Il fascino dell’Abruzzo è legato al fatto che, nei luoghi più impensati, saltano fuori tracce di un passato inaspettato. Un esempio, è il Molina Aterno, un paesino, con meno di quattrocento abitanti, in provincia dell’Aquila, il cui nome deriva dal tardo latino molina, con il significato di molino in quanto la zona ne è particolarmente provvista. La seconda parte del nome è stata aggiunta nel 30 giugno 1889 e si riferisce al passaggio del fiume Aterno.
La presenza umana nel suo territorio sin dalla tarda età del bronzo è provata dalla presenza delle cinte murarie megalitiche di Mandra Murata, sulla montagna ad est di Molina, e di Colle Castellano, testimonianze della civiltà appennica. Cinte megalitiche che servivano sia al controllo dei tratturi, sia come rifugio per le greggi e luogo di tosatura e produzioni di formaggi.
Presenza umana che continuò nel tempo, come testimoniato dal rinvenimento nel territorio di buccheri italici risalenti al VI secolo a.C. , tombe, mura e mosaici, capitelli ed epigrafi romane. Uno scavo archeologico del 1877 presso la stazione ferroviaria restituì un cippo con dedica ad Ercole, risalente al I secolo a.C., particolarmente venerato in zona come protettore dei pastori.
Nella contrada chiamata Campo Valentino e nella contrada Pretoli, intorno al lago Acquaviva, già nel secolo scorso si scoprivano regolarmente mura, tombe, mosaici, sepolcri, capitelli, una statua priva di testa, una grande idria di creta finissima (ora conservata nel palazzo dei signori Pietropaoli) ed ancora: ceramiche, rocchi di colonne, monete e alcune iscrizioni, di cui parlerò poi.
Negli ultimi anni, questi scavi, che erano stati eseguiti senza particolare interesse scientifico, ma solo per raccattare materiale da vendere a collezionisti, sono stati ripresi, portando alla scoperto di un vicus.
L’area scavata è attraversata da una strada, lungo la quale si distribuiscono numerosi ambienti che individuano zone con diversa destinazione d’uso. Sono state localizzate, infatti, aree residenziali, i cui ambienti hanno mura intonacati e pavimenti pregiati in mosaico e in cocciopesto. Zone pubbliche che, invece, sono delineate da grandi spazi aperti, in alcuni casi porticati, lungo i quali è collocata una struttura tripartita con ambiente centrale pavimentato a mosaico e ingresso incorniciato da due colonne, da interpretare come edificio sacro.
Di grande interesse è il quartiere destinato alle attività artigianali, contraddistinto contraddistinto da una complessa articolazione degli spazi interni e servito da un canale. L’insediamento sorse ed ebbe un fiorente sviluppo tra la fine del II° e il I° secolo a.C. per essere poi abbandonato a seguito di un terremoto, Dopo un periodo di abbandono, l’area vene utilizzata in età tardo antica sia a scopo abitativo e in alcuni casi l’articolazione interna dei vani venne modificata per esigenze di sepoltura, a scopo funerario, per essere poi abbandonato, a seguito delle invasioni barbariche.
Tuttavia è possibile come il vicus fosse a sua volta parte di una realtà urbana più ampia e articolata. A testimonianza di questo vi sono le iscrizioni, murate nel marciapiede di piazza S. Nicola, nelle quali si attestano le presenze dei seguenti amministratori pubblici: aediles, per la gestione dei lavori pubblici, duoviri, una versione locale dei consoli, e prefecti iure dicurldo, magistrati che dal pretore urbano erano delegati alla giurisdizione di città distanti dall’urbe dette praefecturae