Lucus Angitiae

Te nemus Angitiae, vitrea te Fucinus unda, Te liquidi flevere lacus

E’ uno dei versi dell’Eneide, in cui Virgilio parla di Umbrone, un giovane condottiero inviato dal re dei marsi Archippo in appoggio a Turno nella guerra contro i troiani sbarcati nel Lazio, che, oltre ad essere un combattente, è anche sacerdote, medico e incantatore di serpenti. Una citazione colta, da parte del poeta latino, di una delle peculiarità religione dei Marsi, dei Peligni e degli altri popoli osco-umbri, ossia il culto della dea Angizia, la signora dei serpenti, così descritta da Silio Italico

Angitia, figlia di Eeta, per prima scoprì le male erbe,
così dicono, e maneggiava da padrona
i veleni e traeva giù la luna dal cielo;
con le grida i fiumi tratteneva e,
chiamandole, spogliava i monti delle selve.

Questa sua parentela a Circe e Medea, il cui nucleo centrale del mito, basato sul concetto di metamorfosi, è intriso di sciamanesimo, il fatto che sia connessa alla guarigione e alla fertilità e che venisse identificata dai romani con Bona Dea, la Grande Madre dei popoli latini, la rende molto simile alla Potnia Teron della tarda età del Bronzo elladica. Che tale somiglianza sia casuale, dovuta a un’evoluzione analoga della religiosità pre indoeuropea, oppure sia dovuta a contatti tra Micenei e cultura appenninica, è difficile a dirsi.

Il luogo di culto principale di Angizia è Lucus Angitiae, che sorgeva sulle rive occidentali del lago Fucino, nei pressi della nostra Lugo dei Marsi. Attestazioni di carattere archeologico hanno permesso di far risalire all’età del bronzo le prime frequentazioni del sito; i resti protostorici di capanne e sepolture databili X secolo avanti Cristo e delle successive mura poligonali, che racchiudevano un’area di oltre 14 ettari e in cui erano presenti due porte d’accesso, testiminiano la sempre maggiore importanza del bosco sacro nell’età del ferro. Nel IV sec a.C., in occasione delle guerre sannitiche, le mura furono ampliate, arrivando a coprire un’area di circa 30 ettari e ad essere dotate di cinque porte

Il sito è caratterizzato dalla presenza del tempio di epoca italica, composto da due celle, il che farebbe pensare a un culto duplice, quello della Potnia Teron e del suo sposo, situato in località Il Tesoro e di quello di epoca augustea, in occasione del rilancio delle comuni radici italiche volute da Ottaviano, articolato in tre ambienti. Entrambi gli edifici sono stati studiati in scavi condotti a partire dai primi anni Settanta dall’Archeoclub della Marsica e dal 1998 in poi dalla Sovraintendenza dell’Abruzzo

Sempre negli anni Settanta, durante lavori di manutenzione dell’acquedotto, oltri ai templi e alle numerose stipe votive, fu individuato il quartiere artigianale con botteghe con fornaci. Numerosi sono gli ex voto fittili, ceramica a vernice nera e terra sigillata italica databili tra il III e il I sec. a.C. Non sono state trovate raffigurazioni della dea, ma è possibile che in età arcaica il suo simbolo fosse la “chimera funeraria” raffigurata nei dischi corazza di produzione fucense. Alla dea furono associate anche le mascherine fittili quadrate prodotte nel santuario di Luco e diffuse in tutta l’area italica.

Oltre alle aree sacre. e ai resti della cinta e di alcune porte d’accesso, sono evidenti tracce di muri di terrazzamento, cisterne, pavimentazioni stradali, resti di edifici in opera incerta e reticolata, sepolture.

Dea_Angizia_Museo_Arte_Sacra_Marsica

Nel 2003 opere di ricerca condotte dall’Università degli Studi dell’Aquila hanno permesso di svelare altri importanti reperti, in particolare nell’area denominata Sagrestia sono tornate alla luce le tre statue: quella, che secondo alcuni studiosi sarebbe ricollegabile alla figura della dea Angizia, è in terracotta e risale al III secolo a.C. e rappresenta una donna seduta su un trono; le altre due statue in marmo sono invece databili al II secolo a.C. e raffigurano una donna panneggiata con capo coperto e una donna seminuda con panneggio.

Il culto di Angizia, sotto mentite spoglie, continua ancora oggi nella Marsica, con la festa dei serpari a Cucullo, che da qualche anno si svolge il 1 maggio. Tutto ha inizio con i serpari che alla fine di marzo si recano fuori paese in cerca dei serpenti. Una volta catturati, vengono custoditi con attenzione in scatole di legno (in tempi remoti dentro dei contenitori di terracotta) per 15-20 giorni nutrendoli con topi vivi e uova sode. Ovviamente, inutile dirlo, si tratta di specie non velenose, come il cervone, il saettone o colubro d’Esculapio, la biscia e il biacco.

Il 1 maggio, a mezzogiorno, inizia la processione della statua del san Domenico, il patrono di Cucullo invasa dalle serpi catturate nei giorni prima, che procede per tutto il centro stporico

Ai fianchi della statua del Santo, due ragazze vestite con abiti tradizionali, portano sulla testa un cesto contenenti cinque pani sacri chiamati ciambellani in memoria di un miracolo che fece san Domenico. Questi pani vengono donati per antico diritto ai portatori della Sacra Immagine e del gonfalone. Al termine della festa, i rettili vengono riportati al loro habitat naturale dai serpari.

Alla fine, Nihil sub sole novum…

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