Il Castello Piccolomini

E di notte com’era calmo e lucente il lago, simile a una striscia d’argento, sotto le finestre del palazzo, alla luce della luna piena, mentre il vecchio castello gettava lunghe ombre sul paese addormentato.

Così Edward Lear, il grande scrittore di limerick, che sarà protagonista di un mio prossimo romanzo, descriveva il Castello Piccolomini di Celano, che all’epoca di affacciava ancora sul lago del Fucino.

Castello che risale ai tempi di Federico II, il quale, diventato nel 1220 imperatore, dichiarò guerra a Tommaso, conte di Celano, che era il più potente feudatario del regno siciliano e aveva l’ambizione, mettendo contro il Papa e gli Svevi, di crearsi uno stato indipendente comprendente Molise e Abruzzo.

Guerra che duro tre anni mettendo a ferro e fuoco la Marsica e che culminò con l’assedio di Celano; in quell’occasione l’imperatore, sul colle di San Flaviano fece costruire delle fortificazioni provvisorie di legno e terra battuta, che furono probabilmente smantellate dopo la resa del borgo, che fu distrutto e i cui abitanto furono costretti all’esilio.

Bando che fu tolto per intercessione papale: così Celano fu ricostruita in un nuovo sito a circa 1 km di distanza sul colle San Vittorino. con la morte di Federico II, e dopo un breve periodo di regno di Federico d’Antiochia tra il 1252 e il 1253, Celano tornò al conte Ruggerone ovvero ai Berardi fino al 1282; per breve tempo fu concessa nel 1287 a Raimondo d’Artois consanguineo di Carlo I d’Angiò, per tornare poi nelle mani della dinastia dei conti di Celano.

In tale occasione, fu eretta una prima fortificazione in muratura, comprendente torrette rettangolari “a scudo” e una torre la torre-mastio sommitale a pianta quadrata. Intorno al 1390, Pietro da Celano decise di rimordernare il tutto, costruendo il solo piano primo con le torri quadrangolari agli angoli, fino al marcapiano, integrando la torre-mastio sull’angolo nord-est ed edificandpo il cortile interno alle mura dotandolo del loggiato con arcature a sesto acuto ancora visibile.

A riprova di ciò, nel 1392 il conte di Celano, ordinò poi l’edificazione della Chiesa di Sant’Angelo e dell’antico convento dei Celestini, donando ai monaci il suo antico palazzo, il che fa supporte come al momento in cui il conte lasciò la sua vecchia dimora l’edificazione del nuovo castello sulla cima del colle S. Vittorino fosse iniziata da qualche tempo.

Per avere altre notizie sul castello bisognerà attendere il tempo del matrimonio della contessa Icobella, nipote di Pietro, con Lionello Acclozzamorra, duca di Bari, mediocre condottiero, collezionò sconfitte in quantità industriale, ma buon affarista, dato che sotto il suo dominio fece infine regolarizzare dagli Aragonesi il tratturo Celano-Foggia potenziando questa via pastorale tanto da farla divenire un cardine dell’economia marsicana.

Essendo Lionello un amante dell’architettura, riprese la costruzione dell’edificio nel 1451, portando quasi a compimento l’opera con la realizzazione del piano nobile, del cammino di ronda e delle quattro torri d’angolo. In più, senza creare particolari contrasti con quanto costruito in precedenza, adattò il tutto alle nuove esigenze della guerra d’assedio, cambiate a seguito dell’introduzione delle prime bombarde: abbassò l’altezza delle torri angolari, aumentò lo spessore delle mura e e realizzò l’apparato a sporgere con il soprastante cammino di ronda a pari altezza lungo tutto il perimetro dell’edificio, per facilitare lo spostamento dei difensori.

Nel 1495, con la morte di Ruggerotto, figlio di Icobella e dell’Acclozzamorra,Castello Piccolomini si estinse la dinastia dei Berardi, ma nel 1463 Antonio Todeschini Piccolomini, nipote di papa Pio II, fu investito della Contea di Celano da Ferrante d’Aragona. Antonio i riprese la costruzione del castello apportando aggiunte e decorazioni architettoniche che trasformarono il maniero in palazzo residenziale fortificato.

Egli, infatti, completò il secondo piano del loggiato del cortile con archi a tutto sesto impostati su capitelli recanti i simboli della sua famiglia: la croce e la luna falcata. Fece aprire diverse finestre fra le quali quella rettangolare del prospetto principale decorata con mostra a cassettoni, e fece realizzare molte loggette pensili poste sugli sbalzi poggianti su beccatelli in pietra ancora oggi visibili sulle pareti dell’edificio.

Più incisivo, invece, fu l’intervento che fece sulla cinta muraria: egli rinforzò gli angoli più esposti della spezzata che segue le curve di livello, inglobando le vecchie torri ad “U” con delle grandi torri circolari munite di scarpa nella parte inferiore. Inoltre, per dare maggiore protezione agli ingressi ampliò la cinta stessa in corrispondenza di essi munendoli di antiporta. L’ingresso pedonale a sud-est fu preceduto da un rivellino triangolare con torre circolare ad angolo.

Nel 1591 Camilla Peretti, sorella di papa Sisto V, acquistò la contea dai Piccolomini. Così nel castello dimorò Michele Peretti, nipote del Papa, allievo di Torquato Tasso e grande amico del Marino, condottiero fallito, grande amante del teatro e cosa rara per la nobilità papalina dell’epoca, grande imprenditore:dedicandosi alla finanza, su autorizzazione di papa Paolo V, nel 1609 Michele Peretti venne autorizzato all’istituzione di un monte di pietà chiamato “Monte Viano” con un capitale di 220.000 scudi. Contemporaneamente si impegnò in attività di scavo ed estrazione di metalli preziosi e non dal “Monte della Fogna, contado della città di Camerino, vicino al fiume della Fiastra”. Insomma, uno dei pochi nobili romani che non dissipò il patrimonio, ma lo arricchì.

Michele, stranamente, non cambiò molto del castello: fece aprire sul mastio alcune finestre con architrave semplice e si autocelebrò con un’iscrizione posta sull’ingresso del castello, oggi leggibile solo nella prima riga. Nel 1647 Celano fu coinvolta con tutta la Marsica nella rivoluzione napoletana di Masaniello contro gli Spagnoli ed il castello fu occupato dai rivoluzionari appoggiati dal Barone Antonio Quinzi dell’Aquila e dal nostro Marchese di Palombara.Dopo la pubblicazione di un editto rivoluzionario del Quinzi (8 gennaio 1648), il governatore d’Abruzzo Pignatelli inviò nella Marsica il mercenario Pezzola ad assediare il castello. Dopo numerosi attacchi falliti, solo alla fine della sommossa di Napoli il castello e la città si arresero.

Dopo i Peretti la contea di Celano passò ai Savelli; anche il nome di questa famiglia figurava in un’iscrizione, oggi distrutta, posta sopra l’arco dello scalone che conduce al piano nobile. In seguito la contea passò agli Sforza-Cesarini e successivamente agli Sforza Cabrera Bovadilla, ultimi conti di Celano prima dell’abolizione dei feudi (1806). In questo periodo, furono realizzate le tamponature settecentesche create per consolidare il loggiato superiore dopo i terremoti del 1695, 1706 e 1780. Al piano terra alcuni ambienti vennero utilizzati per creare la prigione feudale.

Nel 1892 la proprietà divenne de del Marchese Orazio Arezzo da Celano e successivamente della famiglia Dragonetti dell’Aquila. Nello stesso anno l’angolo ovest del Castello diventò sede provvisoria del carcere mandamentale, mentre nel 1893 diviene monumento nazionale sottoposto alla tutela delle Belle Arti del nuovo Regno d’Italia.

II catastrofico terremoto che si abbatté sulla Marsica il 13 gennaio 1915 cancellando interi centri abitati, provocò gravissimi danni anche al castello di Celano: crollarono molte volte e tutti i solai, il doppio loggiato dei cortile, parte del cammino di ronda e delle merlature e tutte le loggette pensili; le torri angolari denunciarono gravi lesioni e quella a sud-est risultò distrutta per metà della sua altezza. L’edificio fu lasciato in completo stato di abbandono per più di 25 anni, con gravi danni alle strutture già pericolanti. Nel 1938 lo stato operò l’esproprio per pubblica utilità e nel 1940 iniziò i lavori di restauro che, dopo l’interruzione della seconda guerra mondiale, ripresero nel 1955 per terminare nel 1960.

Il castello è sede del Museo d’Arte Sacra della Marsica e della Collezione Torlonia di Antichità del Fucino.

Il Museo è situato nel piano nobile, in 12 stanze articolate in varie sezioni: scultura, pittura, oreficeria e paramenti sacri. Di notevole pregio le ante lignee del XII secolo provenienti dalla Chiesa di S. Maria in Cellis di Carsoli e dalla Chiesa di S. Pietro in Alba Fucens; il trittico di Alba Fucens (XIV sec.), prezioso lavoro di pittura, scultura ed oreficeria; lo splendido dipinto del XV secolo raffigurante “ La Vergine ”, realizzato da Andrea De Litio; la Croce Orsini , datata 1334; la stauroteca del XIII secolo, prezioso esempio di arte bizantina.

La Collezione Torlonia, acquistata dallo Stato nel 1994, consta di 184 oggetti e 344 monete di bronzo romane; tutte le opere in esposizione vennero alla luce nell’area del Fucino durante il prosciugamento del lago nella seconda metà del 1800, ad opera di Alessandro Torlonia.

I pezzi più preziosi della Collezione sono senza dubbio la Testa di Afrodite (III-II sec. a. C.), uno dei più raffinati esempi scultorei rinvenuti nel territorio abruzzese e i Rilievi in pietra calcarea (II sec. d.C.), vere e proprie cartoline dell’epoca, raffiguranti uno specchio d’acqua con due gruppi di operai intenti al prosciugamento delle acque e una veduta di città e del suo territorio.

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