Antimo di Bisanzio

Antimo

Uno dei personaggi più affascinanti della tarda antichità è il buon Antimo di Bisanzio, medico, diplomatico e gastronomo. Nato in Grecia nel IV secolo d.C. da una famiglia nobile e morto nel 534. Di lui si hanno notizie precise a partire dal 481, quando fu coinvolto in una sorta di intrigo internazionale; l’imperatore Zenone era impegnato in una sorta di triplo gioco con due capi goti, Teodorico l’Amalo, il futuro conquistatore dell’Italia e Teodorico Strabone, cercando di metterli l’uno contro l’altro.

Il Basileus nel 476 si alleò con l’Amalo per attaccare Strabone, mandò un’ambasciata all’imperatore, offrendo la pace e dando la colpa dei conflitti al suo rivale. Zenone tuttavia ottenne che il Senato e l’esercito dichiarassero Strabone un nemico pubblico, e nel 478 convinse l’Amalo ad attaccare le forze di Strabone con la promessa del sostegno di un grande esercito imperiale. L’Amalo e la sua gente marciarono attraverso le montagne, ma nei pressi del monte Soundis, invece di trovare i promessi rinforzi, si imbatterono nel campo fortificato di Strabone.

Il capo dei Goti di Tracia provocò l’Amalo, cavalcando di fronte al campo dei Goti di Mesia e dichiarando davanti a tutti i Goti accampati che il comando dell’Amalo aveva ridotto la propria gente ad una guerra intestina a solo vantaggio dell’impero, e senza ricevere quelle ricchezze per le quali avevano abbandonato i propri territori di origine. Facendo leva sull’interesse comune di tutti i Goti, Strabone costrinse l’Amalo a chiedere la pace e i due comandanti mandarono un’ambasceria congiunta all’imperatore Zenone, chiedendogli di concedere loro l’estensione dei territori gotici in Mesia verso sud.

Dopo aver tentato vanamente di corrompere l’Amalo, Zenone ordinò all’esercito imperiale di affrontare l’esercito gotico riunificato, che intanto, nel 479, aveva sostenuto la breve rivolta di Flavio Marciano contro Zenone. Nonostante alcune sconfitte Teodorico l’Amalo rimase libero di muoversi verso ovest in Tracia, saccheggiando i territori attraversati. Una volta che il rivale si allontanò, Teodorico Strabone concluse un accordo di pace con Zenone: ottenne la restituzione dei propri beni, denaro per pagare 13.000 soldati, il comando di due unità palatinae e la riconferma del titolo di magister militum.

I 30.000 uomini di Teodorico erano però una seria minaccia per Zenone, che convinse i Bulgari ad attaccare i Goti di Tracia nelle loro basi. Strabone tuttavia sconfisse i Bulgari nel 480/481 e si mosse verso Costantinopoli. Una fazione della corte bizantina, che mal sopportava Zenone sia perché, come isaurico, lo considerava una sorta di barbaro, sia per le sue opinioni religiose filomonofisite, decise di approfittare dell’intevento del goto, per organizzare un colpo di stato.

Antimo svolse il ruolo di intermediario tra i ribelli e Strabone: tuttavia, i soldati goti, non volendo impegnarsi nell’assedio delle mura teodosiane, si ammutinarono e costringendolo a ripiegare in Grecia; al contempo, Zenone, scoperta la congiura, la represse con straordinaria crudeltà.

Antimo, per evirare di essere scuoiato vivo, si rifuggiò da Strabone; ma sfortuna volle che questi, mentre era accampato presso Stabulum Diomedis, in Tracia, e stava cercando di domare un cavallo selvaggio, cadde su una lancia appesa davanti a una tenda o a un carro, morendo sul colpo. Non perdendosi d’animo, Antimo si trasferi presso Teodorico l’Amalo, seguendolo nella sua guerra contro Odoacre.

Dopo qualche anno, Teodorico affidò ad Antimo, apprezzandone le doti di la freddezza, la precisione e la capacità di analisi, l’incarico di ambasciatore presso Teodorico di Metz, re dei Franchi, per evitare che i continui litigi tra i figli di Clodoveo degenerassero in una guerra totale. Mentre svolgeva al meglio questo compito, Antimo, che da buon seguace di Galeno, era convinto che una buona dieta, riequilibrando i quattro umori, desse un contributo importante nella mantenimento della salute, si mise le mani nei capelli, nel constatare come si mangiasse da schifo nella corte franca.

Per cui si impose come missione l’educare Teodorico su come realizzare una cucina di di qualità e al tempo stesso salutare, in quanto fondata su precisi canoni dietetici. Per fare questo, scrisse in latino il manuale De observatione ciborum ad Theodoricum regem Francorum epistola.

Così il medico giustifica la sua decisione

“Ma se mi si obietta: com’è che altrove vivono popoli che mangiano carni crude e sanguinolente e restano sani? Dirò che, quantunque neanche quelli siano da considerarsi del tutto sani, ciò accade perché hanno elaborato loro antidoti peculiari quando stanno male si scottano con il fuoco sullo stomaco, o sul ventre, o su altri organi, come si fa con le cavalle imbizzarrite il che dà ragione a quanto ho detto. D’altra parte quei popoli mangiano un solo cibo, come i lupi. Infatti non mangiano che quello di cui dispongono, cioè carne e latte. E sembrano essere in salute a causa della scarsa varietà alimentare. Così come il poco bere dà l’impressione di buona salute. Infatti quando hanno molto cibo non bevono, mentre lo fanno quando non ne hanno per lunghi periodi. A noi, invece, che ci nutriamo con cibi vari, con numerose ghiottonerie e bevande diverse, conviene controllarci, in modo che l’eccesso non ci faccia male e che, soprattutto diminuendo le quantità, restiamo in salute. Se poi qualcuno è irresistibilmente attratto da qualche cibo, si assicuri intanto che sia un piatto ben preparato e si limiti solo a piccoli assaggi di altre portate, in modo da trarre giovamento da quello che ha mangiato prima: solo così potrà digerire bene”.

Nel trattato, importante anche dal punto di vista linguistico, dato che aiuta a comprendere le dinamiche dell’evoluzione delle lingue medievali e a risolvere varie problematiche legate all’interpretazione dei germanismi che appaiono nei testi dell’epoca, Antimo illustra una personale teoria sul rapporto tra varietà alimentare, complessità delle preparazioni gastronomiche ed esigenza di morigeratezza nelle quantità.

Tra le curiosità, è possibile scoprire come Antimo raccomandasse con premura maniacale la cottura dei cibi, perché considera tale pratica legata alla buona saluta. Secondo il medico bizantino, la cottura rende più digeribili i prodotti della terra, depurandoli da sostanze nocive o velenose, a cominciare dal pane, fatto con frumento lievitato e ben cotto anziché quello in uso presso le tribù barbare, di farina d’orzo o di spelta.

Inoltre, il medico bizantino parla di piatti di carne esclusivamente bovina, bollita a lungo con aromi e vino. Viene menzionato anche il pollame e la piccola selvaggina, da cuocere anche allo spiedo, mentre la bollitura era ritenuta indispensabile per tutti i legumi, come fave, ceci, fagioli e lenticchie, così come i frutti acerbi e le uova, da scottare in acqua tiepida.

Tra le sue ricette troviamo: carote fritte, uova insaporite con l’ossimello, bos in iuscello. Il vino poi, oltre ad essere usato a scopi terapeutici, viene citato come condimento di alcuni piatti (Antimo cita come le popolazioni germaniche bevessero abitualmente sidro e birra). In particolare, tra le bevande viene citato l’oenomel, bevanda a base di miele e succo d’uva non fermentato molto in uso presso i Romani (in tardo latino “oenomeli”, derivante dal greco “oinomeli” composto da “oinos”, vino, e meli, miele)

Al lardo dei popoli germanici (verso cui c’è comunque un’apertura) viene poi preferito il classico olio dei Romani. Ma i nobili Franchi erano interessati anche ad imitare i costumi alimentari bizantini, per cui nel trattato ritroviamo anche alcune ricette appartenenti alla dietetica bizantina come l’afrutum (aphraton) – in latino spumeum – a base di pollo e bianco d’uovo e quella di un particolare stufato di manzo, a base di miele, aceto e spezie varie.

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