La Coppa Acerbo

Molti lo ignorano, ma Pescara ha svolto un ruolo importante nella storia degli sport automobilistici e detiene addirittura un record nell’ambito della Formula 1. Tutto cominciò nel 1923, quando a Castellammare Adriatico, uno dei due comuni, assieme a Pescara Vecchia, che fusi assieme nel 1927 diedero origine all’attuale città abruzzese, arrivarono da Roma le automobili che vi avrebbero partecipato per una gara di regolarità nel contesto della “Settimana Abruzzese”.

Ciò colpì la fantasia di Giacomo Acerbo, sì, proprio l’ideatore della legge elettorale che diede la maggioranza parlamentare a Mussolini, tra l’altro un fascista alquanto anomalo, perché nel 1921 fu uno dei sostenitori del patto di pacificazione con i socialisti e fu un fiero oppositore sia delle leggi razziali, sia dell’alleanza con la Germania nazista, il quale cercava un modo per onorare il fratello Tito, un eroe della Prima guerra Mondiale, caduto durante la battaglia dei Piave.

Per cui, Giacomo l’ebbe l’idea di dedicargli una gara automobilistica che si sarebbe corsa lungo Un percorso di 25km; la gara sarebbe partita da Castellammare, nel centro della parte nord dell’attuale città all’altezza di Piazza Duca degli Abruzzi, sulla ex via Nazionale Adriatica in direzione sud per poi girare all’interno, in direzione ovest, e percorrere il rettilineo dell’attuale via del Circuito fino alle campagne circostanti ed ai paesi di Villa Raspa e Spoltore.

Da qui, il tracciato proseguiva con una serie di innumerevoli curve fino a raggiungere Cappelle. Di qui le automobili prendevano la direzione del mare e quindi intraprendevano ad altissima velocità il c.d. chilometro lanciato – dove, nel 1950, Juan Manuel Fangio ha raggiunto la incredibile velocità di circa 288 km/h – fino ad arrivare a Montesilvano dove poi il circuito svoltava verso sud, sulla via Nazionale Adriatica, dove veniva completato il giro.

La prima edizione fu nel 1924. L’Alfa Romeo aveva appena creato la famosa P2 e fu deciso, nel clan milanese, di sottoporre la nuova vettura al collaudo dei rettifili, delle salite e delle discese del nuovo circuito. Essa fu affidata a Campari, allora “numero uno” dei piloti in attività, e trovò nelle argentee Mercedes di Bonmartini e Masetti avversarie temibilissime. Ma il successo, in maniera alquanto inaspettata, arrise a un giovane pilota,a bordo di una Alfa Romeo RL Targa Florio, chiamato Enzo Ferrari che così raccontò la sua vittoria

Tra le diverse gare alle quali partecipai in quell’epoca, ricordo con particolare soddisfazione la mia vittoria a Pescara nel 1924, con l’Alfa Romeo RL. Con questa macchina avevo vinto a Ravenna il Circuito del Savio e a Rovigo il Circuito del Polesine, ma nella Coppa Acerbo di Pescara siglai la mia notorietà di pilota. Riuscii infatti a battere la Mercedes, appena reduce dal trionfo nella Targa Florio. Nella squadra dell’Alfa c’era anche Campari con la famosa P2, ma dovette purtroppo ritirarsi. Il mio meccanico era Eugenio Siena, cugino di Campari, pieno di uno spirito agonistico che soverchiava i doveri di parentela, che doveva poi perire a Tripoli nel Gran Premio del 1938 quando stava laureandosi pilota internazionale. Come d’accordo, sin dal primo giro dovevo cercare nel retrovisore, se fossi passato in testa, la sagoma della P2 di Campari per lasciarle sollecitamente il passo. Ebbi un inizio velocissimo e ad ogni giro ripetevo la ricerca nello specchietto, ma invano: la P2 non si vedeva.

Preoccupato per questa assenza – il mezzo di Campari era più veloce del mio – e per l’incalzare delle Mercedes di Bonmartini e di Giulio Masetti, guardai Siena con un primo accenno a rallentare. Ma Siena lanciò un grido in cui non v’era nemmeno l’ombra di una preoccupazione per il ritardo del cugino:”Via, via che ghe la fem!”. Insistetti così al primo posto, e vinsi. Campari mi spiegò poi che, ritiratosi per un’avaria al cambio, aveva nascosto la macchina in una viuzza laterale, affinché gli avversari non si avvedessero troppo presto della sua resa

Le due edizioni seguenti ebbero la medesima fisionomia, con due attori di primo piano che diedero vita a serrati ed entusiasmanti duelli e col trionfo del più furbo “terzo incomodo”. Protagonisti maggiori della II Coppa Acerbo furono Brilli-Peri su Talbot e Materassi su Itala, chiamata “Italona” perché dotata di un motore d’aereo. Quando i due furono costretti al ritiro, passò al comando l’Alfa di Ginaldi che conservò tale posizione al traguardo riuscendo così a far legare anche un nome abruzzese (Ginaldi era di Sulmona) ad una fra le corse automobilistiche più importanti d’Europa.

Lotta ai ferri corti l’anno dopo fra il solito Materassi e Ajmo Maggi: il primo fu appiedato da un guasto meccanico nel finale, il secondo poco dopo rimase vittima di foratura. Facile risultò dunque per il teramano Spinozzi condurre alla vittoria per la prima volta una macchina straniera – la Bugatti – senza più avversari che gli contrastassero il passo.

Dal 1927 ebbe inizio la fase di maggior fulgore della Coppa Acerbo: adesione di industria, partecipazione di piloti, bontà organizzativa, migliorie al tracciato fecero della ormai tradizionale corsa di Ferragosto una delle poche che nel mondo andassero per la maggiore, una di quelle più indicate e più attese per i confronti tra le forze nazionali e straniere. Fu il periodo della egemonia delle Alfa Romeo (le P2 – poi divenute P3 – avevano raggiunto il maximum di rendimento) che in sei anni s’impose cinque volte e di Campari che nel giro di quattro edizioni realizzò una tripletta, prodezza restata unica. “Beppone” fece gara a sé nel 1927 e mantenne a distanza ogni concorrente fino all’ultimo, malgrado la strenua resistenza opposta dai vari Materassi, Borzacchini Brilli-Peri, De Sterlich.

L’anno dopo il bis di Campari fu più contrastato. Alla partenza si allinearono infatti per rendere vita dura alle Alfa la Bugatti con Nuvolari, Varzi e Brilli-Peri, la Maserati con Fagioli e Marano, la Talbot con Materassi. Appunto quest’ultimo impegnò a fondo Campari contro il quale però non ci fu nulla da fare, se non accontentarsi del posto d’onore dopo esserne stato l’ombra per i primi cinque giri per poi sparire a seguito di guasto meccanico e tornare nella scia del battistrada in virtù di una spettacolosa rimonta.

Nel 1929 la corsa fu sospesa a causa dei lavori per la costruzione della ferrovia Pescara-Penne, mentre nel 1930 se l’aggiudicò Varzi su Maserati, primo successo della marca del “tridente” a Pescara. La gara fu caratterizzata da una serrata disputa fra Nuvolari, Fagioli e Arcangeli, disputa che ad un certo momento fiaccò l’andatura delle macchine. Allora si profilò la minaccia di Varzi, lo stilista perfetto fra i più grandi campioni, il quale aveva attuato una tattica piuttosto prudenziale seppure a ritmo sostenuto: il suo rosso bolide piombò come un falco al penultimo giro sui più avventurosi ed il lauro del trionfo fu suo.

Nel 1931 tornò alla ribalta Campari che contrariamente al solito non diede battaglia sin dall’inizio. Egli assunse la terza posizione nella scia della coppia Nuvolari-Varzi (l’uno notoriamente spericolato e temerario, l’altro freddo calcolatore). Campari attese che i due rivali accusassero le conseguenze del ritmo troppo veloce impresso alle loro vetture, quindi prese la testa ed il “tris” fu cosa fatta.

Nel 1932, giunse finalmente il turno di Nuvolari e in quell’occasione, il mantovano volante, dopo una gara piena di emozioni, umiliò le Mercedes e le Bugatti. La nona edizione rimase ugualmente memorabile. Grande ed avvincente duello Nuvolari-Campari per i primi nove giri, fino a quando cioè – preludio della tragica fine che l’attendeva a Monza – il valoroso Campari andò fuori strada uscendo incolume. Da quel momento Nivola apparì sicuro vincitore per la seconda volta consecutiva della Coppa Acerbo ma all’ultimo giro, fatto non certo nuovo, si ebbe un clamoroso colpo di scena: il mantovano fu costretto a fermarsi ai box per noie accusate dalla sua Maserati e l’Alfa di Fagioli, il quale aveva mantenuto un’andatura più regolare e tuttavia velocissima, ebbe per pochissimo la meglio, precedendo lo sfortunato Nuvolari

Il decennale fu vinto da Fagioli, ahimé alla guida di una Mercedes. Nel 1934, invece, il dramma: dopo una serie di guasti meccanici, la corsa divenne una sorta di duello rusticano tra le auto tedesche e il giovanissimo asso algerino Moll, il Gilles Villeneuve, bello, coraggioso e sfortunato. Il sorprendente e meraviglioso francese approfittando della sosta degli argentei bolidi di Caracciola e Fagioli balzò al comando della corsa (dopo un vertiginoso inseguimento reso necessario dalla rottura dei freni) suscitando l’entusiasmo degli spettatori. Poi però anch’egli dovette rifornirsi e mentre stava attuando la nuova rincorsa perse la vita: la fatalità lo colpì al diciassettesimo giro. L’ultima prodezza di Moll era stata costituita dal giro più veloce…

Da quel momento in poi, cominciò il predominio tedesco: per contrastarlo, gli organizzatori le provarono tutte, tanto da introdurre, per rallentare i bolidi teutonici, con la scusa della sicurezza, d’altra parte con più di 200.000 spettatori accalcati sui lati della pista, è stato un miracolo che non ci sia mai stata una strage, tre tre “chicanes. Fu tutto inutile: solo nel 1939, anno in cui a causa degli eventi bellici le automobili tedesche non parteciparono, tornò a vincere l’Alfa Romeo. Nel 1947, la corsa riprese, non chiamandosi più per ovvi motivi Coppa Acerbo, ma con la nascita della Formula 1 e del campionato mondiale, la corsa fu messa in disparte

Il canto del cigno avvenne nel 1957: a causa della improvvisa cancellazione dei Gran premi di Belgio e dei Paesi Bassi, fu decisa la sua sostituzione con Pescara. L’evento, come spesso accade in Italia, fu accompagnato da polemiche.L’ANAS, infatti, fu piuttosto restia a concedere il proprio nulla osta circa l’idoneità del circuito stradale, per il pericolo che gli spettatori avrebbero corso, anche tenuto conto della tragedia di Guidizzolo, avvenuta solo 3 mesi prima.

Per chi non se lo ricordasse, nel pomeriggio del 12 maggio 1957, durante le fasi conclusive della XXIV Mille Miglia, la Ferrari 335 S n.531 condotta dal pilota spagnolo Alfonso de Portago e dal copilota statunitense Edmund Gurner Nelson percorreva il lungo rettilineo tra Cerlongo e Guidizzolo, sulla strada napoleonica Mantova-Brescia. Si trattava dell’ultima porzione di gara che portava al traguardo di Brescia: le autovetture concorrenti raggiungevano in quel punto velocità anche superiori a 250 km/h.

In vista dell’abitato di Guidizzolo, in località Corte Colomba (territorio comunale di Cavriana), l’improvviso scoppio di uno pneumatico fece sbandare la vettura di de Portago che, finita nel fossato a destra, ne fuoriuscì saltando l’intera carreggiata e schiantandosi sul ciglio sinistro ove erano assiepati molti spettatori. L’incidente provocò la morte degli occupanti la vettura e di nove spettatori, tra cui cinque bambini, oltre a numerosi feriti. Sul luogo della strage fu successivamente eretto un monumento commemorativo sulla SS236.

Ora, dato che la Coppa Acerbo non aveva mai brillato per la sicurezza, l’ANAS temeva che la tragedia si potesse ripetere sull’Adriatico: a questa preoccupazione, si era aggiunto il pessimo carattere di Enzo Ferrari, il quale, in polemica con la magistratura che lo aveva messo sotto inchiesta per la tragedia di Guidizzolo, aveva posto l’embargo sulle gare automobilistiche corse in Italia.

Nonostante i pernacchioni ricevuti dalla stampa e dai tifosi, il Drake, testardo come un mulo, fu irremovibile: permise soltanto ai suoi piloti di partecipare con vetture di altre Case, ma le monoposto della Scuderia Ferrari non si sarebbero dovute muovere Maranello. Alla fine, dopo tanto insistere, s concesse una vettura a Luigi Musso a condizione che venisse iscritta “privatamente” dal Pilota, ossia a sue spese.

La corsa fu vinta da Stirling Moss su Vanwall, seguito dalle Maserati di Juan Manuel Fangio ed Harry Schell.Così il circuito cittadino di Pescara, che come detto, misurava oltre 25 km (25,579 km), detiene il record, tutt’ora imbattuto, di più lungo circuito su cui si sia mai tenuto un Gran Premio di Formula 1

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