Nell’anno 506 si trovavano a Balkh, nella via dei venditori di schiavi, nel palazzo dell’amir Abu Sa’d, l’imam Omar Khayyam e l’imam Mozzafar Esfazari, ed io anche ero con loro. In una piacevole riunione sentii dire alla “prova della verità” Omar: “la mia tomba sarà in un luogo tale, che ad ogni primavera il vento del nord farà piovere fiori sulla terra del corpo mio”. Mi sembrò strana questa predizione, ma sapevo che un uomo come lui non poteva dire sciocchezze vane. Quando nel 530 capitai a Nisciapur, era già qualche anno che quel Grande aveva nascosto il viso sotto il velo della terra, e questo mondo basso era rimasto orfano di lui. Poiché era stato mio maestro, e pertanto avevo verso di lui dei doveri, volli, un venerdì, andare a visitare la tomba, e condussi con me qualcuno che mi indicasse dove fosse. Mi portò fuori, al cimitero di Hire: voltammo a sinistra e vidi la sua tomba ai piedi del muro di un giardino. I peri e gli albicocchi sporgevano i loro rami oltre quel muro, nel cimitero, e avevano ricoperto la tomba di Omar di un tappeto di fiori. Mi ricordai allora di quelle parole che nella città di Balkh gli avevo sentito dire, e mi vennero le lacrime agli occhi
Badi’ oz Zaman Khorasani
Omar Khayyam, figlio di Ibrahim, costruttore di tende è uno di quegli uomini dal multiforme ingegno, che purtroppo godono presso il volgo di una fama ben minore di quella che meriterebbero
Poeta, musicista e matematico, la sua data di nascita è stata fissata al 18 maggio 1048, utilizzando la mappa dello zodiaco realizzata da Abu al-Hasan al-Bayhaqi, il grande e pedante giurista islamico, il quale conosceva personalmente Omar.
Cosa legasse due personalità così diverse, Abu al-Hasan, religioso, pedante e scettico sulla capacità della ragione umana di comprendere il Creato e Omar, curioso indagatore di tutti gli aspetti dell’esistenza, è uno dei tanti misteri dell’animo umano: l’unica cosa che sappiamo è che, nonostante le differenze, la loro amicizia era forte e sincera…
Non si sa molto della vita del giovane al-Khayyam. Nacque probabilmente a Nishapur, una grande città nel nord dell’Iran, crocevia di carovane, ammirata per le sue biblioteche e le sue scuole. Non sappiamo se Omar abbia seguito da giovane il mestiere del padre, ma in una sua poesia racconta
Khayyam che cuciva le tende della scienza
È caduto nella fornace della disgrazia ed è
stato subito bruciato, le forbici del Fato han
tagliato le funi della tenda della sua vita e
l’agente della speranza l’ha venduto per niente
Una leggenda, raccontata dal grande Borges, come Omar fosse compagno di scuola di Nizam al-Mulk, che diventerà il gran vizir dell’Impero Selgiuchide, protettore delle arti e della cultura e autore del Libro del Governo, l’apice raggiunto dagli scrittori musulmani nel genere di filosofia politica durante l’epoca d’oro islamica e Hasan al-Sabbah, colui che sarà il Vecchio della Montagna,
Una sera, davanti a un focolare, i tre strinsero un patto: se uno di loro fosse diventato una persona potente ed eminente, si sarebbe avvalsa dell’aiuto degli altri due. Niẓām al-Mulk fu il primo ad assurgere alla notorietà quando fu nominato vizir dello Shahanshah selgiuchide Alp Arslan. Per onorare il patto, egli avrebbe offerto ai due amici posizioni e rango adeguato nella corte selgiuchide di Isfahān.
Omar rifiutò l’offerta, chiedendo invece che gli si dessero i mezzi per continuare indefinitamente i propri studi. Cosa che Nizām al-Mulk fece, come pure di costruirgli un osservatorio astronomico. Sebbene anche Ḥasan, come ʿOmar, avesse deciso di accettare la nomina propostagli, dovette però fuggire dopo aver complottato contro il vizir per deporlo. Di conseguenza, Ḥasan passò alla politica militante e conquistò la fortezza di Alamūt, in cui si stabilì, minacciando da lì il mondo sunnita e creando la setta a
lui totalmente devota degli Assassini.
In ogni caso, dovette avere una formazione d’eccellenza, dato che All’età di 17 anni, aveva già acquisito una profonda conoscenza della storia, della filosofia, della medicina, della filologia e della musica, studiando con dedizione le opere, tradotte in arabo, degli antichi intellettuali greci.
All’epoca Omar scrisse il suo primo trattato di matematica che comprendeva, tra le altre cose, la formula per l’espansione di un binomio che abbia per esponente un numero reale positivo, cosa che lo rese subito noto tra i dotti islamici e che rischiò di fargli fare una precoce, pessima fine, dato che un paio di suoi rivali, rosi dall’invidia lo accusarono di dedicarsi all’alchimia e di credenze religiose non ortodosse.
A salvarlo da guai peggiori fu gran giudice Abu-Taher, che dando retta ad Abu al-Hasan, invitò Omar a trasferirsi a Samarcanda, vicenda che ispirerà un romanzo del pluripremiato scrittore libano-francese Amin Maalouf.
In verità a Samarcanda la vita Omar fu assai più noiosa di quanto narrato da Maalouf, dato che si concentrò soprattutto nella stesura del libro Trattato sulla dimostrazione dei problemi di algebra, nella cui prefazione scrisse, pensando forse alle precedenti disavventure
Mi era difficile dedicarmi all’algebra con la concentrazione necessaria, a causa dei disordini del tempo, che mi crearono molti ostacoli. Siamo stati derubati delle conoscenze che erano state salvate affinché un gruppo, piccolo di numero, tra mille difficoltà, potesse tentare, nei rari momenti di pace, di dedicarsi alla ricerca e all’approfondimento delle scienze. La maggior parte delle persone, che imitano i filosofi, confondono il vero con il falso, e non fanno altro che ingannare e pretendere ocnoscenza, usando quel poco che conoscono delle scienze soltanto per propositi spregevoli e materiali. E quando vedono una persona che ricerca il bene e preferisce la verità, facendo del suo meglio per rifiutare il falso e l’errore e vivere al di fuori dell’ipocrisia e della disonestà, lo ritengono un folle e lo deridono.
La fama di questo trattato fu tale che a 26 anni, Omar fu invitato a Iṣfahān dal sultano Malik Shah, figlio del grande Alp Arslan. Se questi era un generale più fortunato che abile, straordinario politico capace di sfruttare al meglio le debolezze dei nemici, generoso e clemente con i nemici sconfitti, Malik era di ben altra pasta, combattente implacabile, violento feroce e crudele.
Se però Alp Arslan era umile e di gusti semplici, Malik amava il lusso, l’arte e la cultura: Omar desideroso di pace, accettò la sua proposta, entrando così nella cerchia delle persone più vicine al sultano, godendo di una fama ben meritata come indovino e astronomo con il dono speciale della profezia.
Nonostante il suo pessimo carattere Malik aveva particolare simpatia per Omar, tanto da chiudere un occhio sul fatto che fosse diventato amante di una sua concubina.
Cosa che invece, scandalizzò il buon Abu al-Hasan, il quale, pieno di fervore religioso, corse a fare un predicozzo moralista all’amico, che così rispose
“Che male c’è a rubare per una notte una delle quaranta mogli del sultano? Ne ha talmente tante, che non può neanche accorgersene”.
Ma a cosa lavorava, di così importante Omar a Iṣfahān ? Il buon Malik Shah, tra i suoi tanti difetti, aveva anche un pizzico di megalomania; il suo sogno era sostituire il calendario islamico, basato su una scansione del tempo puramente lunare e che prende le mosse dal venerdì 16 luglio 622, in cui fu compiuta l’Egira dal profeta dell’Islam Maometto, con uno più razionale, su base solare, che avrebbe avuto come anno 0 il giorno della sua nomina a sultano.
Omar prese molto sul serio il suo compito: nel 1083, servendosi di una meridiana, un orologio ad acqua e un astrolabio, Omar Khayyam misurò la lunghezza dell’anno solare con una precisione incredibile, coincidente col valore attuale fino alla sesta cifra decimale: 365,24219858156 giorni. La differenza può essere imputata al progressivo rallentamento della rotazione terrestre, che provoca un aumento della durata del giorno di 2 millisecondi ogni secolo.
Poi dopo anni di studio e di osservazioni astronomiche, partendo dall’antico calendario persiano, Omar arrivò alla definizione del cosiddetto calendario di Jalal, con un anno di 12 mesi, i cui primi sei sono di 31 giorni, i successivi 5 di 30, l’ultimo mese è di 29 giorni negli anni normali e di 30 giorni in quelli bisestili, identificati con un sofisticato procedimento di intercalazione; inoltre fissa l’inizio dell’anno in un fenomeno naturale, il verificarsi dell’equinozio di primavera da osservare di anno in anno con osservazioni astronomiche.
Ovviamente, per non scatenare una serie di rivolte religiose, Malik dovette mantenere a malincuore come anno 0 quello dell’egira. Dopo la morte del sultano, nel 1092 il calendario non fu più utilizzato sino al 1922, quando fu reintrodotto in Persia grazie agli Kay Khosrow Shah Ruh. L’Afghanistan ha adottato questo calendario nel 1957, ma servendosi della lingua araba invece che della persiana per denotare i mesi mediante i segni dello zodiaco.
Dopo la morte di Malik, per Omar cominciò un periodo tormentato: l’impero selgiuchide fu scosso dalla guerra civile e lo studioso ricevette numerosi critiche dai religiosi più conservatori: anche questa volta fu salvato da guai peggiori da Abu al-Hasan, che per dimostrare l’ortodossia religiosa del suo amico, più con le cattive che con le buone lo costrinse ad andare in pellegrinaggio a la Mecca.
Nel 1118 Sanjar, terzogenito di Malik, che aveva ereditato la magnanimità e l’intelligenza dal nonno, la ferrea volontà, l’energia e l’amore per la cultura dal padre, riunì nelle sue mani l’impero selgiuchide; per celebrare la vittoria, fondò a Merv un centro di studi, in cui venne invitato Omar, il quale affrontò la sfida matematica più grande, la risoluzione di una particolare classe di equazioni cubiche, non risolvibili con i metodi geometrici degli antichi greci, ossia con le costruzioni eseguite con riga e compasso, ma con le coniche.
Partendo da questo, impostò in maniera generale i problemi connessi alla trasformazione dei problemi geometrici in problemi algebrici, scoprendo una cosa, la presenza di soluzioni multiple, che a noi sembra banale, ma a che all’epoca fu una rivoluzione: in Europa ci si misero tre o quattro secoli per digerirla e comprenderla a pieno
In parallelo, Omar, oltre ad approfondire la questione del Triangolo di Tartaglia, affrontò anche le difficoltà poste dal V postulato di Euclide e dimostra, inconsapevolmente, alcune proprietà delle geometrie non-euclidee. Studiò poi i problemi dei rapporti giungendo a dimostrare l’equivalenza tra uguaglianza dei rapporti secondo Eudosso ed Euclide e quella dovuta ad al-Mahani, basata sulle frazioni continue.
Con il peggiorare della salute, tornò a a Nishapur nel 1131 all’età di quasi 83 anni. Nel XII secolo, i suoi nipoti costruirono una mausoleo a lui dedicato, oggi considerato una delle più belle tombe del mondo arabo.
Nonostante questo, Omar fu presto dimenticato, finché nella seconda metà del XIX secolo, un europeo talentuoso, il grande mistificatore irlandese Fitzgerald, sentì parlare di un vecchio poeta persiano ignorato che paragonava la volta del cielo a una coppa rovesciata; è all’incirca tutto ciò che sapeva del testo originale: prese lo slancio — e che slancio! — a partire da quel solo dato, e pubblicò nel 1859 un Rubayat d’Omar Khayyam, una delle opere più belle della letteratura inglese ed uno dei più inammissibili tradimenti mai commessi nei confronti delle letterature orientali.
Fiztgerald impose la struttura a quartine, cambiò il senso, rovesciandolo, di diverse poesie e pur rendendo famoso Omar, ne diffuse un’immagine falsata di uomo scettico, pessimista ed irreligioso, e quindi rivolto al passeggero godimento delle gioie materiali della vita, soprattutto all’amore e al vino.
La realtà è forse molto più complessa: le poesie di Omar comprendono una varietà di temi che vanno dalla meditazione originale sulla morte e sui limiti della ragione umana “impotente” di fronte al mistero dell’esistenza al rimprovero, spesso rancoroso, a Dio, il cui progetto creativo è accusato di irrazionalità e incoerenza; dal feroce attacco al bigottismo e all’ipocrisia alla profonda e insoddisfatta fame d’infinito.
Qui alcune delle sue quartine, tradotte dal grande orientalista Alessandro Bausani
10
Oggi potere alcuno non hai, no, sul domani,
E ripensare al domani non è che tristezza.
Non perder quest’attimo dunque se il cuore tuo non è
folle:
Di questo resto di Vita non si vede il Valore.
12
O Ruota crudele del cielo, dall’odio tuo viene la Morte
E l’ingiustizia fu sempre lo stile tuo antico ed eterno.
O Terra, se il petto tuo squarciassero gli uomini
Quante preziose perle vedrebbero entro il tuo seno!
29
Poi che null’altro che vacuo vento ci resta d’ogni cosa
ch’esiste,
Poi che difetto e sconfitta colgono al fine ogni cosa,
Considera bene: ogni cosa che è, è in realtà nulla;
Medita bene: ogni cosa ch’è nulla, è in realtà tutto.
39
Giorni di primavera e rive d’un rivo e lembo di prato,
E ancor qualche bella fanciulla docile dolce d’angeliche
forme.
Porgi la coppa allora, ché chi beve vino al mattino
Non cura pensier di Moschea, è libero d’ansie di Chiesa.
42
Mi dice la gente: «Gli ubriachi andranno all’inferno!»
Ma son parole queste prive di senso pel cuore:
Se dunque andranno all’Inferno i bevitori e gli amanti,
Vedrai il Paradiso domani nudo come il palmo di mano!
93
Mai l’intelletto mio si distaccò dalla scienza,
Pochi segreti ci sono che ancor non mi son disvelati,
E notte e giorno ho penato per lunghi settantadue anni,
E l’unica cosa che seppi è che mai nulla ho saputo.
202*
L’amata, che il cuore m’ha fatto malato d’amore,
Ella stessa altrove è caduta in preda agli affanni.
Come posso sforzarmi a cercar la mia cura
Quando colui ch’è il mio Medico è caduto malato?
230
Quando son sobrio, la gioia mi è velata e nascosta,
Quando son ebbro, perde ogni coscienza la mente,
Ma c’è un momento, in mezzo, fra sobrietà e ubriachezza…
Per quello tutto darei, quello è la Vita Vera!
234
Fin quando farò ancora sfoggio della mia sciocca igno-
ranza?
Oh, mi si stringe il cuore per l’impotenza mia!
Mi cingerò d’ora in poi con il zunnâr la vita,
Ché del peccato mio e del mio islâm mi vergogno!
243
O Tempo, tu stesso la tua ingiustizia confessi,
Nel monastero di tiranna Oppressione arcigno t’apparti.
Richezze doni agli abbietti, agli uomini retti tormento:
Uno dei due hai da esser tu, asino o sciocco.
282
Puri venimmo da Nulla, e ce ne andammo impuri.
Lieti entrammo nel Mondo, e ne partimmo tristi.
Ci accese un Fuoco nel cuore l’Acqua degli occhi:
La vita al Vento gettammo, e poi ci accolse la Terra.
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