Un mio amico, che sta per trascorrere una vacanza a Palermo, qualche giorno fa mi ha tirato le orecchie
“Va bene parlare dei monumenti, ma un accenno anche alle cose da mangiare, no ?”
Dinanzi tale richiesta, non potevo dire di no: per cui, tra una chiesa e un palazzo, ogni tanto butto giù qualche appunto su cosa mangiare a Palermo… Comincio con un piatto di street food, il famoso u pani chi panelli, che per chi non lo conoscesse, si tratta frittelle schiacciate di farina di ceci, profumata di prezzemolo fresco, condite con una goccia di limone e servire in un panino, spesso in compagnia delle crocché, le crocchette di patate.
In particolare, le panelle farciscono 3 tipi di pane differenti, scelti in base alla fragranza che si preferisce: la Mafalda (chiamata così per Mafalda di Savoia) è la più croccante; segue la Scaletta (a forma di serpente) e la Focaccia, o vastidda che dir si voglia, un morbido panino rotondo con il cimino (sesamo) sopra
Cibo di origine araba, apprezzato da ricchi e da poveri, grandi mangiatori ne erano Pirandello e Sciascia, un paio di secoli fa erano chiamate “piscipanelli” perché venivano realizzate per lo più a forma di piccolo pesce, dando l’illusione dell’irraggiungibile frittura di pesce, troppo cara per il palermitano di allora.
In passato i panellari erano soliti incidere sull’impasto dei motivi floreali mediante l’utilizzo di stampi in legno intarsiati di forma rettangolare. L’impasto veniva spalmato sulle tavolette, fatto asciugare e poi fritto. Tale prassi, non aveva uno scopo puramente decorativo, ma serviva a garantire ai clienti la “freschezza” della panella, dal momento che dopo qualche minuto dalla cottura il disegno di fatto spariva… Insomma una specie di marchio di garanzia per la panella doc!
Derivata dalle panelle e crocchè è la rascutura, polpette allungate dall’aspetto ruvide e irregolare, nate dal mix, sempre variabile, degli rimasugli degli impasti dei due cibi da strada.
Conclusa questa disgressione culturale, rimane sempre la domanda, di dove si possano mangiare ? A Palermo, ovunque… Se però volete qualche consiglio, vi indico qualche posto che ho bazzicato, che non sia la solita Antica Focacceria San Francesco, che senza dubbio merita, ma che per mangiarci, per l’afflusso di turisti, è sempre una guerra…
Il primo posto che mi sento di consigliare, per il semplice motivo che sarà comodo logisticamente al mio amico, è la Focacceria Basile, in via Bara all’Olivella, 7 tra il teatro Massimo, con i suoi leoni che fiancheggiano la maestosa scalinata raffigurano la Tragedia, opera di Benedetto Civiletti, e la Lirica, opera invece di Mario Rutelli, il nonno del fu sindaco di Roma…
Oppure alla Friggitoria Chiluzzo, in piazza della Kalsa 11, aperta nel 1943, in cui si rispettano tutte le tradizioni, tipo accompagnare il panino con la gazzosa, invece che con la birra e dove capita spesso di trovare i cardi fritti…Ottimo anche il panino con pesce e insalata vastasa.
Molto buono, ma fuori dai percorsi turistici, è la Friggitoria da Davide, via Croce Rossa, 199, a fianco dell’ingresso dell’ospedale di Villa Sofia. La cosa caratteristica del luogo sono i panini, dato che Davide, il proprietario, utilizza il farro o grani antichi siciliani, come il Tumminia.
Non posso non citare l’assai famoso Nni Franco u’ Vastiddaru, dove il Cassaro sbuca a Piazza Marina. Anche se Franco è morto, compianto da tutti, qualche anno fa, la qualità del suo cibo è rimasta invariata. In questo storico negozio si frigge dalle prime luci dell’alba fino a notte fonda. La specialità è il Triplo, in cui si aggiungono al tradizionale panino anche le melanzane che conferiscono un piacevole retrogusto amarognolo. u pani chi panelli può essere consumato in loco oppure, accanto alla fontana del Garraffo o all’ombra ficus magnolia più grande d’Europa, per poi dare un’occhiata alla lapide che ricorda Joe Petrosino, uno dei primi eroi a cadere sotto i colpi della Mafia.
O infine, i Cuochini, in via Ruggero Settimo, quasi nascosti nel cortile di un palazzo nobiliare, poco prima del Politeama, sormontato dalla Quadriga, sempre del solito Mario Rutelli. Nato come cucina del barone Di Stefano, il laboratorio si sviluppò per la vendita su commissione, finché nel 1826 i fratelli Allegra, che erano tutti e due alti un soldo di cacio, decisero di aprire il tutto al grande pubblico.
La cosa simpatica dei Cuochini è che tutto di piccolo formato, in contrasto con la mania locale del gigantismo cibario: cosa che permette di assaggiare assai più specialità, dalle arancinette ai timballetti, dai panzerotti alle crocchette di latte…
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