Uno dei documenti meno noti ma più interessanti sull’alto Medioevo italiano è costituito da un piccolo corpus di tre o quattro pietre runiche databili all’XI secolo, rinvenute due nella regione svedese dell’Uppland, e una o due nel Sønderslånd, e sulle quali vennero incise iscrizioni dedicate a guerrieri scandinavi caduti in Langbarðaland, non la nostra Lombardia, ma il themata bizantino della Langobardia minor, che, con qualche piccola differenza, corrispondeva alla nostra Puglia.
Si tratta di pietre funerarie, incise con il cosiddetto Futhark recente, l’alfabeto runico di sedici segni derivato da una semplificazione del Futhark antico, di 24 caratteri, dedicati ai soldati della guardia variaga.
Questo corpo militare ha una storia affascinante: nel 988, l’imperatore bizantino Basilio II richiese un gran numero di soldati variaghi a Valdamarr Sveinaldsson, che i russi chiameranno Vladimir di Kiev, come aiuto per difendere il suo trono. Costretto dal trattato che il padre aveva stipulato dopo l’assedio di Dorostolon, il principe russo di origine vichinga inviò 6.000 uomini al basileus, che in cambio gli diede in sposa sua sorella Anna Porfirogenita. Vladimir I si convertì al cristianesimo ortodosso e obbligò il suo popolo a mazzate in capo a seguirlo in questa decisione. Nel 989, questi soldati, guidati dallo stesso Basilio, si recarono a Crisopoli per sconfiggere il generale ribelle Barda Foca, che morì in battaglia. Il suo esercito fu messo in fuga e inseguito con grande ferocia dai variaghi, che si distinsero poi anche nelle successive campagne in Georgia e in Armenia.
Basilio II ne fu talmente impressionato, da trasformare questi mercenari nella sua guardia pretoriana: fu un ottima scelta. I vichinghi, saputo che a Miklagard, nome norreno di Costantinopoli, vi fosse la possibilità di avere uno stipendio regolare e assai più consistente di quanto pagato dai loro jarl, sciamarono in massa verso sud; inoltre, pur essendo estremamente sindacalizzati, spesso entrarono in sciopero per sollecitare l’aumento del soldo, erano alieni dal farsi coinvolgere nello sport preferito della corte bizantina, intrigare e pugnalare alle spalle il basileus, il che li rendeva assai più affidabili rispetto alle altre truppe.
Gli storici bizantini parlano con un misto di sgomento e ammirazione di questi giganti capaci di bere incredibili quantità di vino, inarrestabili in battaglia, provenienti da “Thule”, una terra situata genericamente a Nord del mondo conosciuto. Anna Comnena, la grande storica e principessa, parla di “pelekyphoroi barbaroi”, Barbari portatori di ascia. Anna conosceva bene i Variaghi: per ben due volte, salvarono la vita del fratello Giovanni II Comneno dai sicari che lei aveva inviato ad assassinarlo. Alla morte dell’Imperatore che avevano servito, le sue Guardie avevano il privilegio di prelevare dal tesoro del sovrano tutti i beni che fossero riusciti a trasportare.
Uno dei variaghi più famosi fu Harald Hardrada, fratellastro del re di Norvegia Olaf il Santo, Harald, ancora molto giovane si ritrovò a combattere per l’indipendenza del proprio paese nella battaglia di Stiklestad 1030. Olaf morì e Hardrada fuggì a Kiev, dove combatte al servizio del principe Jaroslav I di Kiev contro i nomadi delle steppe, fino a ottenere il rango di capitano.
Nel 1034, al comando di 500 uomini, si trasferì a Costantinopoli, dove combattè contro gli arabi sulle rive dell’Eufrate, fece da guardia del corpo agli ambasciatori diretti al Cairo, svolse il ruolo di braccio destro del Maniace nel tentativo bizantino di riconquistare la Sicilia, occasione in cui conobbe il capostipite degli Altavilla.
Su questa impresa si narrano molti aneddoti, il più noto probabilmente è come, assediando senza risultati una città fortificata, Harald si accorse che le case degli abitanti sono fatte di paglia e molti uccelli avevano il nido sui tetti. Harald ordinò di catturare tutti gli uccelli, sulla loro coda vennero legati dei pezzi di legno intrisi di catrame, gli diede fuoco. Come previsto gli uccelli infuocati si posarono sui loro nidi nei tetti di paglia, incendiandoli e facendo cadere la città.
Dopo avere contribuito a domare la rivolta bulgara, venne accusato di aver sottratto oro dal bottine destinato all’imperatore, e, per non farsi catturare, scappò via per ritrovarsi poi re di Norvegia come Harald III e finire la propria vita in Inghilterra contro Harold Godwinson nella battaglia di Stamford Bridge; proprio questo scontro, che favorì la successiva vittoria di Hastings di Guglielmo il Conquistatore, cambiò la natura della Guardia Variaga; progressivamente i guerrieri vichinghi furono sostituiti dagli anglosassoni in esilio, tanto che Edgardo Atheling, il re perduto d’Inghilterra, ne divenne capitano.
L’arma principale della Guardia Variega era l’ascia danese anche se erano spesso istruiti nell’arte della spada e in quella dell’arco. Alcune fonti li descrivono anche come guerrieri a cavallo. Allora, cosa centrano questi guerrieri con la Puglia ?
Una dei drammi politici dell’Impero Bizantino fu l’incapacità di integrare nel suo sistema di potere le le élites del Sud Italia: benché i loro themata fossero i più ricchi tra i possessi del Basileus e fornissero buona parte delle sue entrati fiscali, i loro maggiorenti non ebbero mai un ruolo centrale a Costantinopoli. Nessun Basileus saltò fuori da Rhegion o da Bari.
Questa mancata integrazione, provocò uno stato di quasi perenne rivolta contro il potere centrale, fomentato e appoggiato dai vicini arabi e longobardi, di cui approfittarono poi i normanni: la Guardia Variaga fu spesso e volentieri utilizzata per mettere in riga i ribelli.
Una delle rivolte più sanguinose, a cui probabilmente fanno riferimento le iscrizioni svedesi, fu quella di Melo di Bari, che secondo il cronista Guglielmo di Puglia, era di origini longobarde (Longobardum natum). Longobardo, ma di cultura greca (come afferma Guglielmo di Puglia “more virum Graeco vestitum”), era un esponente dei ceti ricchi della Bari bizantina.
Sotto la sua guida, il 9 maggio 1009 le città di Bari, Trani e Bitonto si ribellarono al governo fiscale del catapano bizantino Giovanni Curcuas: durante la rivolta il catapano restò ucciso e gli insorti sconfissero i bizantini a Bitetto e a Montepeloso. La rivolta, appoggiata dai principi longobardi e non avversata dal papa Sergio IV, sembrava avere successo, approfittando anche del fatto che l’imperatore Basilio II era duramente impegnato nei Balcani nella guerra contro i Bulgari.
Ma il nuovo catapano Basilio Mesardonite, dopo un lungo e cruento assedio, riconquistò con la forza la città di Bari (1011): molti baresi furono uccisi, mentre i capi degli insorti riuscirono a fuggire: Melo si rintanò prima ad Ascoli e di là raggiunse Benevento, Salerno e Capua, accolto con qualche preoccupazione dai principi longobardi; suo cognato Datto chiese soccorso ai benedettini di Monte Cassino. La moglie di Melo, Maralda, e suo figlio Argiro, furono invece catturati e portati a Costantinopoli.
Con la benedizione di papa Benedetto VIII, Melo nel 1015 si recò in Germania dall’imperatore Enrico II per chiedere aiuto. L’imperatore lo accolse tra i suoi vassalli e lo nominò Duca di Puglia, tuttavia non gli fornì alcun aiuto militare. Melo allora ritornò in Italia, si procurò il rinnovato appoggio dei principi longobardi e delle città dissidenti e assoldò alcuni cavalieri mercenari normanni, guidati da Gilbert Buatère, che fecero così la loro comparsa sulla scena politica italiana. Con loro mosse da Capua verso la Capitanata: grazie ad alcuni successi iniziali (ad Arènola presso il Fortore, a Civitate, a Vaccarizza presso Troia nella primavera del 1017), Melo si aprì la strada fino a Trani. Ma lo scontro decisivo con le truppe bizantine guidate dal nuovo catapano Basilio Bojoannes avvenne nella battaglia di Canne del 1º ottobre 1018, che vide soccombere gli insorti.
Ora, cosa dicono queste iscrizioni ? Da queste si ricava come i guerrieri in partenza dalla Scandinavia per entrare a far parte della Guardia non fossero, come troppo spesso si ritiene in base agli stereotipi sui Vichingi, dei barbari rozzi e violenti, ma giovani provenienti da famiglie di heinjarl (nobili) o di hersir, già addestrati all’uso delle armi, le cui famiglie erano alfabetizzate, cosa rara nella società scandinava dell’epoca.
Tutti i personaggi menzionati nelle stele erano cristiani, così come i committenti, malgrado all’epoca la Svezia costituisse ancora una roccaforte del culto norreno (asàtrù) soprattutto nelle campagne e tra le classi inferiori (thraeller).
Infine, i committenti, che potevano essere sia uomini, sia donne, erano amanti della poesia scaldica, sia per la metrica dell’iscrizione, sia per l’uso dei kenning, la perifrasi che sostituisce il nome di una persona o di una cosa, come ad esempio testimoniato dalla seguente epigrafe
Inga ha innalzato questa pietra per Óleifr, suo figlio Egli ha arato con la sua prua il cammino dell’Oriente, e incontrato la propria fine nella terra dei Longobardi
storie bellissime…. grazie, sempre, caro Alessio, per la tua continua condivisione…
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