
Parlando di Plutone, ho accennato al fatto che in realtà, il primo vero pianeta nano scoperto dovrebbe essere Cerere Ferdinandea, la cui scoperta avvenne a Palermo. Dato che di questa vicenda, anche a Balarm, se ne parla pochino, butto giù un post sul suo scopritore, Giuseppe Piazzi, che non sfigurerebbe in nessun romanzo steampunk italiano.
Giuseppe non era siciliano, ma valtellinese: nacque a Ponte in Valtellina, in provincia di Sondrio, il 16 luglio 1746, nono figlio di Bernardo Maria e di Antonia Maddalena Artaria. A differenza di tanti personaggi di cui ho parlato nel blog, era tutt’altro che un morto di fame: il padre apparteneva a uno dei maggiori casati di Ponte, mentre la madre discendeva da una nobile famiglia di Postalesio. Di certo, ebbe un parto difficile: Fu battezzato appena nato, ob imminens vitae periculum; due anni dopo, il 29 ottobre 1748, ricevette il sacramento nella chiesa di S. Maurizio martire di Ponte.
Per ex voto da parte della madre e perché all’epoca era destino dei figli cadetti, Giuseppe fu destinato alla vita ecclesiastica, così nel 1757 entrò nel seminario di Como: cosa che non prese male, sospetto più per amore della cultura che per fede religiosa. Nel 1763 si trasferì a Milano per proseguire gli studi presso il collegio Calchi, a Porta Vigentina, ora sede di una biblioteca e diciamolo così, con qualche piccolo problema strutturale, e la scuola dei gesuiti a Brera, dove fu allievo di quell’immenso erudito che era Gerolamo Tiraboschi, l’autore della prima Storia della Letteratura italiana.
In quel periodo, in cui l’osservatorio astronomico di Brera era diretto Boscovich, gesuita, matematico e astronomo tanto eclettico, quanto dal pessimo carattere, che nonostante tutti i piagnistei dei nazionalisti croati, che tentano di appropriarsene come stella del loro pantheon nazionale, si definiva orgoglioso di essere veneziano, tanto da sfidare a duello un paio di nobili milanesi che gli avevano suggerito di adottare la grafia slava del suo nome; ora a Giuseppe fu affidato il compito di fargli da garzone, doveva tenere pulire e sistemare l’osservatorio, dato che il concetto di ordine di Boscovich era
alquanto peculiare, e da quel momento in poi, nacque la sua passione per le stelle.
Il 16 marzo 1765, nella chiesa di S. Antonio Abate, vestì l’abito dei chierici regolari teatini. In seguito i suoi superiori, interessati più ad avere in casa un mediocre teologo che un ottimo astrologo, lo inviarono a Torino per studiare filosofia sotto la guida di Gregorio Pereira, tomista, soprannominato dai contemporanei padre Sbadiglio, che un cronista dell’epoca così definiva
Frate di nazionalità portoghese,uno di quegli sciagurati che hanno giurato odio mortale a qualsiasi novità nelle scienze e che faceva professione di caldissimo partigiano delle dottrine scolastiche, nascondendo la ignoranza propria collo splendore della cattedra
Giuseppe si salvò da tale condanna grazie padre Giovan Battista Beccaria, che lo indirizzò verso la matematica e la fisica: Beccaria, per chi non lo conoscesse, era un padre Scolopio, corrispondente di Franklin e un poco scienziato pazzo. Intuì la legge di Faraday sulla resistenza elettrica, progettò i parafulmini della Basilica di San Marco a Venezia, del Quirinale e del Duomo di Milano, fece numerosi esperimenti sui condensatori, spesso conclusi con spettacolari esplosioni e fu l’autore del Gradus Taurinensis (misurazione di una porzione di meridiano terrestre che passa dal Piemonte).
Grazie a Beccaria, quando nel 1768 si recò a Roma per stabilirsi nel convento dei padri teatini di S. Andrea della Valle, dove completò gli studi teologici, Giuseppe ebbe una raccomandazione per essere preso come allievo da François Jacquier, gran matematico, astronomo ed esperto in idraulica e prospettiva
Nel 1769 fu ordinato sacerdote e inviato a Genova, dove trascorse tre anni insegnando filosofia ai novizi del suo ordine. Dato che Giuseppe come insegnante se la cavava molto bene, nel 1772, dopo un breve soggiorno romano, si recò a Malta, dove gli venne affidata la cattedra di matematica all’Università del sovrano ordine militare. L’anno seguente tornò in Italia e fu inviato a Ravenna come docente di matematica e filosofia nel Collegio dei nobili. Nel 1779, in qualità di predicatore ordinario, trascorse alcuni mesi dapprima a Cremona e poi a Venezia. Sul finire dello stesso anno fu richiamato a Roma per
ricoprire la carica di lettore di teologia dogmatica nel convento di S. Andrea della Valle. Qui ebbe modo di conoscere padre Barnaba Chiaramonti (futuro Pio VII) e il poeta Vincenzo Monti.
Questa noiosa e normale vita da ecclesiastico e professore cambiò nel 1780 si trasferì a Palermo, dove nel marzo del 1781 ottenne la cattedra di calcolo sublime (calcolo infinitesimale) della Reale Accademia degli Studi a Palermo dove insegnò per ben 46 anni. Nel 1786, Francesco Tomaso d’Aquino, principe di Caramanico, viceré di Sicilia e artefice della costituzione dell’Accademia palermitana, nel tentativo di svecchiare la cultura locale, sapendo della passione di Giuseppe per l’astronomia, gli affidò anche questa cattedra all’Università
Giuseppe colse la palla al balzo, evidenziando, come per i suoi allievi oltre che una formazione teorica, sarebbe servita anche una pratica: per cui, sarebbe stato utile costruire a Palermo un osservatorio astronomico. Il viceré rispose dicendo come tale richiesta, pure sensata, non sarebbe potuta essere esaudita, per la cronica mancanza di fondi. Ma tanto ruppe le scatole Giuseppe, che per toglierselo dalle scatole, il principe di Caramanico presentò la richiesta al re Ferdinando di Borbone, certo che fosse cestinata.
Ma entrambi ignoravano il fatto che il re fosse anche lui appassionato di astronomia: dinanzi a tale richiesta, gli brillarono gli occhi. Non solo Giuseppe ottenne carta bianca, ma spedito in giro per l’Europa per aggiornare le sue competenze di astronomia e comprare gli strumenti più all’avanguardia per la specola di Palermo
Così, nel febbraio 1787 Giuseppe giunse a Parigi e vi rimase per circa sei mesi, durante i quali frequentò le lezioni di Joseph Jérôme de Lalande al Collège de France ed ebbe modo di conoscere Pierre Simon de Laplace e Joseph Louis Lagrange. Nel settembre dello stesso anno partì alla volta di Londra, dove iniziò a collaborare con l’astronomo reale Nevil Maskelyne, con il quale osservò l’eclisse di Sole del 3 giugno 1788. A Londra conobbe anche Sir William Herschel, scopritore di Urano, frequentò l’officina dell’orologiaio svizzero Giosia Eméry per apprendere il funzionamento dei pendoli e
commissionò all’ottico Jesse Ramsden un cerchio verticale intero destinato all’erigenda specola di Palermo.
Il cerchio verticale intero era uno strumento innovativo nel suo genere che, rispetto agli usuali quadranti, permetteva una maggiore precisione nella determinazione della posizione degli astri. Lo strumento che venne richiesto da Giuseppe era formato da due cerchi (uno verticale del diametro di 150 cm e uno orizzontale con un diametro di 90 cm) e da un telescopio con obiettivo acromatico da 75 mm e 1500 mm di focale.Fu la sua testardaggine che consentì al prezioso strumento inglese di giungere in Sicilia: l’astronomo dovette recarsi personalmente a pungolare il costruttore e, in seguito, anche
far fronte a tutte le difficoltà burocratiche che si presentarono: il governo inglese infatti era restio a lasciar uscire dai propri confini uno strumento unico al mondo (che tale è rimasto, altro aspetto fondamentale che ne sottolinea l’altissimo valore attuale).

Nel corso dell’estate del 1789 lasciò l’Inghilterra per far ritorno in Sicilia. Durante il viaggio si fermò a Milano per alcune settimane per incontrare Barnaba Oriani, direttore della specola di Brera. Alla fine dell’anno giunse a Palermo e nei mesi successivi si dedicò alla progettazione dell’osservatorio, che, voluto da re Ferdinando, fu costruito tra il 1790 e il 1791 sulla torre Pisana o di Santa Ninfa del Palazzo dei Normanni. Questa era il mastio del vecchio palazzo, costruzione destinata alla custodia dei tesori, manufatto edificato da Guglielmo II di Sicilia col contributo di maestranze pisane e decorata con
mosaici con scene da battaglia, realizzati da artisti arabi e greci.Secondo la tradizione, in epoca sveva con Federico II, la torre era probabilmente uno dei luoghi di riunione della scuola poetica siciliana.Tra le tante cose, comprendeva la Stanza dei Tesori, con doppia porta d’accesso, circondata da camminamenti di ronda coperti da volte maestose e le quattro giare murate nel pavimento che potevano contenere innumerevoli pezzi di monete d’oro.
In questo luogo, pieno di storie e leggende, Giuseppe cominciò un nuovo progetto incentrato sulla misurazione delle posizioni stellari già note per ottenere dati piu precisi sui quali poter lavorare. Collaborò con diversi assistenti tra i quali Nicola Cacciatore (proprio a lui, Nicolaus Venator, dedicò il nome di due stelle del Delfino, Sualocin e Venator, che altri non sono se non nome e cognome letti al contrario). Tra il suo 47° e il 67° anno di età fece 86.000 osservazioni al telescopio del cerchio e 30.000 allo strumento dei passaggi registrando 6748 stelle di cui 1600 osservate per la prima volta.
Grazie alle osservazioni del 1792 riuscì a pubblicare nel 1803 la prima edizione del catalogo “Praecipuarum Stellarum Inerrantium Positiones mediae ineunte Saeculu XIX“, che ripubblicò nel 1814, completato ed emandato con tutte le osservazioni compiute dal 1792 al 1813. Questo catalogo fu premiato dall’Acadèmie des Sciences di Parigi.
Il 1° gennaio del 1801 nella solita consuetudine di calcolare quotidianamente le osservazioni della precedente notte, Giuseppe scoprì un oggetto brillante non riportato nei cataloghi. All’inizio ipotizzò che si trattasse di una stella fissa ancora sconosciuta, ma nei giorni a seguire notò che la stella non si trovava più nella stessa posizione e sospettò che si trattasse di una stella “diversa”. Solo in seguito ad ulteriori osservazioni capì che il nuovo astro era dotato di moto proprio. Ne suo diario scrisse
Risultati delle osservazioni della nuova stella scoperta il dì primo gennaio all’Osservatorio Reale di Palermo – Palermo 1801. Già da nove anni travagliando io a verificare le posizioni delle stelle che si trovano raccolte ne’ vari Cataloghi degli astronomi, la sera del primo gennaio dell’anno corrente, tra molte altre cercai la 87.a del Catalogo delle stelle zodiacali dell’Abate La Caille. Vidi pertanto che era essa preceduta da un’altra, che secondo il costume, volli osservare ancora, tanto maggiormente, che non impediva l’osservazione principale. La sua luce era un poco debole, e del colore di Giove, ma simile a molte altre, che generalmente vengono collocate nell’ottava classe rispetto alla loro grandezza. Non mi nacque quindi alcun dubbio sulla di lei natura. La sera del due replicai le mie osservazioni, e avendo ritrovato, che non corrispondeva né il tempo, né la distanza dallo zenit, dubitai sulle prime di qualche errore nell’osservazione precedente: concepii in seguito un leggiero sospetto, che forse esser potesse un nuovo astro. La sera del tre il mio sospetto divenne certezza, essendomi assicurato che essa non era Stella fissa. Nientedimeno, avanti di parlarne aspettai la sera del 4, in cui ebbi la soddisfazione di vedere, che si era mossa colla stessa legge che tenuto aveva nei giorni precedenti
Seppur convinto di aver scoperto un nuovo pianeta, più prudentemente l’astronomo annunciò di aver individuato una cometa. In seguito, in una lettera indirizzata all’astronomo Barnaba Oriani, scrisse:
avevo annunciato questa stella come una cometa, ma poiché non è accompagnata da alcuna nebulosità, e inoltre il suo movimento cosi lento e piuttosto uniforme, mi è venuto in mente più volte che potesse essere qualcosa di meglio di una cometa.
Giuseppe non poté osservare a lungo l’orbita con i metodi esistenti, ma grazie ad un nuovo metodo per il calcolo delle orbite del matematico Carl Friedrich Gauss riuscì ad individuare di nuovo l’oggetto. Ora che l’orbita era perfettamente determinata si confermò la sua ipotesi, ossia che l’oggetto in questione era un piccolo pianeta, che, in onore del suo mecenate, battezzò Ceres Ferdinandea. Se il Borbone fu felicissimo di tale denominazione, tanto che assegnò in premio a Giuseppe una medaglia d’oro che egli rifiutò perché il premio fosse utilizzato per l’acquisto di altri strumenti, tra i quali un
equatoriale di Troughton che collocò nella seconda cupola dell’osservatorio, questa scatenò una sorta di tempesta diplomatica tra le varie cancellerie europee, tanto che alla fine, per fare tacere i mugugni, rimase solo Ceres, che in questi due secoli ha cambiato status più volte, da pianeta ad asteroide e da asteroide a pianeta nano.

Di seguito, Giuseppe si impegnò in un incarico, come dire, architettonico… L’Arcivescovo di Palermo era stato in visita a Roma, dove aveva ammirato la meridiana di Santa Maria degli Angeli. Tornato a casa, aveva deciso di replicarla nella sua cattedrale, imponendo a Giuseppe di lavorarci.
Progetto che si dimostrò son subito più difficile del previsto, dato che la meridiana doveva essere inserita in modo da poter essere consultata senza intralciare le funzioni e senza disturbare i fedeli in preghiera nella cattedrale. Inoltre, la meridiana a “camera oscura” (vale a dire, costruita in interno) doveva poter contare sull’apporto di luce durante tutto il periodo dell’anno e in ogni momento della giornata. Cosa che veniva impedita dalla prossimità degli altri edifici di quest’area di Palermo. Ulteriore impedimento strutturale era la presenza delle colonne che dividono la navata centrale dal quelle laterali.
La locazione scelta per la meridiana, alla fine, vanificò la il primo intento: quello di non intralciare le funzioni religiose. Infatti fu posta con orientamento sudovest – nordest proprio ai piedi dell’altare maggiore.La meridiana della Cattedrale di Palermo, inaugurata nel 1811, è lunga più di 21 metri. Lo gnomone, vale a dire lo strumento per misurare l’ora, è un foro situato in una cupola della navata laterale destra che proietta il sole lungo l’asse della meridiana, adornata con i simboli zodiacali.
Nel 1817, da aprile ad agosto, Giuseppe soggiornò a Napoli per sovraintendere ai lavori dell’erigendo osservatorio di Capodimonte. Nello stesso anno pubblicò in due volumi le Lezioni elementari di astronomia ad uso del real osservatorio di Palermo. Rientrato a Palermo, vi rimase pochi mesi e ripartì alla volta di Napoli nel gennaio del 1818. Nel 1819, anno in cui venne ultimata la costruzione della specola partenopea, Piazzi fu eletto socio dell’Accademia delle scienze di Parigi in qualità di membro pensionato. Nel 1822 fece ritorno a Palermo. Nel 1824 fu richiamato a Napoli per ricoprire la carica di presidente della Reale Accademia delle scienze e fu nominato membro della Commissione per la pubblica istruzione in Sicilia.
Dopo questa lunga vita al servizio della scienza, morì a Napoli il 22 luglio 1826 e secondo le sue volontà, le sue spoglie furono deposte nella Basilica di San Paolo Maggiore.