Cos’è, allora, è la singolarità? È un periodo futuro durante il quale il ritmo del cambiamento tecnologico sarà così rapido, e il suo impatto così profondo, che la vita umana sarà trasformata in modo irreversibile. Né utopico, né distopica, questa epoca trasformerà i concetti su sui ci basiamo per dare un senso alle nostre vite, dai nostri modelli di business al ciclo della vita umana, compresa la morte stessa. Capire la singolarità altererà la nostra prospettiva sul significato del nostro passato e le conseguenze per il nostro futuro. Comprenderla veramente nella sua interezza cambierà la visione della vita in generale e della propria vita. Considero chi ha veramente compreso la singolarità e che ha riflettuto sulle sue implicazioni per la sua vita come un “singolaritano”
E’ una frase Raymond Kurzweil, saggista e inventore americano, tratta dal suo libro La singolarità è vicina del 2005, in cui viene esposta la tesi secondo cui la singolarità tecnologica si verificherà nell’arco della prima metà di questo secolo, e che mi risuonava nella testa ieri, giorno in cui mi hanno spedito, quasi a forza, a un corso su questo tema, cosa che il sottoscritto, che negli anni in consulenza era visto come bizzarro quando ne parlava, non so se considerare una beffa o una vittoria postuma.
Per dirla tutta, il buon Raymond ha anche toppato: la singolarità non è qualcosa che avverrà in un domani più o meno prossimo, ma la stiamo vivendo da almeno quindici anni. Non si tratta più di riflettere sul se e sul quando avverrà, ma sul come, e questo, purtroppo è oltre i nostri limiti cognitivi. Proprio per sfuggire a questa consapevolezza, ci siamo inventati una serie di meccanismi psicologici, concentrandoci sul Presente e sul breve periodo.
Quanto riflettono seriamente su come sia cambiata la nostra vita, come abitudini e comportamenti, rispetto agli anni Novanta del secolo scorso ? Di fatto i miei coetanei hanno vissuto a cavallo di due ere, ma preferiamo non pensarci.
E questo navigare a vista ha purtroppo anche il suo prezzo:si perdono uno sproposito di opportunità. Rispetto a dieci anni fa, in cui avevo sicuramente più energie, freschezza mentale e motivazioni, sono sicuramente assai più produttivo. Questo dipende sia da una maggiore esperienza nel gestire i carichi di lavoro, sia dalla maggiore competenza acquisita. Ad occhio, ho guadagnato un 20% di tempo, che una parte dedico a me stesso, una parte alla mia autoformazione, una parte a portare avanti nuove attività aziendali.
Ora se fossi affiancato da un’IA, nulla di futuristico, basterebbe una di quelle attualmente in commercio, che potrebbe sostituirmi nelle incombenze più ripetitive e a minore valore aggiunto, questa percentuale salirebbe a un buon 60% e sospetto che per i colleghi che si occupano di networking, oberati da studi di fattibilità e analisi di coperture, andrebbe ancora meglio. Allora perché non farlo ? Perché l’attuale organizzazione aziendale non saprebbe sfruttare questa presunta sotto occupazione e invece di inventarsi un modo per utilizzare le capacità e il tempo recuperato per creare nuovo business, la utilizzerebbe, con la scusa di ridurre i costi, come occasione per comprimere il numero delle risorse.
In generale, quindi, il nostro sistema economico ha paura di accettare la sfida di gestire e facilitare il cambiamento, perché non ha idea di come mitigare gli inevitabili costi sociali, però il nascondere la testa sotto la sabbia non fermerà l’orologio…
Ora non so se ha ragione Rifkin, quando, scopiazzando Marx, parla dell’imminente fine del capitalismo. So solo che tra cinque anni, la nostra società sarà ben diversa dall’attuale e noi stiamo rinunciando al diritto dovere di fare in modo che sia anche migliore.
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