Di Wanax e altre facezie

MascheraDiAgammenone

Una delle questioni più complesse, per la contraddizioni delle fonti, dell’archeologia egeo anatolica è la ricostruzione dell’organizzazione politica micenea. Se ci limitiamo a considerare i testi in Lineare B, possiamo ricostruire un quadro del genere Al vertice vi era la figura indicata con il termine wa-na-ka = wanax = re in Omero, forse usato anche per una divinità. E’ significativo che nell’intero corpus delle tavolette tale nome ricorra solo 32 volte. Dai testi decifrati si deduce che il re aveva il potere di conferire incarichi e che aveva alle sue dirette dipendenze gruppi di artigiani (vasai, tintori e altro) indicati
con l’aggettivo wa-na-ka-te-ro, regio.

Un’altra figura di rilievo nell’organizzazione statale è il ra-wa-ke-ta = lawagetas, un titolo attestato sia a Pylos sia a Cnosso, la cui etimologia appare abbastanza chiara come “colui che guida il popolo” (laos, nel greco più tardo = popolo schierato per la battaglia = esercito). Tuttavia questa interpretazione di “comandante dell’esercito”, che farebbe pensare a una sorta di shogun, sembra essere però fuori contesto nelle tavolette che la citano, che di tutto parlano, tranne che di questioni legate alla sfera militare.

A loro si affiancano gli e-qe-ta-i = hequetai (cfr. lat. sequor) “coloro che seguono”, sono i seguaci (del re), attestati negli archivi di Pylos e di Cnosso. Si tratta di esponenti di una classe di nobili, con deleghe da parte del re per l’esercizio del potere e di funzioni militari e amministrative di alto livello.

Altri funzionari sono:

  • il koreter e prokoreter, responsabili delle contribuzioni straordinarie di bronzo e per i contributi in oro, insomma una sorta di agenti delle tasse;
  • i du-ma-te, coloro che governano la casa (?), forse i responsabili sia della servitù, sia delle attività produttive e commerciali gestite nel megaron;
  • mo-ro-qa è il titolo di un proprietario terriero in un villaggio, forse un grado piuttosto che un ufficio, dal momento che in un documento un individuo è koreter, ma viene indicato come mo-ro-qa.

Tutte queste figure erano anche assegnatarie di terre. A queste si affiancano

  • Da-mo-ko-ro (damokoros), presente solo a Pilo, nome composto da damos e forse dalla stessa radice di koreter, è una carica di nomina regia, che si riferisce probabilmente al governatore di una delledue province (dell’insieme dei damoi o distretti della provincia). Questi elementi si deducono dal testo di una tavoletta (PY On 300) che è una lunga lista di oggetti preziosi e di mobilia assegnata “quando il re aveva fatto Augewas da-mo-ko-ro”. A questa menzione segue una lista di koreteres della provincia citeriore.
  • Qa-si-re-we (= guasileus, basileus) è un termine con una lunga storia tra la fine dell’età micenea e l’VIII sec. a.C. anche nella evoluzione della lingua greca. Nelle tavolette è utilizzato per indicare un capo, di livello basso, di gruppi di artigiani (fabbri) o di villaggi, mentre in Omero è già sinonimo di anax e nel Greco classico è termine esclusivo per re.
  • E-ke-rja-wo, o Enkhelyawon (presente anche come ekerpawon e ekeryawon probabilmente traducibile con “colui che detiene”) titolo di difficile interpretazione, che però forse indicava la persona forse più ricca del regno (sua risulta la proprietà agricola più grande tra quante sono individuabili a Pilo), o quantomeno ricca in modo paragonabile al wanax. Disponeva inoltre di una nave privata da 40 vogatori (o comandava 40 vogatori), viene inoltre elencato come primo sia nelle donazioni al tempio di Poseidone, sia nelle distribuzioni palatine di olio e incensi profumati, superando in entrambi i casi il sovrano. Potrebbe essere un Re sottomesso al wanax, oppure un principe ereditario, ma si è ipotizzato anche un ruolo sacerdotale o militare (ammiraglio?), o, dall’etimologia del nome, primo ministro, detentore del vero potere politico

Una burocrazia complessa, senza dubbio,ma che l’impressione di essere organizzata su base locale: per cui, per gli studiosi, sembrava abbastanza ovvio considerare l’organizzazione politica del mondo miceneo analoga a quella della Grecia classica, un insieme di Polis, a volte alleate, a volte in guerra tra loro. Tuttavia, ci sono diversi elementi che complicano questo scenario: il primo riguarda il problema dell’omogeneità. Partendo dall’ipotesi, che sembra essere verificata dalle tavolette in Lineare B, che la differenziazione dei dialetti greci sia già presente nella tarda età del Bronzo, se l’adozione di una “lingua palatina” come il miceneo potrebbe anche ricondursi a dinamiche culturali, più che politiche, la standardizzazione delle formule burocratiche, dei pesi e delle misure fa pensare all’esistenza di una sorta di entità centrale.

Il secondo è la mobilità della popolazione: le tavolette in lineare B distinguono chiaramente tra ki-ti-ta (residenti, nativi), me-ta-ki-ti-ta (residenti figli di immigrati), e po-si-ke-te-re (immigrati). Ora, però a differenza della Grecia classica, in cui i meteci, gli stranieri greci residenti nelle città-stato greche per un periodo di tempo determinato, che non godevano della pienezza dei diritti civili, non sembrano esserci differenze tra le tre tipologie di cittadini micenei; il che avrebbe senso, se esistesse un livello politico e organizzativo superiore del megaron.

Il terzo riguarda una serie di opere pubbliche, strade e bonifiche, realizzate in epoca micenea, la cui complessità implica una disponibilità e organizzazione di forza lavoro ben più ampia di quella presente nell’epoca classica e quindi l’esistenza di una gestione comune di tali risorse

Infine, i testi ittiti: se consideriamo valida l’equivalenza tra Ahhiyawa e Achei, appare dai documenti di Hattusa come il mondo miceneo, tenendo anche conto delle sue evoluzioni in tre secoli e delle distorsioni introdotte dall’interpretazione culturale anatolica di una realtà politica differente, sia una realtà unitaria, anche se non riconducibili ai modelli di regalità del Vicino Oriente e con la propensione a non rispettare le convenzioni diplomatiche dell’epoca.

Un documento ittita noto come “lettera di Tawagalawa”ad esempio si rivela essere un’epistola di rammarico e richiamo formale nei confronti del re miceneo, che non si è comportato secondo il protocollo prestabilito: la prassi diplomatica per il buon mantenimento delle relazioni politiche e commerciali degli antichi popoli mediterranei prescriveva che i messaggeri, recanti notizie da parte di un altro stato,
portassero saluti formali del re in persona, e doni di pregio a suggello dei buoni rapporti. In questa lettera, invece, il sovrano ittita Hattusili III si lamenta aspramente del fatto che l’ultimo messaggero giunto a nome del re di Ahhiyawa , non ha portato né saluti né doni.

In conclusione, quindi possiamo ipotizzare l’esistenza di uno stato unitario miceneo, di cui conosciamo il nome di qualche re, sempre dalle fonti ittite e di cui conosciamo solo e con parecchi dubbi, l’organizzazione provinciale, cittadina e cantonale. Possiamo poi supporre, che inizialmente il centro politico di tale stato possa essere stato a Tebe, l’unica città menzionata direttamente in tutti gli archivi e che al centro di numerosi e fondanti miti panellenici (fondata da Cadmo che fa conoscere la scrittura agli uomini; luogo di nascita di Ercole, Dioniso e Demetra; la storia di Edipo e del ciclo tebano dei Sette e degli Epigoni).Ruolo che, negli ultimi anni di tale stato, può essere poi stato preso da Micene o qualche altra città del complesso peloponnesiaco.

Un pensiero su “Di Wanax e altre facezie

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