Devo essere sincero: la cosa che mi ha fatto più ridere, delle diatribe sulla preghiera del venerdì a Piazza Vittorio è il fatto che uno dei suoi più accaniti contestatori abbia come origine Amantea, in Calabria. Ora, essendo stata nel Medio Evo Al-Mantiah sede di uno strano ed eccentrico stato islamico, non escluderei a priori il fatto che i suoi antenati si siano inginocchiati verso la Mecca con altrettanto fervore di chi aoggi critica con tanta energia.
A valle di questo preambolo, la storia dell’Amantea araba è altrettanto interessante, anche ancor meno nota al grande pubblico, delle vicende dell’emirato pugliese. Per prima cosa, Amantea, nonostante ciò che si legge su qualche sito locale, non è stato un emirato, avendo avuto un’organizzazione molto peculiare e a, differenza di Bari, non avendo mai avuto un riconoscimento ufficiale dal Califfo o dai suoi rappresentanti.
Non era neppure una ribat, una fortezza finalizzata ad ospitare volontari che potessero assolvere al contempo al dovere di difendere le frontiere dell’Islam e al rafforzamento della fede islamica grazie a esercizi spirituali e devozionali. Era invece un’importante e ricca stazione commerciale: nonostante i revisionisti, le cui opinioni sono più legati a pregiudizi ideologici che a dati reali, il dominio islamico in Sicilia corrisponde a un periodo di boom economico.
Boom che si riflette anche sul Thema di Calabria: sappiamo che il suo commercio della seta, prodotta in grandi quantità, grazie alla coltivazione del gelso e degli allevamenti dai monaci basiliani ed esportata a Balarm, dove veniva tessuta nel Tirza dell’emiro, per essere esportata in Egitto, Nord Africa, Al Andalus e Nord Italia, fruttava circa quattro milioni di dinari, pari all’imposta fondiaria percepita dal califfato famitide in tutti i suoi domini.
Il tarì d’oro fatimide era tra l’altro la moneta corrente: la difficoltà da parte dell’amministrazione bizantina di gestire al meglio tale crescita economica e a inserire nel governo del thema le élites calabresi, che volevano vedere riconosciuto prestigio e concesso potere, è stata una delle principali dell’irrequietezza politica dell’area. In tale commercio, Amantea ricopriva un ruolo fondamentale: da una parte, era uno dei punti di raccolta delle materie prime calabresi (cedri, legna, seta) che venivano esportate a Balarm. Dall’altra fungeva da importante snodo delle rotte che univano Al Andalus con Costantinopoli e il Nord Africa con Amalfi, Salerno, Napoli, Gaeta, Pisa e Genova. Proprio questo la fa citare nell’opera del grande geografo arabo Ibn Hawqal e comparire in diverse mappe islamiche dell’epoca.
Per cui, era di fondamentale importanza impadronirsene da parte degli Aglabiti; dopo un primo tentativo, fallito, nel 827 d.C. la conquista avvenne nel 846. In realtà, sin dall’inizio, il dominio di Balarm fu assai labile, date le continue guerre civili che funestavano l’emirato di Ṣiqilliyya, già intorno all 850 a.C. Amantea di autogovernava, con il potere affidato a un’assemblea di notabili e ricchi commercianti, i quali ovviamente, a tutto pensavano, tranne che a guerreggiare contro i partners commerciali bizantini.
Nel 860 d.C. un avventuriero locale, una sorta di Brancaleone islamico, As-Sinsim ,Cincimo, nella sua forma latinizzata, tentò di prendere il potere, ma il suo golpe finì malissimo, tanto che dovette fuggire dalla città, per nascondersi in un luogo imprecisato della riviera dei Cedri, alcuni storici parlano di Fuscaldo, altri di Intavolata, altri ancora di uno dei vari casali da cui si originerà Acquappesa, dove organizzò un esercito con truppe locali, per ritentare l’impresa.
Alcuni storici descrivono As-Sinsim come una sorta di Spartaco, capace di guidare i contadini alla rivolta contro i potenti latifondisti bizantini: in realtà, data la diffusione nell’area della piccola e media proprietà terriera, questa ipotesi è da scartare. Probabilmente, si accordò con i possidenti, sfruttando a suo vantaggio le spinte centrifughe, il malumore contro l’amministrazione bizantina e il desiderio di avere una fetta maggiore dei proventi del commercio con Balarm, che forse erano presenti nell’area. Così nel 862 a.C. si realizzò lo strano caso di un musulmano, a capo di un esercito di cristiani, che conquistava una città cristiana governata da altri musulmani: insomma, cosa che farebbe venire il mal di testa a parecchi commentatori sui gruppi social dedicati all’Esquilino.
As-Sinsim, data la sua, come dire, peculiare condizione, evitò di proclamarsi emiro o di farsi riconoscere come tale, visto che a Balarm o in Nord Africa, avrebbero potuto avere parecchio da ridire sulle sue iniziative: però, sia per soddisfare la sua ambizione, sia per venire incontro alle richieste dei suoi alleati calabresi, lancio una politica espansionistica.
Da una parte, conquistò Tropea e Santa Severina, altre stazioni mercantili musulmane, in modo da monopolizzare i commerci dell’area; dall’altra, cominciò a sottrarre sempre più territori all’amministrazione bizantina, arrivando a controllare la costa da Diamante a Ricadi.
Nell’871 l’emiro di Bari, Sawdan, assediato dai Franchi dell’imperatore Ludovico II, disperato, visto che considerava As-Sinsim poco più di un predone, gli chiese aiuto: As-Sinsim se ne sarebbe rimasto volentieri fuori, da quella disputa, ma i suoi alleati calabresi, temendo di fare la stessa fine della Puglia, stretta dalla morsa franco bizantina, lo costrinsero a intervenire. Così organizzò una spedizione di soccorso, sempre a capo di un esercito cristiano e di lingua greca, marciando sulla valle del Crati alla testa delle sue truppe.
Venuto a conoscenza dei piani di As-Sinsim , l’imperatore gli inviò contro un contingente di cavalleria pesante al comando del conte Ottone di Bergamo. Rinforzato da truppe di fanteria locale reclutate dai vescovi Osco e Gheriardo, il conte si trincerò tra le rovine dell’antica Pandosia (l’attuale Castrolibero nei pressi di Cosenza) da cui controllava il valico del Potame che dava accesso alla valle del Crati. Cincimo forzò i tempi ed il suo esercito apparve in vista delle milizie imperiali prima del previsto. Il conte, alla vista del nemico, decise di impedirgli di attaccare Cosenza e scese dalle alture per affrontarlo in campo aperto. La battaglia si svolse in un luogo imprecisato tra Castrolibero e Mendicino e si risolse con la disfatta dell’emiro che, salvata a stento la vita, fu costretto a riparare ad Amantea, dove per il resto della vita, si tenne ben distante da tali dispute.
Alla morte di As-Sinsim, per la difficoltà di mantenere una collaborazione tra i notabili musulmani e cristiani, il suo dominio si sfaldò: così i bizantini ne approfittarono per organizzare la rivincita. Un primo tentativo di riconquista bizantina fu nell’882-83 quando il basileus Basilio I il Macedone inviò un corpo di spedizione al comando dello stratego Stefano Massenzio, ma questi, dopo essere stato costretto a togliere l’assedio ad Amantea, che ricevette aiuti dai vecchi alleati calabresi, fu sconfitto rovinosamente sotto le mura di Santa Severina e, costretto a sospendere la campagna, venne richiamato in patria dall’imperatore, che lo sostituì nell’885 con Niceforo Foca il vecchio, generale di ben altra pasta.
Niceforo, per prima cosa, capì che per riconquistare Amantea, bisognava per prima cosa farle terra bruciata attorno: per cui si accordò con i possidenti locali, concedendo loro sia sgravi fiscali, sia la partecipazione al governo locale, per poi organizzare la campagna. Niceforo distribuì le forze a sua disposizione, rinforzate da contingenti di truppe scelte provenienti dall’Oriente, in tre colonne che lanciò all’assalto di Amantea, Tropea e Santa Severina, guidando personalmente l’assedio di quest’ultima. Le tre città caddero una dopo l’altra e nell’anno 886.
Ma l’importanza di Amantea, per il commercio con Balarm, era tale che pochi anni dopo si rifecero vivi in forze: l’emiro Abu’-Futùh Yussuf al Kalbi, poco prima di cadere malato, guidò personalmente la riconquista della città. Stavolta, però, per evitare strane iniziative come quelle di As-Sinsim, i Kalbiti ne mantennero stretto il controllo, sino alla definitiva vittoria bizantina, nel 1031, che approfittarono dell’ennesima guerra civile nell’emirato siciliano
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Poiché mi sto interessando della presenza araba, vero o presunta, in Calabria nelle fonti ho letto il suo piccolo ma interessante saggio. Purtroppo, nel passato abbiamo contribuito a distruggere la nostra storia non conservano i documenti rimasti, però teniamo in piedi il “campanile”. Agli abitanti della “terza” gli arabi, forse loro antenati se un’analisi del DNA lo dimostra, nel Medioevo andavano bene, hanno magari contribuito anche ad arricchirli, oggi gli fanno schifo. L’ignoranza…