Parco degli Acquedotti (Parte 2)

Nel Parco degli Acquedotti, nonostante il nome, vi sono tante altre cose cose da ammirare, compresa l’Acqua Mariana, di cui ho parlato in passato, s cominciare dal cosiddetto Campo Barbarico, compreso tra le due intersezioni tra l’acquedotto di Claudio e l’acquedotto Marcia-Tepula-Iulia, che delimitano uno spazio trapezoidale di 22.433 metri quadri facile da fortificare.

campobarbarico

La prima volta che se ne parla è nel 537 d.C., durante la Guerra Gotica, quando le truppe di Vitige assediarono Roma, difesa da una scarsa guarnigione di Belisario.

Il re dei Goti, per impedire che giungessero rinforzi all’Urbe, aveva creato una serie di accampamenti per controllare le strade consolari e siccome la via Latina era uno degli accessi più importanti, in questo spazio costruì il suo principale campo trincerato, dal quale poteva controllare anche la via Appia Antica.

Così Procopio di Cesarea racconta l’evento:

“Esistono ancora due acquedotti tra la via Latina e la via Appia, molto alti e per la maggior parte su archi. Alla distanza di 50 stadi da Roma questi due acquedotti si incrociano, poi corrono per un breve tratto in senso contrario, così che quello che prima era sulla destra passa alla sinistra, poi si riuniscono ancora e riprendono il precedente percorso, rimanendo però separati. Così avviene che lo spazio tra loro, così chiuso dagli stessi acquedotti, diventa una fortezza. I barbari, murando con pietre e terra la parte inferiore degli archi, diedero al luogo la forma di castello, ponendovi così un accampamento di non meno di 7000 uomini perché impedissero che ai nemici venissero portate in città vettovaglie. Allora i Romani persero ogni speranza e non avevano che prospettive sinistre”

Nonostante quanto si racconta, non furono i goti a danneggiare gli acquedotti, ma lo stesso Belisario, che memore del trucco utilizzato per conquistare Napoli, li fece ostruire con solidi muri

In seguito all’occupazione gotica, il luogo assunse il toponimo di Campus Barbaricus: con tale denominazione è ricordato in un diploma del 687 di Sergio I (687-701) e dal regesto di Gregorio II (715-731).

L’importanza strategica di questa località è dimostrata dal fatto che, anche nei secoli successivi, se ne giovarono allo stesso scopo gli eserciti che miravano alla conquista di Roma; sappiamo per esempio che nel 1084 le truppe di Roberto il Guiscardo (venuto in aiuto del Papa Gregorio VII, in lotta con l’Imperatore Enrico IV) si accamparono foris muros Urbis prope Lateranense palatium in loco qui dicitur ad arcus.

Tor Fiscale1

A seguito dell’occupazione delle proprietà delle ecclesiastiche da parte delle famiglie feudali romane, nel X-XI secolo, sopra l’intersezione sud dei due acquedotti fu eretta una torre difensiva, chiamata Tor Fiscale, quadrata e rivestita in tufelli inframmezzati da alcuni filari di mattoni.

La torre era protetta in origine da un antemurale difensivo, i cui resti sono i muri, distaccati dalla torre, costruiti con la stessa tecnica in tufelli parallelepipedi; su uno di essi si riconoscono, a metà altezza, sia la risega che i fori su cui veniva appoggiato il ballatoio di guardia, sul quale camminavano le sentinelle, mentre la parte superiore del muro era il parapetto di difesa.

Dal ballatoio un ponte levatoio conduceva quindi direttamente al primo piano della torre, alle cui pareti si vedono le finestre rettangolari (alcune delle quali conservano ancora gli stipiti di marmo), le feritoie e i fori lasciati dalle impalcature di legno usate per la costruzione. L’interno era diviso in tre piani, separati da ballatoi di legno che poggiavano su travi infisse alle pareti. Il primo e l’ultimo piano erano invece coperti da volte in muratura (di cui restano solo le tracce), probabilmente dotate di botole che permettevano di salire al primo piano o sul tetto della torre.

La prima citazione della torre risale, a seguito dell’ultima ristrutturazione 1277, quando Riccardo Annibaldi cedette a Giovanni del Giudice la Tenuta chiamata Arcus Tiburtinus, con torre e renclaustro. Alla fine del Trecento la tenuta era detta Prata eccl. s. Iohannis Lateranensis ed era di proprietà del Capitolo Lateranense. La torre è detta Turris s. Iohannis negli Statuti di Roma del 1363 e Turris eccl. s. loannis in un documento del 1368.

Con il nome Turris Brancie è ricordata in un documento del 1385 mentre nel 1397 si parla del Casale olim Brancie et nunc heredum Pauli Bastardelle. Nel 1422, sebbene appartenesse ancora alla famiglia Bastardella, la torre è indicata nel 1422 come Turris Brancie alias dictus Arcus Tiburtinus.

Nel 1412 la zona fu occupata dalle truppe napoletane di re Ladislao, e nel 1417 da quelle di sua sorella la regina Giovanna II, venuta ad assediare Roma allora occupata da Braccio di Montone, signore di Perugia. Il susseguirsi degli eserciti, la fortificazione della zona e l’imposizione di pedaggi ai viaggiatori provocò col tempo l’abbandono della via Latina, e i viandanti che si recavano verso i Colli Albani crearono a poco a poco una nuova strada che prese poi il nome di via Tuscolana.

La denominazione di Fiscale, attribuita al fondo e quindi alla torre, non compare invece prima del secolo XVII. Tale nome derivò dal fatto che la tenuta appartenne al fiscale, o tesoriere pontificio; sappiamo che intorno al 1650, il monsignor fiscale Filippo Foppi chiese al Capitolo Lateranense una derivazione dell’acqua della Marana per la sua vigna qui posta.

2 pensieri su “Parco degli Acquedotti (Parte 2)

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