Una delle piacevoli letture di questa estate è “Uno scià alla corte d’Europa” di Kaber Abdolah, un libro costruito da quattro storie tra loro intrecciate. Il prima è ambientata nel presente e con la scusa di raccontare le vicende di Seyed Jamal, un orientalista che insegna all’Università di Amsterdam, e della sua allieva Iris, entrambi impegnati a raccogliere materiali per raccontare il viaggio in Europa dello shah di Persia; ricerca che diventa l’occasione per riflettere sulle contraddizioni in cui di dibattiamo ogni giorno e con la nostra incapacità di riconoscere e accogliere il diverso. Così fanno capolino tra i suoi racconti i drammi dei profughi siriani, politici populisti che schierano popolazioni l’una contro l’altra, con media che forniscono alla popolazione notizie false.
La seconda storia è quella dello Shah, personaggio straordinario, capriccioso come un bambino, crudele come un despota, curioso come un sovrano illuminato, complessato come un provinciale, cialtrone come un ministro grillino. E soprattutto, cosa di cui è più fiero, uno scrittore, che viaggia per conoscere se stesso e l’Altro e avere l’occasione di raccontarloò
In Russia è ospite dello zar Alessandro II, che per primo lo mette al corrente della pericolosità della classe proletaria e delle teorie di Marx ed Engels, che tanto gli rimarranno in mente, da convincerlo a leggersi Il Capitale. In Russia incontra Tolstoj addormentato, che non si sa quanto sia vero o falso, Goncarov, il celebre autore di Oblomov, che lo Shah riconosce come suo fratello spirituale e il padre di Stalin.
In Germania, grazie a Guglielmo I e Bismark, diviene consapevole dell sua Natura e del suo destino
“L’incontro con Guglielmo gli aveva fatto capire di essersi reso alquanto ridicolo nelle città che aveva visitato. I re non contavano più niente in Europa. A un tratto, l’entusiasmo delle migliaia di persone che lo acclamavano gli apparve sotto un’altra luce. In realtà, tutta quella gente accorreva ad ammirare un re del Medioevo, una specie estinta. Una sorta di dinosauro, di cui quella lunga carovana era la coda”
Sempre a Berlino incontra Ernst Siemens, annoiandosi assistendo ai suoi esperimenti sulle lampadine, Alfred Krupp che sogna di spingere le sue locomotive oltre i novanta chilometri orari, girovaga per l’azienda Bayer dove prova una strana polvere bianca che in seguito diventerà l’aspirina e che gli provocherà un attacco di dissenteria.
Citando Bismark, finge di essere un grande esperto di musica classica con Debussy, diventa grande amico con Leopoldo II, sovrano costituzionale in casa, crudelo despota in Congo, che lo illuminerà sull’inutilità della Stampa, tutto fumo e niente arrosto.
Assiste all’agonia del re d’Olanda e consola la malinconia della regina Vittoria, che in cambio, gli mostra un oggetto per lui ignoto e affascinante: il gabinetto
Nella sua ultima meta, la Francia, conosce Louis Pasteur, che lo affascina mostrandogli i batteri, Gustave Eiffel, il celebre fotografo Felix Nadar che gli presenta due dei più grandi artisti mai esistiti: Monet e Cézanne, le cui opere faranno letteralmente schifo allo scià.
Un viaggio, il suo che è una presa di coscienza: ogni tappa del viaggio è una presa d’atto della propria inutilità e un’accettazione della morte che si avvicina sempre più e che lo colpirà tornando a casa.
La terza storia è quella di Banu, l’armena, la prediletta fra le sue mogli, che rappresenta la metafora della libertà, dell’intelligenza, del coraggio, dell’autodeterminazione della donna; innamorata della letteratura, fuggirà dal capriccioso Shah, per ritrovare la sua identità, a Parigi, accanto a un’altra reietta, Adèle, la figlia schizofrenica di Victor Hugo.
La quarta storia è quella del vero re persiano in viaggio per l’Europa, Nasser al-Din Shah, che con le sue contraddizioni e il suo pessimo carattere è stata la fonte di ispirazione del romanzo: fu lui a introdurre in Persia il telegrafo e a sviluppare il sistema postale, a promuovere la massiccia costruzione di strade e a dar vita al primo quotidiano locale.
E grazie a una macchina fotografica regalata dalla regina Vittoria, si affascinò così tanto a questa forma d’arte, da trasformarsi in un testimone, con i suoi scatti, di un mondo al tramonto, con le tante ombre e poche luci…