L’evoluzione dell’esercito miceneo

dendra

Se pensiamo all’esercito miceneo, istintivamente, a causa di Omero, a uno gruppo di carri che trasportano sul campo di battaglia un gruppo poco numeroso di eroi, coperti da pesanti armature, che si sfidano tra loro a colpi di lancia.

In realtà, l’arte della guerra micenea era assai più complessa di quanto appaia nell’Iliade, assai più tarda; il wanax o chi per lui era in grado di mobilitare e comandare un esercito tanto ampio, quanto differenziato.

Vi erano, senza dubbio, i carri, che non fungeva solo da mezzo di trasporto o da piattaforma mobile per gli arcieri, come in Egitto, ma dovevano compiere anche delle cariche; vi è ad esempio la testimonianza iconografica di una stele di Micene, mostra un guerriero che dal carro trafigge con la lancia uno spadaccino.

L’alto numero di carri elencati nelle tavolette (più di 400) suggerisce che i Micenei ne facessro un uso massiccio come arma tattica, una sorta di carro armato dell’epoca, e non solo decorativo, perché anche perché i carri da parata (trentatre carri con intarsi in avorio) sono elencati separatamente nelle tavolette.

Uso che in qualche modo colpì la fantasia degli Ittiti, che tutte le volte che parlano dei capi dei loro rivali micenei in Anatolia, ne citano il grande numero di carri; ma questi, per ovvi motivi di scenario operativo, l’orografia greca, in cui mancano ampie pianure, non ne favorisce l’utilizzo, non erano il nerbo dell’esercito del Wanax.

Potevano fungere da martello, per colpire ai fianchi i nemici, scompaginare le loro formazioni e incalzarli durante la fuga, ma non da incudine, ossia resistere ai loro assalti; tale compito era svolto dalle fanteria.

Da quello che siamo riusciti a ricostruire, tra il 1400 a.C. e il 1300 a.C. era divisa in due diverse tipologie: la prima era la fanteria pesante, che indossava la to-ra-ka, una corazza di bronzo battuto: dal ritrovamento di Dendra, questa era costituita da quindici lamine separate e tenute insieme da cinghie di cuoio e proteggeva il guerriero dal collo alle ginocchia.

A completare il tutto, vi erano parabraccia, schinieri, che coprivano solo una parte degli stinchi ed erano portati sopra a protezioni di lino e un elmo costituito da un berretto di cuoio di feltro, ricoperto da diverse file di zanne di cinghiale cucite su di esso.

Una protezione aggiuntiva era data dal grande scudo, che poteva assumere due diverse tipologie, ad otto e a torre. Il primo aveva l’aspetto di due scudi rotondi sovrapposti e collegati fra loro da una strozzatura centrale, il secondo una forma rettangolare con un semicerchio superiore sporgente a protezione del viso.

Lo scudo veniva normalmente sorretto con una striscia di cuoio – il telamon – portata attorno al petto e lasciato ricadere sul fianco sinistro in atteggiamento da battaglia o appeso dietro la schiena in marcia e probabilmente dotato una maniglia che permetteva al guerriero di controllarne meglio il movimento e all’occasione in impugnarlo come avverrà poi per gli scudi di epoca storica. Alcuni affreschi trovati a Cnosso testimoniano come questi scudi potessero essere rinforzati al centro da una struttura fusiforme, probabilmente lignea che svolgeva esattamente le funzioni di un umbone.

L’armamento offensivo era invece costituito da una lancia pesante, lunga forse più di tre metri, dotata di una grande punta affilata su entrambi i lati in modo da poter essere utilizzata sia come arma da affondo sia da taglio, per questioni statiche doveva avere un contrappeso metallico nella parte inferiore. Questa veniva portata obliqua durante la marcia con la punta rivolta verso l’alto ed orizzontale sopra la testa in fase di carica, lo scudo ad otto permetteva di tenere la lancia sottobraccio scoprendo il corpo in misura minore e questo potrebbe spiegarne la più lunga fortuna.

Di fatto, somigliava molto agli opliti dell’età classica, anche come velocità di movimento, tutta quella panoplia pesa solo 18 Kg, e probabilmente combatteva allo stesso modo, a ranghi serrati; ma il wanax, a differenza degli strateghi lacedemoni e ateniesi, pur apprezzandone la forza d’urto e la capacità di resistere alle cariche, però era consapevole anche dei suoi limiti di mobilità e di flessibilità.

Per questo, la integrava con una fanteria leggera, difesa da una corazza a scaglie simile a quella egiziana, l’ o-pa-wo-ta (letteralmente “cose che stanno attaccate”), di cui si sono trovate tracce a Salamina, sempre dotata di elmo a zanne di cinghiale, ma priva di scudo: la sua arma era infatti la spada, che in quel periodo, assume, nel mondo miceneo un aspetto particolare.

Erano infatti molto allungate e con cordoli poco resistenti e sarebbero risultate molto fragili se usate di taglio, per cui dovevano fungere da armi da affondo pensate per infliggere stoccate, come le spade usate in Europa a partire dal XVI secolo. Considerando che la tipologia di un’arma influenza inevitabilmente lo svolgersi di un combattimento appare verosimile immaginare un combattimento fra due spadaccini minoici o micenei molto simile ad un duello del XVII o XVIII secolo. Questo tipo di scherma è fatto di movimenti rapidi e veloci e si basa in gran parte sulla capacità di schivare i colpi dell’avversario, non sulla robustezza delle difese.

Per cui, probabilmente, mentre il fante pesante impegnava frontalmente gli avversari, i leggeri li attaccavano ai fianchi, in attesa della carica dei carri; a completare il dispositivo i lanciatori di giavellotti, che probabilmente servivano a scompaginare lo schieramento nemico prima dell’urto e gli arcieri, che protetti dalla fanteria pesante, potevano infastidire il nemico con una tattica mordi e fuggi.

Tutto questo dispositivo tattico, cambia nel 1200 a.C., quando si perde la distinzione tra fanteria pesante e leggera: tutti i fanti adottano l’armature a scaglie e sono introdotti due nuovi modelli di scudo che venivano retti con il braccio sinistro, ossia lo scudo rotondo (aspis) e quello a mezzaluna capovolta (pelta), che permette al guerriero di correre senza che il bordo inferiore dello scudo sbatta contro le cosce.

L’elmo di zanne di cinghiale rimane in uso fino al periodo tardo, ma sono introdotti nuovi modelli, come l’elmo “cornuto” e l’elmo a “punte di riccio”, dei quali però non conosciamo i particolari poiché non ci è giunto nessun esemplare.

Cambia anche l’armamento offensivo: la lancia si accorcia notevolmente, raggiungendo i 150-180 centimetri di lunghezza, utilizzabili sia per infilzare che per lancio. Si adotta poi un nuovo tipo di spada, di origine alpina, la Naue Type II, in cui la lama più o meno lunga si congiunge all’impugnatura senza soluzione di continuità; la spalla convessa della lama si unisce alla lingua da presa con margini
rilevati e andamento più o meno curvo sino a concludersi in un allargamento, o in una linguetta per il fissaggio di un pomolo deperibile.

Lungo la curva della spalla della lama, così come al centro dell’impugnatura, il bronzo era attraversato da vari fori passanti coi quali, grazie a ribattini, veniva fissato il manico deperibile formato da due guancette distinte prolungantisi sino alla spalla, dove formavano un arco.

Tale spada, rispetto al precedente modello, permette una scherma più varia, che permette di alternare stoccate a colpi di taglio; di conseguenza il fante tardo miceneo combatte in un ordine di battaglia flessibile e aperto, più simile a un legionario romano che a un oplita.

Questo cambiamento è da molti studiosi interpretato come un segno dell’imminente decadenza: il commercio con la Sardegna e le Colline Metallifere della Toscana entra in crisi, in Grecia non si ha più disponibilità di rame e bronzo, per cui il wanax è costretto ad arrangiarsi in qualche modo.

Però, se si considerano altri aspetti della questione, la realtà sembra differente:

  1. I micenei non smettono di commerciare, ma cambiano interlocutori, non più i popoli nuragici o le tribù tirreniche, ma i popoli di cultura appenninica dell’Adriatico e non cercano più metalli, ma olio e lana, da trasformare in tessuti e profumi, da scambiare con i beni di lusso egiziani e siriani.
  2. Chi sembra soffrire di tale interruzione, non sono i micenei, ma i loro ex partner sardi e italici, che reagiscono cambiando interlocutori commerciali, facendo la fortuna dei ciprioti, e cominciando a prodursi i casa beni di consumo di imitazione elladica
  3. La potenza militare micenea è tutt’altro che indebolita, dato che per ancora un secolo passerà il tempo a combattere con gli Ittiti per il possesso dell’Anatolia.

Per cui, è probabile in contrario: è esistito forse una sorta di Ificrate miceneo, che cambiò la tattica e l’armamenti. Ciò diminuì la richiesta di metallo dall’Occidente e di conseguenza le rotte commerciali.

2 pensieri su “L’evoluzione dell’esercito miceneo

  1. Tra l’altro, come mi ha fatto notare un amico medievalista, la differenziazione tra gli scudi, implica anche una suddivisione di compiti nella fanteria pesante: chi era dotato di scudo ad otto, doveva comportarsi in maniera simile ad un oplita, mentre lo scudo a torre ricorda molto un palvese medievale. Di conseguenza, i loro portatori potevano in qualche modo essere utilizzati per contrastare le cariche dei carri: l’arciere, schermato da questa versione elladica pavesario, colpiva a distanza l’auriga o il cavalli che, una volta raggiunta la linea di fanteria, venivano tenuto a bada dalla lancia. Ora, dato che effettivamente i carri micenei, tra il 1300 a.C. e 1200 a.C. si alleggeriscono, per cui si può pensare a un uso simile a quello egiziano, questo potrebbe aver portato come conseguenza alla modifica delle tattiche e dell’armamento delle fanterie

  2. Pingback: Il Commercio Miceneo nel Mediterraneo (Parte V) | ilcantooscuro

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