Il mistero di Vivara

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Ben pochi conoscono l’isolotto di Vivara, una lingua di Terra di nemmeno mezzo chilometro quadrato nel Mar Mediterraneo, schiacciata tra Procida e Ischia; al massimo, è nota a qualche appassionato ecologista, dato che è sede di un’importante riserva naturale.

Poi, a sentire Li er Barista, per cui la notizia va presa per ciò che è, Vivara è entrata nel Guinness dei primati grazie al ponte tibetano più lungo del mondo, costruito tra il promontorio di Santa Margherita a Procida e l’isolotto di Vivara. Il ponte, lungo 362 metri, fu realizzato tra il 2 e il 10 luglio 2001 utilizzando 40 tubi Innocenti, 40 morsetti, 34 picchetti di un metro e mezzo, 2500 metri di corda, 500 m di cavi d’acciaio, 1 trivella e 1 verricello.

Eppure, questo luogo dimenticato da Dio e dall’Uomo, nella media Età del Bronzo, quando i mercanti elladici, data il predominio minoico delle rotte orientali, si erano buttati a capo fitto a commerciare nei misteriosi lidi occidentali.

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Ovviamente, all’epoca l’aspetto dell’isolotto era ben diverso dall’attuale: a causa del bradisismo, analogo a quello di Pozzuoli, il livello del mare era assai più basso, per cui Vivara non era nulla che un promontorio di Procida, i cui pendii erano occupati da grandi abitazioni rettangolari, costruite su terrazze artificiali, collegate al porto, posto dove adesso vi è il golfo di Genito, con lunghe scale scavate nel tufo.

Porto in cui le navi micenee potevano essere tirate a secco, le merci scaricate e immagazzinate nelle grotte naturali, chiuse da palizzate, per difenderne il contenuto dai malintenzionati. Inoltre, per il ristoro dei marinai, la zona era ricca di sorgenti d’acqua.

Inizialmente, Vivara fungeva da scalo per i mercanti elladici, che importavano dalla Sardegna il rame locale e lo stagno proveniente, dopo una lunga serie di intermediazioni dalla Cornovaglia, per soddisfare sia le esigenze di prestigio, sia quelle belliche delle élites locali greche: la creazione di queste stazioni marittime stabili, in grado di assicurare un afflusso costante di materie prime, fece da volano sia per la creazione di una diversa tipologia di commerci, sia per importanti modifiche culturali ed economiche
delle popolazioni che in qualche modo coinvolte in questi traffici

Così Vivara cominciò a vivere una sorta di boom economico: ai mercanti micenei si affiancano, sino all’integrazione tra le due culture, quelli minoici. Nel XIV a.C. quando gli interessi dei micenei si spostarono in maniera preponderante verso la Puglia ionica e adriatica, i loro mercanti, in maniera analoga a quanto avviene in tutto il Tirreno, sono sostituiti da quelli ciprioti e levantini; il porto comincerà a decadere solo agli inizi dell’età del ferro, sia per gli effetti del bradisismo, sia per la concorrenza dei
mercanti sardi, che monopolizzarono nelle loro mani tutto il commercio del Mediterraneo occidentale.

Quale era la base economica dello stanziamento di Vivara ? Da una parte abbiamo una forte presenza di ceramica di importazione, commessi a piccoli contenitori: per cui, dovevano essere importati oli ed essenze profumate, che data la limitato numero di abitanti presenti, erano a loro volta esportati in Campania e nel Lazio, come status symbol per i vari chief della cultura appenninica.

Al contempo, sono state trovate grandi giare, che da alcune analisi, sembra potessero contenere il vino: questo, probabilmente, diretto nel Mediterraneo orientale, era la principale materia prima di esportazione dell’area. Per cui Vivara era il terminale di una complessa struttura commerciale su base locale.

In parallelo, come in Polesine, si era sviluppata una sorta di industria locale, centrata da una parte sulla lavorazione del bronzo importato, che forniva semilavorati al mondo elladico e prodotti finiti per il mercato italiano. Dall’altra, in anticipo di circa un secolo rispetto al Salento, sulla produzione di ceramiche di imitazione micenea, che venivano sempre vendute in ambito locale.

Questo implica, come a Vivara, non vi fossero solo mercanti elladici di passaggio, ma artigiani immigrati dalla Grecia, in qualche modo in fuga dal mondo produttivo palaziale, altamente centralizzato. Gli impatti di tale presenza sulla società locale, appartenente alla facies culturale appenninica, furono assai notevoli

Il più banale è forse legato alla tipologia copertura di alcune capanne: questa  è tipicamente di foggia egea, ma fatta con tegole in tufo locale, probabilmente fornite da artigiani del posto, invece che di argilla; recentemente, sono state trovate tegole più grandi e con una decorazione a rombi. Essendo adatte alla copertura di una struttura circolare, alcuni archeologi le hanno associate a un forno, altri invece a una tholos, che poteva essere o la dimora di un capo o un luogo a valenza pubblica.

Assai più interessante è la presenza di numerosi token, i gettoni fittili utilizzati come forme di memorizzazione e registrazione per eseguire un preciso computo e, forse, un controllo degliapprovvigionamenti e delle merci.

Erano di diverse forme (circolare – semicircolare – quadrangolare) ; probabilmente ad ogni forma si doveva far corrispondere un qualche tipo di bene del quale si intendeva mantenere memoria.Per ogni forma, inoltre, sono attestati gettoni di diverse grandezze

Sistemi identici erano diffusi sia nel Mediterraneo orientale, che in diversi punti strategici del bacino occidentale, come Ustica e le isole Eolie. Sempre a Vivara è stato scoperto un frammento di tavoletta numerica recante sulla superficie di una delle sue facce indicazioni numeriche per mezzo di tacche circolari. Il che ci fa rendere conto quanto fosse sentita la necessità di tenere traccia e contabilizzare i beni prodotti, importati ed esportati.

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Nel settembre del 2017, poi, è avvenuta una scoperta che, se fosse confermata, sarebbe rivoluzionaria: un osso di bovino lavorato, di forma oblunga, della lunghezza di 15 cm circa e alto tra i 3 e i 4 cm. La sua superficie, lucidata e di colore scuro, mostrava, già in situ, al momento della scoperta, una serie di segni incisi intenzionalmente, non riferibili quindi alla sua giacitura nel terreno o ad accidentali tracce di lavorazione dell’osso per fini alimentari.

Le analisi di laboratorio hanno mostrato sia l’intenzionalità dei segni tracciati, sia a superficie era stata sottoposta in antico a un’accurata politura e al probabile trattamento con una resina, per darle più lucentezza.

I segni sembrano poi un andamento lineare, e forse, quanto meno nella parte sinistra, la presenza di due registri. Se con l’analisi dell’entropia di Shannon, si verificasse la presenza di un contenuto informativo, ci troveremmo dinanzi alla più antica testimonianza dell’uso di una scrittura nel Mediterraneo occidentale, ben precedente alla stele di Nora.

Alcuni archeologi, con un poco di fantasia, hanno identificato uno dei segni con la rappresentazione stilizzata di un grappolo d’uva: però, nella lontana ipotesi che avessero ragione, perché dare tale valore al vino, nonostante la sua importanza per l’economia locale ?

4 pensieri su “Il mistero di Vivara

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