San Giovanni dei Lebbrosi

Oggi, diciamola tutta, Palermo mi ha stupito per l’inaspettato e ben gradito caldo, che mi ha fatto rifiorire, tanto che, dopo mesi, sia la tendinite, sia i dolori alla schiena sembrano essere scomparsi. Per festeggiare tale lieta e inaspettato evento, butto giù qualche riga su una delle chiese normanne meno note di Palermo, forse perché posta fuori dal Centro Storico e dai normali circuiti turistici; come molti monumenti della città, lo scoprii grazie a mio nonno, che da esploratore incallito, durante il militare vi capitò per caso.

La chiesa, infatti, si trova nel quartiere Settecannoli, che prende il nome dai lavatoi pubblici fatti realizzare dal comune di Palermo a inizio Novecento, in una delle principali aree dedicate alla coltivazione degli agrumi, assai vicina al Ponte dell’Ammiraglio sul fiume Oreto. Questo ponte di epoca normanna, fu completato intorno al 1131 per volere di Giorgio d’Antiochia, ammiraglio del re Ruggero II di Sicilia; su questo e nella vicina Porta Termini, Garibaldi sconfisse le truppe borboniche il 27 maggio dell’anno 1860, evento permise l’insurrezione e la conquista della città

In origine, sul luogo della chiesa sorgeva una fortezza musulmana. chiamata Yahya, Giovanni in lingua araba, di cui, rimangono resti nel giardino retrostante la chiesa consistenti in tratti di muro e frammenti di pavimentazione. Tale castello, circondato da piantagioni di palme da dattero per uso alimentare, divenne il quartiere generale normanno durante l’assedio di Balarm; probabilmente, come ex voto per la vittoria ottenuta, i Roberto il Guiscardo e Ruggero I di Sicilia vi edificarono, tra il 1071 e il 1085, una chiesa, che, con poca fantasia, dedicarono al Battista.

Per cui, San Giovanni dei Lebbrosi, è forse la più antica chiesa latina della città, ipotesi suffragata dalle affinità con le prime chiese costruite dai normanni in territorio messinese e reggino durante il periodo della Contea (1060- 1130). Ruggero II vi aggiunse un lebbrosario in memoria del fratello Goffredo, che secondo il cronista Goffredo Malaterra era morto di tale malattia e.dotò la chiesa di casali, beni e privilegi, prerogative confermate dal figlio Guglielmo in una pergamena del maggio 1155 conservata nel tabulario della Magione. Sempre Gugliemo vi fece trasferire i lebbrosi ospitati presso le strutture della chiesa di San Leonardo, luogo di culto documentato sull’area dell’attuale convento dell’Ordine dei frati minori cappuccini, il luogo dove si trovano le famose catacombe, strapiene di mummie imbalsamate.

Nel 1219 Federico II di Svevia pone l’amministrazione e la gestione dell’ospedale all’attenzione del precettore della Magione e nel 1221 lo unì in perpetuo all’Ordine teutonico. Nel 1324 è appellato ospedale de infectis,ovvero struttura preposta alla cura e al trattamento delle malattie infettive. Risalgono a questo periodo gli affreschi documentati nel cortile, in particolare una scena raffigurante la Madonna Annunziata ritratta con un cavaliere teutonico genuflesso e orante.

In una lettera datata 23 novembre 1434, re Alfonso V d’Aragona fa riferimento alla chiesa con ospedale adibito a lebbrosario, appellandola chiesa di San Giovanni de’ Lebbrosi. Il sovrano per l’istituzione ospedaliera decretò l’esenzione di tasse e gabelle, rivolse ai Teutonici l’invito ad abbandonarne la gestione pur consentendo tuttavia alla chiesa di restare canonicamente unita alla chiesa della Santissima Trinità del Cancelliere.

Nel 1495 infatti, “l’ospedale di San Giovanni” fu incorporato, con tutti i suoi ricoverati ( lebbrosi, tisici e matti), “all’Ospedale Grande e Nuovo” fondato dal frate benedettino Giuliano Majali, che aveva sede all’interno di palazzo Sclafani. Nel 1495 il lebbrosario fu amministrato dal Senato Palermitano e in seguito trasformato in lazzaretto per le varie epidemie di peste scoppiate a Palermo a partire dal giugno 1575, cominciando al contempo una forte opera di ristrutturazione della chiesa, prima in stile manierista, poi in quello barocco.

Con il tempo però, proprio per la posizione periferica, il complesso cominciò a decadere, tanto che La regina Maria Carolina d’Austria durante una visita compiuta nel 1802, constatando i vetusti e fatiscenti impianti, le condizioni pietose in cui versavano i ricoverati, fece trasferire degenti e l’istituzione presso le strutture dell’Ospedale dei pazzi o tisici ubicato nell’ex noviziato dei Padri teresiani scalzi.

L’esterno non presenta particolari finezze architettoniche, è semplice e privo di decorazioni, ai fianchi si trovano una serie finestre di forma leggermente ogivale delimitate da ghiere a lieve rincasso, decorate con disegni geometrici, realizzati da maestranze islamiche. L’ impianto interno è quello tradizionale basilicale a tre navate, divise da tre coppie di robusti pilastri a sezione poligonale, sui quali impostano quattro arcate dal sesto moderatamente acuto. Le navate, di cui quella centrale più grande rispetto alle due laterali, presentano coperture lignee a capriate, realizzate dal Valenti secondo un’ipotetica “forma originaria”.

Il presbiterio triabsidato e tripartito da due archi longitudinali, ha l’abside centrale preceduto da un breve spazio rettangolare sopraelevato rispetto al piano basilicale, che accoglie l’altare. E’ coperto ai lati da voltine a crociera ed è sormontato al centro dalla tipica cupoletta emisferica, avvolta di rosso intonaco impermeabilizzante, che si raccorda al quadrato d’imposta mediante i caratteristici pennacchi a nicchie rientranti.

Gli imbocchi absidali sono ornati con belle colonnine angolari incassate i cui capitelli erano decorati con iscrizioni arabe di cui qualcuna ancora originale ( opere di maestranze islamiche): sulla destra è visibile un capitello angolare, con iscrizione araba in caratteri cufici ( purtroppo indecifrabili perché abrasi), raro esemplare in Sicilia, di capitello di tipo “omayyade-andaluso”. Al centro della navata principale vi possiamo ammirare un crocifisso ligneo dipinto del XV secolo di particolare pregio.

Insomma, anche sfruttando la nuova linea del tram 1, che capolinea da quelle parti, è un luogo che merita di essere visitato e ammirato

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