hanno avuto così successo ? La cultura storica, anche di persone colte, è incentrata sull’età del ferro in poi; la poca conoscenza e interesse per quello che accade prima, rende facile la manipolazione delle informazioni.

Specie se la pseudoscienza è basata su un pregiudizio culturale, che risale il romanticismo, del cosiddetto “modello ariano”, in cui, per motivi anche inconsciamente razzisti, per giustificare la prevalenza sociale ed economica della Germania, avviene l’espulsione della civiltà greca dal contesto levantino, mediterraneo e aperto alle culture anatoliche, medio-orientali, fenicio-semite ed egizie (il cui debito era invece riconosciuto dai greci stessi e dagli studiosi precedenti dai romani al ‘700, ex oriente lux) per introdurla in una mitologico nondo nordica.

Pregiudizio, che Marx direbbe appartenente alla sovrastruttura, che si ripete ciclicamente nella nostra storia recente

2 pensieri su “Omero non era nel Baltico

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