Uno dei luoghi più affascinanti della periferia romana è il Parco degli Acquedotti, in zona Tuscolana, tanto noto dal punto di vista visivo, è stato set di tanti film, come La Grande Bellezza, quanto poco conosciuto nel concreto fuori dal Grande Raccordo Anulare.
Il Parco, che stende per circa 240 ettari tra il quartiere Appio Claudio, via delle Capannelle e la linea ferroviaria Roma-Cassino-Napoli e come facile immaginare, prende il nome dalle rovine degli acquedotti presenti, rappresenta il residuo di un tratto di Agro Romano che originariamente si estendeva senza interruzioni fino ai Colli Albani, caratterizzato da vegetazione arborea, in particolare pini.
La zona, destinata a verde pubblico dal piano regolatore del 1965, come Villa Gordiani, si salvò dalla speculazione edilizia per la presenza delle baracche, i borghetti, che furono sgomberate negli anni Settanta.
Abbandonato per anni, come sempre succede a Roma, fu riqualificato grazie all’impegno di alcuni cittadini, che crearono il Comitato per la salvaguardia del Parco degli Acquedotti e di Roma Vecchia. Grazie anche all’appoggio di alcuni intellettuali, come Lorenzo Quilici, il comitato riuscì nel 1988 a far inserire l’area degli Acquedotti nel Parco regionale dell’Appia antica. Da quel momento in poi, è partito il lungo processo di recupero e valorizzazione. Perchè visitarlo ? Ovviamente, il pezzo grosso è costituito dagli acquedotti.
Nel parco ci sono i resti, imponenti, di 6 degli 11 acquedotti che resero celebre la città di Roma: Anio Vetus, Marcia, Tepula, Iulia, Claudio e Anio Novus (sovrapposti). A questi si aggiunge l’ acquedotto Felice (sovrapposto allo Iulia), che fu costruito in epoca rinascimentale dal papato e tutt’ora impiegato per l’ irrigazione.
L’Anio Vetus, è il più antico e il meno visibile, essendo il suo percorso sotterraneo, tra quelli presenti nel parco; fu costruito dal censore Manio Curio Dentato, che il senato aveva appositamente nominato “duumvir aquae perducendae” insieme a Fulvio Flacco, che però morì pochi giorni dopo il conferimento dell’incarico, grazie al bottino della guerra combattuta contro Pirro e Taranto tra il 272 e il 269 a.C. Questo lo rende il secondo, come antichità, tra tutti gli acquedotti romani, essendo stato preceduto di una quarantina d’anni dall’Acquedotto Appio.
L’Anio Vetus raccoglieva le acque direttamente dal fiume Aniene (Anio) nei pressi di Tivoli, in un’area imprecisata, che secondo alcune fonti potrebbe trovarsi a circa 850 m da San Cosimato, presso la confluenza nell’Aniene del torrente Fiumicino, tra i comuni di Vicovaro e Mandela. Per la varibilità della portata, in epoca imperiale fu destinato esclusivamente all’irrigazione di ville e giardini. Lo speco è costruito in “opera quadrata” di tufo, con copertura triangolare costituita da due lastre di pietra calcarea.
l’Acqua Marcia è invece è il terzo acquedotto di Roma antica, costruito nel 144 a.C. e lungo circa 90 km, dal pretore Quinto Marcio Re. Raccoglieva l’acqua dell’alto bacino dell’Aniene e, contrariamente all’Anio vetus, che prendeva acqua dal corso del fiume, attingeva direttamente da una delle sue sorgenti, caratterizzato da un’acqua di ottima qualità e purezza, tanto da essere considerata la migliore tra quelle che arrivavano a Roma. Attualmente, nel parco sono visibili poche basse arcate, dato la gran parte fu distrutta per la costruzione dell’Acquedotto Felice
L’ultimo acquedotto dell’età repubblicana, il quarto, quello dell’Aqua Tepula, venne costruito dai censori Gneo Servilio Cepione e Lucio Cassio Longino nel 125 a.C.. Il nome era dovuto alla temperatura “tiepida” dell’acqua, a 16-17 gradi alle sorgenti, che erano situate nella zona vulcanica dei Colli Albani, al X miglio della via Latina, tra gli odierni comuni di Grottaferrata e Marino.Fino all’epoca augustea l’acquedotto scorreva lungo un tragitto completamente sotterraneo, servendosi anche delle strutture dell’acquedotto dell’Aqua Marcia, del quale poi utilizzò in parte anche le arcuazioni esterne.
Quello dell’ Acqua Iulia (Acquedotto Iulia) è stato il quinto acquedotto della città di Roma, costruito nel 33 a.C. dall’edile Marco Vipsanio Agrippa, amico e leale collaboratore di Ottaviano (in futuro imperatore Augusto), a cui fu dedicata l’opere pubblica. Raccoglieva l’acqua da sorgenti nel territorio tuscolano, al XII miglio della via Latina, identificate presso l’attuale ponte degli “Squarciarelli”, nel comune di Grottaferrata. Le sorgenti erano a poca distanza da quelle che alimentavano l’acquedotto dell’Aqua Tepula: ciò gli permetteva, facendo risparmiare parecchi sesterzi, di utilizzare lo stesso speco dell’acquedotto più antico, sinoalla piscina limaria (il bacino di decantazione) che si trovava nell’attuale zona delle Capannelle. Da lì in poi i condotti si separavano nuovamente, proseguendo in superficie ed utilizzando, per circa 9,6 km, le arcuazioni già edificate per l’acquedotto dell’Aqua Marcia, opportunamente ristrutturate per sostenere il maggiore sforzo. Il triplice condotto è ancora visibile nei tratti di arcate rimasti in piedi all’interno del parco.
L’acquedotto Claudio (in latino Aqua Claudia), l’ottavo in ordine di costruzione, è stato uno dei più importanti della Roma antica, sia per le tecnologie d’avanguardia utilizzate nella costruzione, che per il notevole impegno di mano d’opera, che per l’entità delle spese sostenute per realizzarlo. La costruzione dell’acquedotto fu iniziata nel 38 d.C. dall’imperatore Caligola e fu terminata sotto il principato di Claudio nel 52 d.C; pare tuttavia che l’acquedotto fosse già attivo nel 47 d.C, cinque anni prima della sua ultimazione.
L’ acquedotto raccoglieva l’acqua dai piccoli laghi formati da due sorgenti, denominate Curzia e Cerulea caratterizzate da acque molto limpide (la cui qualità sembra fosse inferiore solo a quella dell’Acqua Marcia), situate nell’alta valle dell’Aniene, tra gli odierni comuni di Arsoli e Marano Equo. La località può oggi identificarsi con il laghetto di Santa Lucia. Era lungo 46.406 miglia romane, pari a 68,681 km, dei quali circa 16 km in viadotto di superficie, di cui circa 11 km su arcuazioni e circa 5 km su ponti.
L’ altezza dell’acquedotto, compreso il condotto dell’Anio novus sovrapposto a quello dell’Aqua Claudia, varia da un minimo di 17 m a un massimo di 27,40 m; i piloni hanno una sezione di 3,35 m per 3,10 m di profondità, e distano circa 5,50 m l’uno dall’altro, mentre le arcate, leggermente sfalsate rispetto ai piloni, hanno una luce di circa 6 m. In corrispondenza dei numerosi tratti crollati, sono visibili i due condotti, in cui l’Anio novus è sovrapposto all’altro, entrambi di 1,14 m di larghezza per 1,75 m di altezza; realizzati in opera quadrata il condotto
Il “castello” si trovava poco oltre Porta Maggiore, all’inizio della nostra Via Giolitti (esisteva fino al 1880) e consisteva di 5 grandi cisterne rettangolari da cui le acque si dirigevano verso altri 92 “castelli” secondari che provvedevano allo smistamento nell’area urbana. Uno di questi castelli secondari era associato alla fontana monumentale dei Trofei di Mario.
L’ Anio Novus (“Aniene Nuovo”), come anche l’acquedotto Claudio, fu iniziato da Caligola nel 38 d.C e terminato da Claudio nel 52 d.C.e raccoglieva le acque nell’alta valle dell’Aniene, da cui il nome, al quale venne aggiunto l’aggettivo “novus” per distinguerlo dall’altro acquedotto Anio, di circa tre secoli più antico, che da allora assunse l’ appellativo “vetus”. L’acqua veniva presa direttamente dal fiume, circa 6 km più a monte delle sorgenti dell’ “aqua Claudia”, nei pressi del comune di Subiaco. Nel 98 d.C Traiano spostò l’origine dell’acquedotto circa dove oggi si trova il monastero di San Benedetto.
L’Anio novus aveva il percorso più lungo degli altri acquedotti dell’epoca: 58,700 miglia romane, pari a 86,876 km, di cui circa 73 km sotterranei e circa 14 in superficie; la metà del percorso superficiale era condiviso con l’Aqua Claudia, al cui canale l’Anio novus si sovrapponeva dal VII miglio della via Latina per giungere a Roma sulle arcuazioni, in buona parte ancora visibili, nel Parco degli Acquedotti.
L’ultimo acquedotto presente risale invece al 1585 ed è dovuto al vulcanico Sisto V, er Papa Tosto. Sin da quando era cardinale, acquistando la Villa di Monte Cavallo, aveva avuto l’ambizione di possedere un’enorme tenuta, estesa tra Quirinale, Viminale ed Esquilino: sogno realizzato dopo la sua elezione al soglio pontificio. Nacque così, sfruttando il genio del Fontana, Villa Montalto Peretti; si trattava di un’area vastissima, con edifici (come il Palazzo alle Terme e il Casino Felice), viali alberati, giardini, frutteti, fontane, peschiere e numerosissime statue, antiche e moderne (ad esempio, il Nettuno e Glauco di Gian Lorenzo Bernini, che oggi si trova al British Museum). La facciata principale era a occidente, proprio davanti alle rovine delle Terme di Diocleziano.
Ora tutto questo ben di Dio, per andare avanti, aveva necessità di uno sproposito di acqua; per cui Sisto V fece erigere l’acquedotto Felice, dal suo nome di battesimo, da Matteo Bortolani e da Giovanni Fontana, riutilizzando le sorgenti dell’Aqua Alexandrina e altre delle zone limitrofe, distruggendo i più antichi acquedotti e terminando il suo percorso alla fontana del Mosè
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