
Molti miei amici si sono incuriositi delle vicende del Silfio e mi hanno chiesto qualche dettaglio in più su questa piante estinta... Avendo ahimé poco da dire, preferisco far parlare il buon Teofrasto. Questi, per chi non bazzica gli studi classici, era uno dei principali discepoli di Aristotele: lo Stagirita vi era tanto affezionato,che, nel suo testamento, affidò a lui i suoi figli, la sua biblioteca e le sue opere originali, e lo designò come suo successore alla guida del Liceo, a scapito di altri filosofi illustri quali Eudemo di Rodi e Aristosseno.
Teofrasto era uno scrittore instancabile: secondo Diogene Laerzio, fu autore di ben 223 trattati. Di tutto ciò, però, rimane pochissimo: Della pietà, che, sotto parecchi aspetti, è forse la prima apologia del vegetarianesimo, I Caratteri, un insieme di caricature di figure morali, che traspone nella realtà concreta le analisi etiche di Aristotele e un paio di trattati di botanica.
In uno di questi, Ricerche sulle piante, così scrive del silfio
Il silfio ha una radice voluminosa e grossa, il fusto alto come quello della ferula e all’incirca della stessa grossezza. La foglia, che si chiama ‘maspeton’, sembra quella del sedano. Ha un seme schiacciato, per così dire a forma di foglia, detto appunto ‘fogli’. È una pianta a stelo annuale come la ferula. All’inizio produce le foglie, che servono a purgare i montoni, a ingrassarli e a dare alle loro carni un gusto delizioso. Dopo essa produce uno stelo, che si mangia, si dice, non importa come, se bollito o grigliato, e che purga l’organismo in quaranta giorni. Il silfio ha due tipi di succo: quello dello stelo e quello della radice. Per tale motivo il primo è detto succo dello stelo, il secondo succo radicale. La radice ha un involucro nero che si toglie. Ci sono nei paesi dei limiti al sezionamento delle radici, che permettono di preservare la parte giudicata utile per futuri tagli, e di tagliare giusto ciò di cui si può disporre. Non è consentito tagliarlo in maniera sconsiderata, né più della quantità stabilita, poiché il prodotto grezzo si altera e si guasta se lo si lascia invecchiare. Quando lo si porta al Pireo, il silfio è sottoposto al seguente trattamento: dopo averlo messo in alcuni recipienti e mescolato con della farina di grano, viene agitato a lungo. Questo procedimento serve a fargli prendere colore. Dopo quest’operazione si conserva senza guastarsi. Questo è tutto in relazione al trattamento e al taglio.
Il silfio occupa in Libia una vasta porzione di territorio. Si parla di oltre 4000 stadi, e di una grande abbondanza intorno alla Sirte, a partire da Euesperides (Bengasi). Il silfio ha la particolarità di non crescere nelle zone sottoposte a lavoro agricolo e di sparire da tutte le zone totalmente lavorate e coltivate. La pianta, infatti, a tutta evidenza, non necessita di cure ed è selvatica. Secondo gli abitanti di Cirene, il silfio fece la sua apparizione 7 anni prima che essi si stabilissero nel territorio della loro città. Questa fondazione avvenne circa 300 anni prima dell’arcontato di Semonide di Atene. Ecco quanto essi raccontano. In seguito ad altri rapporti, la radice del silfio raggiunge 1 cubito o poco più. Essa forma al centro una protuberanza, che costituisce la parte più sporgente e arriva quasi alla luce del sole. È da questa pianta che proviene il cosiddetto ‘latte’. All’interno germoglia lo stelo chiamato ‘magydaris’. Da questa a sua volta germogliano quello che si chiama la ‘foglia’ e che è il seme. Quando comincia a soffiare un forte vento del sud dopo la Canicola (fine agosto), i semi si disperdono, dando vita al silfio. Radice e stelo si sviluppano nello stesso anno.
Non c’è nulla di singolare (questo è anche il comportamento delle altre specie), salvo che, a quanto si racconta, la crescita avviene subito dopo la semina. Ciò che è singolare e in disaccordo con le indicazioni precedenti, è evitare di estirpare le piante di silfio ogni anno. Che errore! La pianta forma meno bene il suo seme e il suo fusto analogamente alla sua radice. Se invece le piante madri sono estirpate, le nuove piante diventano più belle perché la terra è mossa. Ecco ciò che contraddice l’opinione secondo la quale il silfio evita la terra coltivata. Si mangiano, pare, anche le radici appena tagliate in tranci immerse in aceto, e il seme è di un giallo oro. Un’altra contraddizione: i montoni non si purgano se mangiano i semi. Si dice in effetti che in primavera e in inverno vengano lasciati andare sulle montagne e che questi animali bruchino il silfio insieme a un’altra pianta che somiglia all’artemisia. Ora, le due piante sono riscaldanti e prive di effetto purgante, seccano e fanno digerire. Se un montone arriva malato o in cattive condizioni, esso guarisce presto o muore, ma nella maggior parte dei casi guarisce.
Resta da sapere quale delle due versioni sia quella vera. Quella detta ‘magydaris’ è un’altra specie di silfio, meno diffusa e meno aspra, priva del suo succo lattiginoso. Se si ha dimestichezza essa è ben riconoscibile solo a vederla. Cresce in Siria ma non a Cirene ma si dice sia comune anche sul monte Parnaso. Alcuni chiamano silfio questa pianta. Resta da verificare se essa eviti, come il vero silfio, il terreno coltivato, se essa richiami da vicino o da lontano il vero silfio nel seme e nello stelo e infine se anche essa emetta un succo per così dire in lacrime
Altro che ne parla è Plinio, uomo che scrisse di tutto, da opere storiche, come Bellorum Germaniae libri XX a dizionari dal celtico al latino, da un opuscolo sull’arte del lancio del giavellotto a cavallo (De iaculatione equestri) a grammatiche della lingua latina.
Di tutto ciò, è rimasta solo Naturalis historia, che sospetto essere stata scritta per passatempo. In tale libro, così si dice del Silfio
Il silfio o laterpizio è famosissimo per il prestigio di cui gode; i Greci lo chiamano ‘silphion’ e fu trovato in Cirenaica. Il suo succo, detto ‘lasere’, è di grande importanza per l’uso quotidiano e per la preparazione di medicinali: lo si vende al prezzo dell’argento. Sono ormai molti anni che in quella regione non se ne trova più, perché i pubblicani, che prendono in affitto i pascoli, pensano di ricavarne un guadagno maggiore se li usano per il bestiame e così facendo li devastano. Ai miei tempi se ne è trovato in tutto un solo fusto, che fu inviato all’imperatore Nerone. Può capitare che il bestiame si imbatta in uno stelo appena spuntato, ed è facile accorgersene, perché la pecora che l’ha brucato cade subito addormentata, mentre la capra prende a starnutire ripetutamente. È ormai da lungo tempo che a noi non arriva altro lasere all’infuori di quello prodotto in abbondanza in Persia, o in Media, o in Armenia; ma è di qualità molto inferiore rispetto a quello della Cirenaica, e per di più è spesso mescolato con gomma, o sacopenio, o fave tritate: ragione di più, questa, per non ritenere trascurabile il fatto che sotto il consolato di Gaio Valerio e di Marco Erennio (93 a.C.) furono portate da Cirene a Roma 30 libbre di laserpizio, a spese dello stato; cosi come è rilevante il fatto che Cesare, durante la sua dittatura, all’inizio della guerra civile, prelevò dall’erario, insieme all’oro e all’argento, 1500 libbre di laserpizio.
Nelle fonti greche più sicure troviamo che questa pianta nacque dal terreno bagnato improvvisamente da una pioggia nera e fitta come pece, che si verificò nei pressi del Giardino delle Esperidi e della Grande Sirte, 7 anni prima della fondazione di Cirene, avvenuta nell’anno 143 di Roma (611 a.C.); e che l’effetto di questa pioggia era stato avvertito, in Africa, su un’area vasta 4000 stadi. In quella zona soleva nascere il laserpizio, pianta selvatica e ribelle, pronta a ritirarsi in zone desertiche, se si tentava di coltivarla: aveva radici numerose e spesse, fusto simile a quello della ferula e di grossezza analoga; le foglie erano chiamate ‘maspetum’ e somigliavano molto a quelle dell’apio; i semi avevano l’aspetto di foglie; il fogliame vero e proprio cadeva in primavera. Di laserpizio si nutriva solitamente il bestiame, che dapprima con esso si purgava, poi acquistava peso, mentre la carne prendeva un sapore straordinariamente gradevole. Dopo che le foglie erano cadute, anche gli uomini si cibavano del fusto, preparato in tutti i modi, lesso e arrosto, e anche per loro nei primi quaranta giorni aveva effetto purgativo. Il succo veniva raccolto in due modi, dalla radice e dal fusto, e prendeva perciò i nomi di ‘rhizias’ e ‘caulias’: quest’ultimo era di minor pregio e tendeva a guastarsi. La radice era coperta da una scorza nera.
Per frodare i compratori si versava il succo in recipienti mescolandolo con crusca, poi si agitava più volte questo miscuglio finché era pronto: se non si seguiva tale procedimento sarebbe andato a male. Si capiva che il preparato era al punto giusto in base al colore e al fatto che si presentava secco, avendo finito di trasudare. Secondo notizie riportate da altre fonti, la radice del laserpizio era più grossa di un cubito e aveva alla superficie un tubero che, tagliato, lasciava colare un succo simile a latte, mentre al di sopra c’era un fusto che veniva detto ‘magydaris’. Le foglie, di colore dorato, servivano da semenza e cadevano a partire dal sorgere della costellazione del Cane, quando soffiava dal sud vento da austro. Da esse nasceva il laserpizio, la cui radice e il cui fusto si esaurivano nel giro di un anno. Stando a queste fonti, veniva estratto scavando la terra tutt’intorno e non aveva effetto purgativo sul bestiame ma, se era malato, lo guariva oppure lo faceva morire immediatamente, il che accadeva però di rado. La prima di queste notizie si attaglia al silfio di Persia
Detto questo, un altro estratto del quarto libro di De Coquinaria
Piatto da usare come dolce: prendi pinoli e noci, puliscili e abbrustoliscili, mescolali con miele, pepe e Salsa, latte, uova e poco vino puro e olio.
Piatto di formaggio e di pesce salato: cuocilo nell’olio dopo averlo pulito delle lische e tritato. In una padella fai sciogliere delle cervella scottate, la polpa dei pesci, dei fegatini di pollo, delle uova sode; del formaggio molle riscaldato. Trita in padella del pepe, del ligustico, dell’origano, delle bacche di ruta con vino melato e con olio. Metti a fuoco lento finché cuociano. Legherai con uova crude, coprirai di cumino spezzettato e porterai in tavola.
Piatto secco: polpette di pesce porco (è il Delphinus Phocaena): togli le lische d pesce e tritalo finemente. Trita del pepe, del ligustico, dell’origano, del prezzemolo, del coriandolo, una bacca di ruta, della menta secca, che unirai al pesce. Fai delle polpette. Aggiungi il vino, la Salsa e l’olio. Cuoci. Una volta cotte mettile in padella. Fai questa salsa: (mescola) pepe, ligustico, ,santoreggia, cipolla, vino, Salsa, olio. Getta tutto in padella perché si cuocia. Legherai con uova, cospargerai di pepe e porterai in tavola.
Piatto ex holisatro (smirnio): lessa lo smirnio in acqua con sale ammonisco e spremine il succo in una padella. Mescola il pepe tritato, il ligustico, il coriandolo, la santoreggia, la cipolla, il vino, la Salsa, l’aceto e l’olio. Getta il tutto in padella, cuoci e rendi denso con amido. Cospargi di timo e di pepe tritato. Fai così per qualsiasi altra erba che vorrai.
Piatto di acciughe fritte: lava le acciughe; rompi delle uova e sbattile con poca acqua. Aggiungi la Salsa, il vino, l’olio: metti al fuoco e quando bollirà gettaci le acciughe. Quando tutto sarà incorporato, rivoltalo con delicatezza. Fai prendere colore e bagna con Salsa acida semplice. Cospargi di pepe e porta in tavola.
Piatto di sgombri (Plinio XXXII, 53) e cervella: friggi delle uova sode, scotta e snerva delle cervella. cuoci dei ventrigli di pollo. Trita tutto eccetto il per.:e e gettali in una padella, mettendo nel mezzo del salame cotto. Trita del pesce, del ligustico, cospargi di passito per render dolce. Versa della peperata nella padella: fai bollire. Quando bollirà mescola con un ramo di ruta e lega con amido.
Piatto di triglie (Mullus Barbatus) invece di salsume: raschia le triglie e – pulite – mettile in una padella pulita, aggiungi olio quanto basta e nel mezzo mettivi del salsume. Fai in modo che bolla. Quando bollirà, aggiungi vino melato e amido.
Piatto di pesci: togli le scaglie a un qualsiasi pesce sventrato: sminuzzalo con scalogni (da Ascalon, città della Palestina ) o d’altro genere in padella e mettici sopra i pesci. Aggiungi Salsa e olio. Quando sarà cotto, mettici nel mezzo del salume cotto. Aggiungi l’aceto. Cospargi anche di santoreggia montana (è varietà d’origano).
Piatto lucreziano: pulisci delle cipolle porraie (è l’Allium Schoenoprassum) gettando via il verde e affettalo in padella. Bagnale con poca Salsa, coro olio e con acqua. Mentre cuociono metti nel mezzo del salsume crudo. Quando ciò sarà quasi cotto col salsume, aggiungici il miele e poco aceto e mosto cotto. Assaggia. Se sarà insipido, aggiungi della Salsa e poco miele. Cospargi di santoreggia montana e bolli.
Piatto di sgombri (lagitis): squama e lava gli sgombri; rompi delle uova e mescolale con i pesci. Aggiungi la salsa, il vino e l’olio; fai in modo che bolla. Quando bollirà cospargi di salsa acida di vino semplice. Cospargi di pepe e porta in tavola.
Piatto di pesci nel loro sugo: pulisci da crudi qualsiasi tipo di pesce e componilo in padella. Aggiungi olio. Salsa, vino, mosto cotto, un mazzetto di porri e uno di coriandoli. Mentre si cuoce, trita del pepe, del ligustico, dell’origano e un mazzetto di maggiorana. Lavora bene il tutto col sugo stesso. batti delle uova crude e mescola bene. Versa nella padella facendo in modo che tutto si leghi. Quando sarà rappreso, cospargi di pepe e porta in tavola. Piatto di sogliole: batti le sogliole e mettile per bene in padella. Aggiungi
olio, Salsa e vino. Mentre cuociono trita il pepe, il ligustico e incorpora. Versa sopra le sogliole c cuoci a fuoco lento. Quando tutto sarà rappreso cospargi di pepe e servi.
Piatto di pesci: condisci con 30 g di pepe, 6 bicchieri di mosto cotto, 6 bicchieri di vino, 60 g di olio.
Piatto di pesciolini: (condisci con) uva passa, pepe, ligustico, origano, cipolla, vino, Salsa, olio. Metti tutto in padella. Quando sarà cotta aggiungi i pesci cotti. Lega con amido e servi.
Piatto di dentice (Sparus Dentex), d’orata (Chrysophis Curata: i Romani ne erano ghiotti), di cefalo (Mugilis Cephalus): prendi i pesci e preparali, scottali e tritane la polpa. Sguscia poi delle ostriche. Aggiungi nel mortaio 12 grani di pepe, bagna con la Salsa; lavora. Aggiungi ancora una tazza di Salsa, una tazza di vino, metti nel tegame con 90 g d’olio e le ostriche. Fai bollire con la salsa acida di vino. Quando ha bollito ungi una padella e setta il trito sopra detta polpa e sopra il condimento di ostriche. Fai bollire. Quando
bollirà, rompi due uova e gettale sulle ostriche. Quando tutto g sarà rappreso, cospargi di pepe e servi.
Piatto di pesce lupo (forse è il luccio): trita del pepe, del cumino, del prezzemolo, della ruta, della cipolla, del miele, della Salsa, con passito e alcune gocce d’olio.
Piatto caldo e freddo di sorbe: prendi delle sorbe, puliscile, pestale nel mortaio e passale allo staccio. Snerva 4 cervella scottate, mettile nel mortaio con una decina di grani di pepe, bagna di Salsa e pesta. Aggiungi le sorbe e amalgama; rompi 8 uova, aggiungi una tazza di Salsa. Ungi una padella pulita e mettila sulla brace calda sopra e sotto. Quando sarà cotta cospargi di pepe tritato fine e servi.
Piatto di pesche (Amygdalis Persica): pulisci pesche piuttosto dure. Falle a pezzi, scottale, mettile in padella bagnate di poco olio e portale in tavola con salsa di cumino.
Piatto di pere: trita delle pere lessate e ripulite del torsolo insieme al pepe, al cumino, al miele, al passito, alla Salsa e a poco olio. Unite alle uova fanne una padella; cospargila di pepe e porta in tavola.
Piatto caldo e freddo di ortica: prendi delle ortiche, lavale e passale al colino, falle asciugare sul tavolo e tagliale. Trita una quindicina di grani di pepe, bagna con la Salsa; lavora. Aggiungici dopo due tazze di Salsa e 18 r. di olio. Metti a bollire il tegame. Quando bollirà lascia cuocere e toglilo dal fuoco per farlo freddare. Ungi dopo una padella pulita e rompici 8 uova e sbattile. Poni della brace calda sopra e sotto. Quando tutto sarà cotto cospargi di pepe tritato e porta in tavola.
Piatto di cotogne: cuoci le mele cotogne con porri, miele, salsa, olio, mosto cotto e servi oppure lessale col miele.