Questa chiesa insieme all’annessa abbazia fu fondata sul finire del XII secolo da Matteo D’Aiello, cancelliere di Tancredi, l’ultimo Re normanno, che proprio da Matteo, nel 1190, aveva ricevuto la corona regia, secondo la testimonianza di Riccardo di San Germano “est per ipsum Cancellarium coronatus Rege. Matteo, originario di Salerno, la cui carriera burocratica coprì tutta la fase della dinastia degli Altavilla, ebbe forse l’ispirazione dal fatto che il fratello Costantino fosse abate dell’omonima abbazia di Venosa, che era il sacrario dinastico della prima normanna.
Per risparmiare tempo e denaro, Matteo riadattò un complesso risalente al periodo islamico, consistente in una moschea di età fatimide e di una porzione delle mura interne alla Kalsa, imitando quanto fatto ad esempio nei primi tempi della conquista normanna con Santa Maria Pinta o con la Cattedrale.
Come risultato di tali lavori, la chiesa e il monastero della Trinitù occuparono un ampio settore urbano “infra moenia in civitate panormi”, (dentro le mura della città di Palermo) con edilizia rada, dove risultava l’unica emergenza architettonica del posto, ed era circondato da un grande giardino (“viridarium magnum”) cosi vasto, che nei periodi di carestia, veniva piantato a grano per sfamare la popolazione. Inoltre, asssegnò la struttura ai ai monaci Cistercensi che S. Bernardo di Chiaravalle, per istanza dell’amico Re Ruggero, aveva mandato in Sicilia anni prima, che, nella lotta che contrapponeva Tancredi di Lecce a Enrico VI di Germania, si era schierati con l’ultimo degli Altavilla.
Sappiamo come nel 1194, i lavori di costruzione dovessero essere quasi terminati: da una parte, in quell’anno, Tancredi fu sepolto in tale chiesa, dall’altra era operativo l’archivio. Quando nel 1197 l’Imperatore svevo Enrico VI, padre di Federico II, prese definitivamente il potere, i cistercensi furono cacciati a pedate e il loro posto fu preso dai cavalieri teutonici, più fedeli agli svevi. Da questo momento la chiesa assunse il titolo “Mansio Sanctae Trinitatis“, divenendo la casa dei Cavalieri Teutonici, cioè la “mansio theutonicorum”, da cui il nome Magione. E cosa che a noi moderni sembra strana, dato che siamo abituati ad associare tale ordine cavalleresco al Nord Europa, per diverso tempo Palermo fu anche sede della loro casa generalizia.
Nella seconda metà del ‘400 il vicerettore dell’Ordine Teutonico Leonardo Mederstorsen e l’arcivescovo Simone da Bologna si fecero promotori dell’espansione del complesso, ingrandendo il convento e creando nuove cappelle dentro la chiesa e costruirono un ospedale destinato ai pellegrini di etnia germanica provenienti o diretti in Terra Santa.
Essi possedettero il complesso religioso fino al 1492 quando la Magione fu eretta in commenda (cioè data in affidamento) e governata per quasi due secoli da Abbati commendatari, primo fra i quali il Cardinale Rodrigo Borgia, il futuro Papa Alessandro VI, e anche loro vi apportarono nuove modifiche occultando preesistenti strutture medievali. Infine nel 1787, Ferdinando III di Borbone aggregò la chiesa con tutti i suoi beni all’ordine Costantiniano di San Giorgio, che ne ammodernò la struttura, trasformandola da edificio barocco in neoclassico.
Nel 1884, Giuseppe Patricolo, nel suo tentativo di recuperare il patrimonio di architettura normanna siciliana, a volte anche con eccessiva fantasia, cominciò a restaurare la chiesa, eliminando le stratificazioni successive: compito portato avanti, con notevole entisiasmo, da Francesco Valenti. Nel 1957, infine, furono riparati i danni dovuti ai bombardamenti anglo americani
La facciata è formata da tre portali ogivali con ghiere a rincasso, uno più grande al centro, che è anche l’ingresso alla chiesa, e due laterali più piccoli. Più sopra si trovano cinque finestre, di cui tre cieche al centro e due lucifere ai lati, inoltre, nell’ordine più alto, vi è una finestra posta in asse con il portale principale.
La parte posteriore dell’edificio termina in tre absidi, di cui quella centrale è disegnata da archi intrecciati ben sporgenti mentre nelle minori questi sono appena accennati e nei fianchi viene riproposto il motivo delle finestre cieche con ghiere a rincasso.
L’interno della chiesa, ampio e arioso, unisce il tipo di pianta longitudinale a croce latina, con un corpo centrico a tre absidi. L’impianto che ne risulta è quello tradizionale di tipo basilicale a tre navate separate da grandi archi ogivali sostenuti da colonne monolitiche di spoglio di diversa altezza, con capitelli a motivi vegetali stilizzati diversi nella forma e nella decorazione. Il motivo delle colonnine si ripresenta nella zona del presbiterio che appare soprelevato, come la navata centrale con soffitto ligneo, un tempo magnificamente dipinto.
Nei tempi passati la chiesa, che doveva essere ricca di preziosi manufatti e opere d’arte (dipinti su tavole, icone dipinte e rivestimenti marmorei parietali), oggi la troviamo quasi spoglia, vi sono poche opere ma certamente di grande valore artistico, come ad esempio: : due acquasantiere del XVI secolo poste ai lati dell’ingresso, il monumento funebre di F. Perdicaro (m. 1576), verosimilmente di Vincenzo Gagini, posizionato sotto una Croce in pietra del XV secolo con l’emblema dei Cavalieri Teutonici, una Vergine col Bambino, a sinistra, insieme a un Cristo benedicente, a destra, entrambi della bottega del Gagini.
E fora da attribuirsi a Francesco Laurana l’elegante portale rinascimentale che introduce all’attuale sacrestia; nell’abside a sinistra, una Madonna lignea policroma è posta sopra una base di marmo del ‘500 con S. Domenico e S. Caterina; il poderoso altare in pietra decorato a rilievo era prima posto nell’abside a destra, dove ora si trovano un tabernacolo del 1528 e una Madonna dipinta su lavagna, databile del ‘500; un trittico marmoreo di età tardo gotica, con al centro una Madonna col Bambino e S. Caterina si può ammirare lungo la parete della navata destra. La Pietà di Campini del 1953 è stata collocata all’ingresso, al posto della scultura di Vincenzo Gagini, distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Nel pavimento infine vi sono tombe di Cavalieri Teutonici del ‘400, le cui lastre tombali sono esposte in locali attigui al chiostro.
Il chiostro, mutilo nei lati corti e collocato – contro l’uso più frequente – ad occidente della chiesa, è quanto resta dell’originario monastero cistercense. In piccolo, esso fa pensare al Chiostro di Monreale: colonnine binate con capitelli a doppia corona di foglie sorreggono le arcate ogivali a doppia ghiera, e nelle prime due colonnine a sinistra dell’ingresso sono scolpiti uccelli beccanti. Il lato sud-orientale è stato pesantemente rifatto negli anni ’50, mentre quello occidentale è stato liberato solo coi restauri del ’90 dalla tompagnatura che lo occludeva. Nel pozzo centrale del chiostro si trova una tomba del 1300, con iscrizione ebraica. Un elegante portale in pietra del primo ventennio del 1500, attribuito ad Andrea Belverte, con raffinate imposte lignee del 1535, da attribuirsi a Juan de Juni, proveniente dall’Abbazia di S. Maria del Bosco, campeggia a destra dell’ingresso del chiostro.
A destra dell’uscita della chiesa, vi è la Cappella di S. Cecilia, che fungeva da battistero. Al suo interno si può apprezzare una bifora con colonnina centrale con iscrizione islamica, con scritto Dio è Misericordioso ed un affresco con la Crocifissione e la sinopia in ocra rossa, del 1458, originariamente destinato al refettorio del convento
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