Il secondo, principale contatto tra India e Grecia, avvenne, come molti sanno ai tempi di Alessandro Magno, quando l’esercito macedone stazionò nei pressi di Taxila (Takṣaśilā, attuale Punjab) nel 326 a.C.
In quell’occasione avvenne un incontro politico tra il Macedone, che cercava appoggi politici in vista della mia avvenuta campagna militare diretta al Gange, e i brahmani, che in qualche modo cercavano di integrare il nuovo arrivato nel loro sistema culturale, equiparandolo a un membro della casta guerriera dei kṣatriya, al cui interno sono scelti i rājan, i re, quindi coloro che, coadiuvati dai capi “orda” (grāma), i grāmaṇi, quando allocano su uno specifico territorio, o dai capi “esercito” (sénā), i sénānī.
Incontro, probabilmente assai banale e noioso, che i posteri riscrissero e reinterpretarono diverse volte, rendendolo uno degli episodi più noti del romanzo di Alessandro: in una versione, la più famosa e rappresentata nelle miniature medievali, è riconducibile a uno sorta di scambio epistolare tra le parti.
Una seconda, forse più affascinante, è raccontata invece da Plutarco e narra di una raffinata pena escogitata da Alessandro per punire dieci gimnosofisti, gli asceti Hindu avevano istigato alla resistenza il re indiano Sabba e le popolazioni locali: avrebbe sfidato costoro a una crudele gara di indovinelli, facendo condannare a morte il primo di costoro che non avesse risposto correttamente alle sue domande, secondo il giudizio del più anziano tra i gimnosofisti
Lascio la parola allo storico greco
Al primo fu chiesto se a suo giudizio erano più numerosi i vivi o i morti; rispose: «I vivi, perché i morti non ci sono più». Al secondo fu chiesto se dà vita ad animali più grossi il mare o la terra; rispose: «La terra, perché anche il mare è parte d’essa». Chiese al terzo qual è l’animale più astuto. Rispose: «Quel che l’uomo non ha ancora conosciuto».
Al quarto chiese per quale ragione avesse indotto Sabba alla rivolta; rispose: «Perché volevo che vivesse nobilmente o nobilmente morisse». Al quinto fu chiesto se pensava che fosse stato prima il giorno o la notte: «Il giorno» disse «e preceded’un giorno». Il re rimase stupito, ed egli aggiunse: «È logico che per domande impossibili ci siano risposte impossibili».
Passato al sesto, Alessandro chiese come uno possa farsi amare in sommo grado: «Se è potentissimo, ma non ispira timore», disse. Tra gli ultimi tre, quello interrogato su come uno da uomo potrebbe diventare dio, rispose: «Se fa quanto non è possibile che un uomo faccia». All’altro fu chiesto se è più forte la vita o la morte; rispose che la vita è più forte, perché sa sopportare così grandi mali; l’ultimo poi, cui chiesefin quando è bene che l’uomo viva, rispose: «Fino a quando non ritiene che l’essere morto sia meglio del vivere».
Alla fine si volse al giudice e lo invitò ad emanare il verdetto. Egli disse che avevano dato tutti una risposta che era l’una peggiore dell’altra, «Allora» disse Alessandro «tu morrai per primo, per questo giudizio». «No, o re,» ribatté l’altro «a meno che tu non avessi mentito quando dicesti che avresti messo a morte per primo colui che avesse risposto peggio»”.
Fior di studiosi hanno, anche con argomenti fondati, cercato di trovare nel pensiero religioso e filosofico indiano, le radici alle risposte date ai quesiti di Alessandro… Però, l’artificio retorico che permette ai gimnosofisti di salvare la pelle, è tipicamente greco, ossia una delle tante versioni del paradosso del mentitore di Epimenide…
Di fatto la sua risposta è riconducibile a un
Se nel mio verdetto, o Re, sono stato cattivo, vorrà dire che ho ben giudicato, perciò non merito la morte. Se invece ho mal giudicato, il mio verdetto non è cattivo, e ugualmente non merito la morte
Per cui, se questi spunti esistono e non vedo motivo per negarlo sono interpretati e riletti secondo un’ottica e una visione del mondo greca…
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