Per chi non la conoscesse, spero pochi, la Forma Urbis Severiana (anche Forma Urbis Romae, “Pianta marmorea severiana”, o Forma Urbis Marmorea) è una pianta della città di Roma antica incisa su lastre di marmo, risalente all’epoca di Settimio Severo. Realizzata tra il 203 e il 211, era collocata in una delle aule del Tempio della Pace (o “Foro della Pace”).
Tuttavia, molti indizi fanno pensare che questa sia .l’ultima di una lunga serie di piante monumentali, realizzate a partire dalla tarda età repubblicana: alcuni sono di natura “letteraria”, per cui anche legati all’impressione soggettiva, per esempio, quando leggo il brano in cui Varrone indica la posizione dei sacraria argei, la prima cosa che mi viene in mente è che stia scriva con sotto agli occhi una mappa, però magari altri potrebbero fornire delle spiegazioni forse più valide alla sua precisione topografica.
Altri più concreti sono legati a una serie di ritrovamenti avvenuti nel tempo, che mi accingo a elencare
Mappa di Sant’Anselmo
Raffaele Fabretti, nel suo De aquis et aquaeductibus, stampato a Roma nel 1680 (ristampa del 1788), offre a p. 151 la riproduzione di un frammento marmoreo che, dice, si trovava a suo tempo «nel giardino di S. Maria nell’Aventino», vale a dire, nell’attuale Priorato di Malta, all’angolo del colle che domina la Via Marmorata e la Piazza dell’Emporio, dove adesso c’è la chiesa di Sant’Anselmo, dove si sono sposati i miei
Noto da allora a tutti gli studiosi, venne inserito nel Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL VI.1261), e ripubblicato in vari modi e in differenti contesti1; esso rappresentava i due rami di un canale o acquedotto con relativi emissari, accanto ai quali comparivano alcune didascalie di attribuzione di turni orari a diversi praedia, accompagnati dai nomi dei possessori. Purtroppo il frammento in questione sembra essere andato perduto.
Però, dalle riproduzioni, sembra essere stata parte di una sorta di vademecum del curator aquarum, il funzionario deputato all’approvvigionamento idrico dell’Urbe e alla cura degli acquedotti, dedicato all’irrigazione dei giardini di proprietà imperiale
Mappa Tiburtina
Simile alla procedente, ma di uso privato, era la mappa conservata, fino al xvi/xvii secolo, nella chiesa di S. Pietro, fuori le mura di Tivoli; tutti i trascrittori che l’hanno schedata concordano nel dire che si trovava a costituire parte del pavimento e, proprio per questo, appariva molto consunta. Nel repertorio CIL VI, n. 3676, la trascrizione sembrerebbe smentire tale circostanza, essendo il testo piuttosto ampio e sostanzialmente comprensibile, al punto che sembra potersi dedurre che la larghezza originale della lastra non superasse di molto il margine destro del frammento. Il Suarez, uno dei trascrittori, ne dà le dimensioni: 2 palmi e una oncia di lunghezza per un palmo e quattro once di larghezza; vale a dire 46.6 × 30 cm, essendo il palmo romano equivalente a 22,3 cm
La maggior parte del campo della lastra è occupato da un’epigrafe divisa in due tronconi, ognuno dei quali relativo all’attribuzione d’acqua ad uno specifico fundus, di cui si riportano i nomi dei propietari: un (fundus) Domitianus, di tale M. Salluius (o Salvius) e un fundus Sosianus di tale L. Primus. Tuttavia, oltre al testo, si vedono i, due fasce ondulate e sottili, non sappiamo se a linea pura o a superficie abbassata, indicanti due ruscelli, la seconda delle quali presenta un’interruzione, probabilmente la rappresentazione di un ponticello.
Mappa di Perugia
Di questa mappa, che si trova conservata al museo di Perugia, purtroppo non sappiamo nulla della sua provenienza, anche se alcuni indizi fanno pensare a un’origine romana. Sappiamo di certo, però, come fosse realizzato ai tempi di Nerone. Ce lo dice, l’iscrizione associata,
Claudia, Octaviae divi Claudi f(iliae) lib(erta) Peloris/ et Ti(berius) Claudius Aug(usti) lib(ertus) Eutychus, proc(urator) Augustor(um),/ sororibus et lib(ertis) libertabusq(ue) posterisq(ue) eorum/ /form]as aedifici custodiae et monumenti reliquerunt.
in cui si specifica come la mappa sia riferita a un monumentum funerario e all’edificio di custodia annesso, lasciati (per testamento, forse) da una liberta di Ottavia, la figlia minore di Claudio, e da suo marito, un procurator Augustorum, cioè, prima di Claudio e dopo di Nerone, di cui non si specifica la mansione precisa.
Per cui le tre piante presenti fanno riferimento, le prime due al pianoterra del monumento funerario e dell’aedificium custodiae, il terzo, l’alzato di quest’ultimo
Mappa di via della Polveriera
Dal muro di cinta di una vigna situata alle falde Sud del colle Oppio, tra le terme di Tito e il Colosseo, dove adesso c’è la mensa di Ingegneria, Lanciani recuperò nel 1890 un piccolo frammento marmoreo (lungo cm 13, alto 13, spesso 14). La faccia incisa presenta il disegno di tre corpi di edifici accostati fra loro, Nel frammento il blocco di destra appare in verticale ed è costituito, dal basso verso l’alto, da un cortile (?) con l’inizio di due righe di iscrizione (AEL…/ S…) e da un corpo di ambienti periferici (tabernae) con aperture su una strada superiore (lettera iniziale P… nell’ambiente di centro), al cui
margine si legge probabilmente la cifra incompleta LX riferibile ad una misura espressa in piedi romani, probabilmente relativa alla facciata dell’edificio
Il secondo e terzo corpo di edifici occupano il lato sinistro della rappresentazione, ripartendolo quasi a metà. In basso, quale accesso ad un probabile cortile interno, si vede un ambiente centrale, ai cui lati appaiono altri due vani, verosimilmente delle tabernae aperte su un fronte stradale. Nell’ambiente di sinistra, compare la traccia di una lettera (probabilmente una O), mentre nel cortile interno appare su due righe, un nome femminile, NONIAE /IADIS, ad indicare probabilmente la proprietaria. Il blocco superiore appare quasi come la replica speculare del precedente, a cui si appoggia «da tergo» uno spazio trasversale interno, forse un cortile, e un fronte di tabernae che si aprivano sicuramente sulla strada che correva in alto; nello spazio trasversale si leggono le ultime tre lettere di una riga inscritta, probabilmente la desinenza…VAE. di un nome femminile.
Appare evidente che la rappresentazione cartografica riproduce un blocco di edifici in una zona pianeggiante, tra due strade parallele, sui cui fronti si aprivano ingressi di tabernae. Il carattere degli edifici, che mancano di elementi tipici di strutture abitative, quali peristili o altro, e l’abbondanza degli spazi d’uso sul fronte stradale, sembrerebbero far supporre una destinazione commerciale.
Mappa di via Anicia
Durante i lavori di ristrutturazione della caserma di polizia A. Lamarmora in Via Anicia, nel quartiere trasteverino di Ripagrande, venne scoperta occasionalmente, nel Maggio 1983, parte di una lastra marmorea sminuzzata dalle macchine impiegate negli sterri. Recuperata dalla Soprintendenza Archeologica, i suoi 15 frammenti (più altri due non integrabili) vennero riuniti, consolidati e restaurati. Il risultato fu sorprendente: si trattava di un frammento, esiguo (dimensioni: alt. 32 cm, larg. 29.5, spess, 2), ma prezioso di una mappa indubitabilmente urbana, ricca di didascalie, tra le quali spicca quella
di un tempio di Castore e Polluce, probabilmente adiacente al Circo Flaminio, a Campo Marzio.
Questo circo, lungo 500 metri e privo di posti a sedere, che di solito veniva usata come sede per il mercato e che venne tramutato in un’immensa vasca utilizzata per contenere 36 coccodrilli, uccisi durante i festeggiamenti per l’inaugurazione del foro di Augusto, aveva un ruolo ben diverso da quello del Circo Massimo.
Era infatti la sede dei Ludii Tauri, tenuti in onore degli dei dell’oltretomba, in cui, invece delle bighe, delle trighe e delle quadrighe, correvano, come neli ippodromi moderni, cavalli con unico fantino
Mappa di Amelia
Per incarico del Cardinale F. Borromeo, nel 1603, venne copiata una silloge epigrafica manoscritta intitolata Antiquae Amerinorum lapidum inscriptiones, opera, della metà del XVI sec., dell’arciprete Cosimo Brancatelli. Tra le iscrizioni, conservate oggi nel codice H. 180 inf., f. v-49 r., della Biblioteca Ambrosiana di Milano, figura un frammento di pianta topografica, senza indicazione di misure; vi si annota che si conserva-va ad Amelia (Umbria, antica Ameria) apud S. Secundum extra urbem Ameriam ad altare. Oggi non v’è più traccia di questo marmo. Disposti secondo la lunghezza, appaiono degli
edifici piuttosto articolati che descriveremo in seguito; al loro interno, ora per lungo, ora per largo, ora in obliquo, sono state incise diverse piccole iscrizioni alle quali il disegnatore rinascimentale sembra aver prestato un’attenzione secondaria rispetto al disegno topografico, a giudicare da alcune trascrizioni poco chiare come SALVSTION o NVMONIA
Mappa del Foro Transitorio
Ne 1995, durante gli scavi che erano allora in corso nell’area meridionale del domizianeo Foro Transitorio, saltò fuori un frammento marmoreo, di circa 30,5 cm × 10.5 e spesso circa 7.5 cm, che rappresenta un grande edificio, con ingresso sul porticato stradale in basso, e con due fronti di tabernae, una delle quali, nell’ordine superiore, presenta una scala interna, disegnata a rettangolo con 3 gradini. L’ordine di tabernae che si trova nella parte alta del frammento, apre direttamente gli ingressi sulla strada, mentre quello della parte bassa li apre sull’ampio porticato a pilastri quasi quadrati, appoggiati ad una linea continua, ove comincia la sede stradale. Al bordo di questa sembrano apparire tre (?) segni tondi, non facilmente interpretabili, ma troppo piccoli per essere delle lettere. Oltre l’asse stradale, in alto, si trova un corpo di tabernae divise in due gruppi da un ingresso. Ancora oltre, si vede una linea, probabilmente di marciapiede, preceduta, a quanto pare, da colonne, come farebbe pensare il segno rotondo, ed una strada solo parzialmente visibile.
L’edificio della parte centrale presenta, in basso, un ingresso che si apre sul porticato e sul fronte stradale; all’interno è rappresentato un cortile, a doppio ordine di pilastri sui lati destro e superiore; il primo pilastro dell’ordine più interno, vicino all’ingresso, è stato utilizzato, probabilmente in un secondo momento, per delimitare un piccolo ambiente, mediante la creazione di un muro continuo in senso verticale, su cui si innesta un setto murario ad L, con stipite presso lo spazio aperto del portico, segnato con un’incisione molto più sottile, tanto da risultare di difficile individuazione. Sembra
chiaro che si tratta di una cella per lo ianitor, ostiarius o portiere del complesso. A destra, oltre il doppio ordine di pilastri, il complesso continua con un lungo ambiente che percorre tutto il lato minore, senza apparenti aperture verso il porticato.
Alcuni studiosi, partendo dalle iscrizioni, hanno ipotizzato che rappresenti una domus patrizia, probabilmente appartenuta agli Appii Claudii.
Ora se le mappa di Sant’Anselmo, Tiburtina e di Perugia, nelle loro peculiarità, ci danno solo indicazioni sull’abitudine dell’epoca di rappresentare mappe sul marmo, le rimanenti, invece sono accomunate da tree cose: la stessa scala, 1 a 240, le stesse
convenzioni grafiche nel rappresentare gli edifici e gli stessi caratteri nel trascrivere le iscrizioni relative alla proprietà.
Per cui non sarebbe peregrino pensare che siano frammenti di un’equivalente della Forma Urbis risalente alla prima età imperiale, magari ispirata a quella che fece realizzare Agrippa. molto probabilmente esposta nella Porticus Vipsania, dove è attualmente la Galleria Sciarra, assieme a una monumentale carta del mondo (Orbis Pictus)
L’edificio,che ospitava statue e opere d’arte, era un duplice portico colonnato, addossato in parte alle arcate dell’Aqua Virgo, come ricorda il poeta latino Marziale e restò in uso almeno fino alla tarda età imperiale. Nel IV secolo il nome del monumento, ricordato dalle fonti documentarie, fu corrotto in Porticus Gypsiani.
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