L’abbazia di Sant’Eufemia

Il mio viaggio alla scoperta delle tombe degli Altavilla, oggi fa tappa in Calabria, a Lamezia Terme, presso le rovine dell’abbazia di Sant’Eufemia. Politicamente, Roberto il Guiscardo, dopo la conquista del Thema di Calabria, si trovava in condizione difficile, dato che si trovava a governare dei sudditi di lingua e cultura greca, fedeli al Patriarca di Costantinopoli e al Basileus kai Autokrator ton Romaion, anche perché, nonostante la fiscalità bizantina, a differenza di altre parti dell’Impero, l’area godeva da più un secolo una sorta di boom economico.

Per cui, da una parte dovette trovare una serie di compromessi con i monasteri basiliani del Thema, che di fatto erano i punti di riferimento religiosi, politici ed economici dei sudditi greci, dall’altra, per diminuirne l’influenza, dovette intrapredere una politica di “latinizzazione” culturale e religiosa, che proseguita nei secoli, ridusse l’area abitata dai greci di Calabria alla sola Bovesia.

Strumento principe di tale latinizzazione, furono le abbazie benedettine: tra le principali, fu proprio Sant’Eufemia, inizialmente dedicata a Maria madre di Dio, eratta come ex voto per la conquista di Rhegion. Il suo primo abate fu un personaggio da romanzo, Roberto di Grantmesnil, originario del Calvados, in Normandia, figlio di Roberto di Grantmesnil e di Hadwise di Giroi, nacque all’incirca nel 1030.

Scudiero del duca di Normandia Guglielmo il bastardo, all’epoca era ben lungi dall’essere chiamato Conquistatore, per sfuggere all’ira del suo signore, che aveva cornificato, prese l’abito ecclesiastico. Dopo avere soggiornato per un periodo a Cluny, decise di decise di entrare nel monastero normanno di St.-Evroul, una sorta di convento di famiglia, dato era stato restaurato e rifondato dello zio materno Guglielmo, dove brigò per diventare abate ai danni del legittimo titolare, Teodorico di Mathonville.

Raggiunto lo scopo, Roberto di Grantmesnil, da un parte lanciò il progetto di ricostruzione della chiesa abbaziale, dall’altra, per finanziare l’opera, diede inizio a un’opera di recupero di diritti patrimoniali dell’abbazia, che lo mise in contrasto con il duca di Normandia, che si era impadronito di tali rendite economiche.

Dato che Guglielmo il Bastardo era tutt’altro che intenzionato a restituire il maltolto, Roberto non si perse d’animo e organizzò una congiura, assai prossima al successo, per fare fuori il suo signore feudale. Guglielmo, dato il suo caratteraccio, non la prese bene e decise di fare fuori, in maniera lenta e dolorosa il suo ex scudiero, presentandosi lancia in resta a St.-Evroul, rimanendo però con un pugno di mosche.

L’abate era infatti scappato più di fretta che di paura, portandosi dietro le zie materne, Giuditta ed Emma e i suoi principali collaboratori. Dopo avere soggiornato per qualche tempo a Roma, nell’abbazia di San Paolo fuori le Mura, decise di raggiungere gli Altavilla in Calabria, anche perchè Gran Conte Ruggero, fratello del Guiscardo, in un suo viaggio diplomatico a Roma, aveva perso la testa per sua zia Giuditta.

Così Roberto si presentò in Calabria, con zie al seguito e undici monaci, tra cui

  • Berengario (nipote di Roberto di Grandmesnil) uno dei migliori scrittori dell’epoca, divenuto abate dell’Abbazia della Santissima Trinità di Venosa in Basilicata;
  • Gerlando di Besançon (parente di Ruggero I) e Robert Gamaleil, il primo contribuì alla diffusione del canto liturgico e all’introduzione nell’Abbazia di una Schola Cantorum, il secondo fu un raffinato cantore definito Cantor egregius;
  • Goffredo Malaterra, biografo dei fratelli Roberto e Ruggero d’Altavilla;

Il gran conte Ruggero, appena seppe dell’arrivo della sua amata, interruppe la sua guerra con gli arabi di Sicilia e corse all’incontro della fidanzata nel Vallo delle Saline, e proprio in S. Martino d’Aspromonte fu immediatamente celebrato la cerimonia religiosa del matrimonio. Poi gli sposi si recarono a Mileto, ove fecero un’entrata solenne a suon di musica, e con splendide feste solennizzarono le nozze.

Per avere svolto tale compito da pronubo, Roberto di Grandmesnil ottenne il titolo di abate di Sant’Eufemia. In più il Guiscardo, secondo quanto testimoniato da un diploma di cui si discute l’autenticità, concesse i seguenti privilegi all’abbazia

1- che ogni cosa data da lui o dagli altri non sarà sotto il dominio di alcuno, ma in potere dell’Abate del luogo;

2- che l’elezione dell’Abate sarà fatta dai monaci;

3-che il Monastero e le abitazioni dei laici che vi dimore­ranno, godranno dell’immunità, sicché ogn i«fuggitivo» avrà facoltà di rimanervi o di andarne via;

4-che i luoghi concessi comprendono: il territorio della «Vetus Civitas», tra i due fiumi (Amato e Piscirò) e il mare; la foce dell’Amato, la selva che è tra i due fiumi, tutto il lido del mare con le sue rendite, le selve dall’Amato a S. Maria di Capusa, i villani del territorio di Nicastro; la conferma della donazione di sua nipote Amburga; e poi i Monasteri di S. Elia, S. Maria di Grillano, S. Pietro dei Vescovi, S. Gregorio, S. Vesanato, S. Nicola di Gizzeria, ecc. Successivamente, anche una parte della città di Nicastro viene attribuita all’Abbazia di S. Eufemia e riscattata poi, nel 1240 da Federico II.

In più rese l’abbazia uno dei mausolei della sua famiglia: vi fece infatti seppellire la madre Fredesenda, seconda moglie di Tancredi d’Altavilla. Lo ha tramandato Orderico Vitale, monaco del monastero benedettino di Saint Evroul-sur-Ouche. Inoltre, Goffredo Malaterra, monaco normanno che soggiornò per qualche tempo nel chiostro di S. Eufemia e che, quindi, conosceva direttamente luoghi e avvenimenti da lui narrati, ci ha tramandato la notizia che il Guiscardo fece seppellire a S. Eufemia le spoglie di altri due suoi carissimi familiari caduti nel 1065 durante l’assedio di Aiello: Ruggero, figlio di Scolcando, e suo nipote Gilberto.

In cambio di questo ben di Dio, Roberto di Grandmesnil amministrò ottimamente le terre che gli erano state affidate, convinse più con le cattive che con le buone i suoi riottosi sudditi che fosse cosa buona dare retta al Papa di Roma, piuttosto che al Patriarca di Costantinopoli, fondo uno scriptorium che diffuse in Sud Italia lo stile miniaturistico anglonormanno e realizzò uno prima sintesi architettonica tra lo stile cluniacense e l’architettura basilicale di ispirazione romana, che fu modello per tante altre abbazie in Calabria e in Sicilia.

Ampie poi furono le donazioni fatte anche da Boemondo, Principe d’Antiochia, con diploma del gennaio 1123, che si conserva nell’Archivio degli Aldobrandini a Roma. Ruggero ne fu munifico benefattore non meno di Roberto. Egli dopo la conquista della Sicilia, per sostituire il monachesimo basiliano, vi trasferì gli elementi migliori delle abbazie calabresi, prima fra tutte in quella di Sant’ Eufemia, Tra questi Gerlando, vescovo di Agrigento, Stefano di Rouen, vescovo di Mazara, Ruggero, vescovo di Siracusa e Ruggero suo successore nel 1104, Ambrogio, abate di Lipari e vescovo di Messina nel 1081, provengono tutti dalla nostra abbazia di Sant’Eufemia. Ma la figura più nota e più attiva del primo periodo normanno è senza dubbio il monaco Ansgerio, che da Sant’ Eufemia passò a Catania nel 1083 a fondarvi il monastero benedettino di S. Agata e nel 1091 divenne primo vescovo latino di quella città

Come accennato in precedenza, ai tempi di Federico II, l’abbazia cedette al demanio imperiale la sua metà della cittò di Nicastro; in cambio ottenne la terra di Nocera, con la sua marina e il porto (chiamato Navis de Arata) e una parte del casale di Aprigliano nel distretto di Cosenza. Questa permuta si rivelò vantaggiosa per l’abbazia in quanto accrebbe notevolmente i suoi possedimenti, avendo accesso ai boschi silani e uno sbocco a mare col porto di Nocera, che consentiva il commercio.

Poco prima della Guerra dei Vespri, in circostanze poco chiare, l’abbazia fu tolta ai benedettini e affidata agli Ospedalieri, di cui divenne priorato: i suoi balivi, oltre ad arricchirsi, a partecipare con entusiasmo alle guerre tra Angioini e Aragonesi, furono anche protettori della ridotta comunità ebrea locale, evitando che fosse particolarmente tartassata o vittima degli abusi dei giudici reali.

L’Abbazia venne distrutta il 27 marzo 1638 a causa di un grandissimo terremoto. Così racconta l’evento un testimone dell’epoca

“…Come la detta Terra di Santa Eufemia la vecchia, per causa di uno grandissimo terremoto, che fu nell’anno 1638, a’ 27 di marzo, cascorno et si rovinorno diverse città et terre di questa Provincia di Calabria, con mortalità di più persone, come anco fu in questa Terra di Santa Eufemia la vecchia, avendo in detto tempo per causa di detto terremoto cascato tutti l’edifizi della sudetta Terra con haver rimasto morti sotto le pietre da’ doi cento persone in circa, et quelli che si salvorno furono da’ cinquanta in circa, la maggior parte persone povere che si ritrovavano in campagna faticando, et perché la chiesa che v’era in detta terra era grandissima a nave con diverse ale, che serviva nell’occorrenze de’ nemici per fortezza, havendo cascato le mura d’essa, del Palazzo e tutta detta terra, restorno li mobili, paramenti et reliquie, che in essa si ritrovavano sotto le pietre di detti edifitj, che con gran sforzo e diligenza se ne cavò qualche parte che hoggi se ritrovano nella chiesa dove ci ritroviamo di questa nuova terra di S. Eufemia…”.

Cosa rimane di questo edificio ? Uun lungo muraglione, forse pertinente alla chiesa conventuale, con una serie di monofore a tutto sesto, alternate da contrafforti, tipo dell’architettura normana; poi un altro corpo di fabbrica relativo alla parte meridionale del monastero, mentre uno spiazzo a forma di quadrilatero lascia intuire la presenza dell’antico chiostro; rimangono ancora visibili i resti del muro che proteggeva l’intero complesso, ed una torre quadrangolare sempre allo stato di rudere. La chiesa dell’abbazia doveva ricordare nel suo svolgimento planimetrico la SS. Trinità di Mileto con la quale presenta analogie anche relativamente al campanile. Gli studiosi hanno anche notato però delle differenze, ad esempio per quel che concerne l’impiego di materiale classico molto usato a Mileto e assente a Sant’ Eufemia, forse perché nelle immediate vicinanze non esistevano edifici monumentali da spoliare.

Comunque le analogie tra le due realtà sono notevoli e denunciano entrambe lo stesso piano costruttivo, basato sulla conoscenza della costruzioni sacre della Normandia, ma sicuramente vi saranno state anche differenze determinate, quest’ultime, da vari fattori quali ad esempio l’area di costruzione e le relative differenti soluzioni costruttive. I monaci -costruttori di Sant’Eufemia conoscevano direttamente e piuttosto bene, per via della loro origine, disposizioni planimetriche ispirate allo schema di Cluny II che così furono traslate e diffuse in tutta la Calabria tra questi ricordiamola chiesa abbaziale di Santa Maria della Roccella, della fine dell’XI secolo, e la cattedrale di Gerace, costruita tra il 1085 e il 1110.

La chiesa è una costruzione che rispecchia i tipici schemi architettonici normanni in voga nell’Italia Meridionale; ad oggi sono ancora visibili il prospetto principale con i resti delle due torri campanarie, le tre navate, con la centrale di maggiori dimensioni separate da una serie di pilastri e quelle laterali illuminate da una serie di finestre ad arco. Inoltre, è visibile la zona presbiteriale accessibile grazie ad una scalinata ad est, definita dai transetti e dalle tre absidi, quella centrale di maggiori dimensioni rispetto le altre due.

Il presbiterio è stato scavato successivamente, riportando alla luce blocchi marmorei policromi che portavano all’altare posto, come di norma, nell’abside maggiore, dove ai lati erano presenti delle colonne di ripiego appoggiate su elementi architettonici di età romana. In questa zona è stata portata alla luce una pavimentazione realizzata in tessere marmoree policrome, opus sectile, ricavate da marmi antichi, il cui utilizzo è tipico della tradizione normanna e ha lo scopo di sottolineare l’imponenza del potere al pari dell’Impero Romano.

La chiesa era a pianta basilicale, quindi, a tre navate, triabsidata con coro gradonato e transetto sporgente. Nel versane ovest, la presenza di mura spesse 3.30 mt, fa presumere l’esistenza di matronei accessibili attraverso scale o intercapedini; le supposizioni sono dovute al fatto che i resti sono riconducibili solo alla parte superiore della chiesa, infine la facciata sud è scandita da una serie di contrafforti e monofore a tutto sesto.

Per quanto riguarda le torri, è possibile riscontrare i marcatori riconducibili all’architettura normanna, tra cui i cantonali in granito squadrati e le feritoie in pietra. Anche il monastero riprende il motivo delle finestre presenti nella chiesa, la cui muratura è composta da ciottoli di fiume di medie e grandi dimensioni legate da malta la cui composizione non è riconducibile al periodo bizantino, ma bensì al periodo di costruzione sotto il Guiscardo.

 

3 pensieri su “L’abbazia di Sant’Eufemia

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