In attesa di festeggiare la serata di San Silvestro, per chiudere un anno pieno di problemi, incertezze e con qualche rara soddisfazione, oggi mi dedico a parlare del Palazzo dell’Aquile, sede di rappresentanza del Comune di Palermo.
In epoca aragonese, sorse il problema di dare una sede idonea al Pretore o Bajulo, il governatore della città e giudice supremo, e all’assemblee cittadine che lo supportavano nella gestione dell’amministrazione, che spesso e volentieri si riunivano nelle chiese, come quella di San Francesco.
Come sempre succede a Palermo, le polemiche su dove e come fare questa sede amministrativa si trascinarono a lungo, finché il pretore Pietro Speciale, signore di Alcamo e di Calatafimi, decise di pagare di tasca propria, affidando i lavori a Giacomo Benfante, architetto gotico che lavorava tra Sicilia, Baleari e Barcellona e ordinario del senato, che iniziarono nel 1470 e probabilmente finirono nel 1478.
Speciale, ovviamente, voleva rientrare dei soldi anticipati, per cui, per coprire le spese, impose ai palermitani una ulteriore tassazione sulle carni e sul vino. All’epoca, Palazzo dell’Aquile era ben diverso dall’attuale: era un edificio, massiccio e a pianta quadrangolare, con una torre merlata, per difendere il Pretore da eventuali proteste dei contribuenti palermitani, sull’angolo sud-occidentale, e presentava su ogni lato un ingresso, ad eccezione di quello occidentale, mentre l’ingresso principale si trovava sul lato meridionale rivolto sul piano di San Cataldo, in cui si trovavano le statue dei due “Litiganti ignudi”, copie romane di atleti greci, di cui una si trova attualmente nella sala del sindaco.
Oltre ad un ingresso aperto sul lato settentrionale, in corrispondenza dell’attuale ingresso principale, l’edificio presentava sul lato orientale un accesso importante, tuttora esistente e rivolto verso la chiesa di Santa Caterina.
Nel 1553 avvenne un’ulteriore ristrutturazione, legata a due diverse esigenze: da una parte, l’assemblea civica aveva perso il suo ruolo, per cui non serviva più un’ampia sala riunione, dall’altra, per semplificare la vita ai burocrati a seguito dei viceré spagnoli e vigilare meglio sulla produttività degli impiegati locali, bisognava radunare tutti gli uffici pubblici in un sol luogo. Per cui, il Pretore Cesare Lanza, ordinò di ampliare lato settentrionale, ricavando in tal modo nel piano nobile i locali di rappresentanza, nell’ammezzato i locali della Tavola, o Banco pubblico della città, l’equivalente della nostra Tesoreria e al piano terra le stanze dell’armeria, divenendo il fronte settentrionale il prospetto principale dell’edificio, nel quale venne aperto un nuovo e ampio ingresso.
Ingresso che era legato anche alla mutata disposizione urbanistica dell’area: in quel periodo veniva monumentalizzato il Piano Pretorio, con l’installazione della Fontana della Vergogna e si effettuava il taglio del Cassaro, cambiando le direttrici di traffico della città.
Ulteriori modifiche al Palazzo Pretorio furono effettuate da Mariano Smiriglio, l’inventore della decorazione a marmi mischi, con l’uso diffuso di tarsie di marmi e pietre dure, che, a causa dell’apertura di via Maqueda, dovette regolarizzare il lato occidentale.
In epoca austriaca, il palazzo divenne sede della Magistratura Municipale Annonaria provvede all’amministrazione patrimoniale della città. L’istituzione era presieduta da un capo col titolo di pretore e sei senatori in carica per due anni. L’organo era eletto dal Consiglio Civico, consesso formato da 110 cittadini aventi una rendita annua di 50 onze, in carica per quattro anni. Il 15 agosto 1722 l’imperatore Carlo VI d’Asburgo conferì ai suoi componenti la Grandia di Spagna di prima classe, un todos caballeros non si nega mai a nessuno, e il titolo di Eccellenza. Il consiglio era affiancato da sette nobili ufficiali: maestro notaio, maestro razionale, tesoriere, cancelliere, marammiere, conservatore delle armi e un archiviario.
Con Carlo III di Borbone, fu conferita al Senato la Magistratura Suprema, Generale, Unica ed Indipendente della Salute, organo composto dal pretore con funzione di Presidente, sei senatori pro tempore, l’arcivescovo di Palermo, un ecclesiastico, quattro ex-pretori, due giureconsulti, quattro ex-senatori, tre medici, un cancelliere, tutti componenti nominati a vita e reintegrati alla bisogna dal Senato e dalla Deputazioni
Ristrutturato e consolidato nel 1827, in seguito ai danni subiti dal terremoto del 1823, l’edificio venne profondamente restaurato nel 1875 dall’architetto Giuseppe Damiani Almeyda, che eliminò le aggiunte barocche, con l’intento di riportarlo a un’immaginaria architettura cinquecentesca, inventandosi sia la decorazione esterna con un finto bugnato color ocra, sia il nome di Palazzo delle Aquile.
La facciata principale, quella di Piazza Pretoria, è dominata una statua rannicchiata di S. Rosalia, scolpita nel 1661 da Carlo D’Aprile e fatta collocare dal Senato in onore della santa, che aveva salvato la città dalla peste. Detta statua sovrasta un grande orologio giunto da Parigi nel 1864 e delimitato da Damiani Almeyda da una cornice quadrata in marmo, fiancheggiato da due grifoni e recante la scritta pereut et imputantur, come a significare che il tempo è prezioso, mentre sugli angoli svettano due grandi aquile (ripetute sugli angoli del retroprospetto) in conglomerato cementizio, modellate da Domenico Costantino e poste in corrispondenza di preesistenti orologi a campana, collocati nel 1737 in sostituzione di simili esemplari seicenteschi, ritenuti non più funzionanti. Aquile che servirono a Damiani Almeyda a giustificare il nome che si era inventato…
Ai tre ordini di otto finestre e ai nove balconi del prospetto del piano nobile, fa riscontro sulla facciata principale il grande ingresso che è preceduto da due grandi candelabri in ghisa costruiti dalla Fonderia Oretea, la fabbrica del Florio che ha avuto un ruolo fondamentale, ma spesso misconosciuto nello sviluppo del liberty in Italia. Ad esempio, nel 1874 furono le sue maestranze a realizzare la copertura metallica del teatro Politeama, impresa che in quel periodo era ritenuta impossibile dai più. Ora parzialmente recuperata, è usata dal Comune di Palermo come sede dei matrimoni civili… Tra l’altro, è il luogo in cui si è sposata mia cognata..
Tornado all’ingresso di Palazzo delle Aquile, è sovrastato un sopraporta, anch’esso in ghisa e con un’aquila centrale, sempre le manie di Damiani Almeyda, poggiante su un cartiglio con le iniziali del Senato e su un canestro di frutta, simbolo della fertilità della Sicilia. Questo sopraporta è sovrastato da un architrave neoclassico che presenta nelle metope gli stemmi dei quartieri della città, mentre compresa tra il grande balcone centrale e l’ingresso principale si trova una grande aquila in marmo con le ali spiegate, sempre per il solito motivo, scolpita da Valerio Villareale.
Molte lapidi commemorative sono collocate sul prospetto principale e su quello che si affaccia sulla via Maqueda, oltre a moltissime altre poste all’interno del palazzo, specie nella Sala delle Lapidi, tutte trascritte e commentate in un libro da Fedele Nuccio Pollaci.
La facciata meridionale, prospettante sulla piazza Bellini (ex piano di S. Cataldo) presenta tre ordini di sei finestre e due balconi con quattro grandi finestre sul piano nobile; il prospetto sulla via Maqueda presenta tre ordini di cinque finestre e cinque balconi sul piano nobile, mentre il prospetto orientale, rivolto verso la chiesa di Santa Caterina, presenta in basso un altro importante ingresso con un robusto e artistico portone in ferro, sormontato dalla scritta “Pax huic domui” e affiancato da due ordini di tre finestre, a cui fanno riscontro superiormente un ordine di quattro balconi al piano nobile e quattro finestre all’ultimo piano. Tutti i prospetti dell’edificio terminano in basso con un alto zoccolo di pietra calcarea, mentre tutte le fiaccole poste agli angoli dei balconi, furono collocate nel 1931.
Superato l’ingresso principale su piazza Pretoria, da un’ampia e breve scala si accede all’atrio, preceduto da un portale barocco con colonne tortili, progettato da Paolo Amato nel 1691 e recante un’iscrizione che ricorda l’ampliamento del palazzo del 1553. Il suddetto portale è delimitate lateralmente da due grandi affreschi del 1591 eseguiti da Giuseppe Albina e da Giovanni Paolo Fondulli rappresentanti la “Crocifissione e la “Vergine Immacolata”, a cui segue a destra nell’atrio un monumento funerario sovrastato da due sposi che si danno la mano destra, reputati sculture di epoca romana e collocati prima all’esterno, nell’angolo sud est dell’edificio, a cui fa riscontro sulla sinistra una statua di Giovanni Meli scolpita in marmo bianco ne 1888 da Vincenzo D’Amore, mentre in fondo all’atrio, coperto nel XII secolo da una struttura in ferro e vetro, sotto un portico tetrastilo ottocentesco si trova una urna cineraria cinquecentesca sormontata da Giano bifronte e recante una iscrizione apocrifa che ricorda l’alleanza tra Roma e Palermo, un monumento bronzeo a Dante Alighieri, col ritratto del poeta delimitato da due belle allegorie rappresentanti la Vittoria e l’Italia, a cui segue una imponente aquila marmorea, posta su un cartiglio recante la scritta S.P.Q.P. e collocata su un cippo sul quale è raffigurata la Trinacria accarezzata da Cenere, significando questo monumento il potere esercitato da Palermo su tutta la Sicilia.
All’inizio del grande scalone, ricostruito nel 1827, dopo il terremoto del 1823, si incontra sul primo ripiano la statua del Genio di Palermo, posta all’interno di una conca collocata su un alto capitello di Domenico Gagini, sorretto da una colonna in porfido delimitata da due fanciulli corrucciati, dei quali uno sostiene uno scudo con un’aquila e l’altro uno scudo su cui è raffigurato lo stemma del marchese Ventimiglia, presidente del Regno.
Questa statua detta Palermu u nicu, Palermo il Piccolo, per distinguerla da Palermu lu grandi, il genio del Garraffo, rispecchia pienamente l’iconografia del Genius Loci, ossia uomo maturo dalla barba divisa, incoronato e abbracciato ad un serpente che si nutre al suo petto
Lungo le pareti dello scalone si trovano due targhe marmoree poste prima sul prospetto, delle quali una, delimitata da una cornice disegnata da Paolo Amato, ricorda l’incoronazione di Vittorio Amedeo di Savoia a re di Sicilia nel 1713, e l’altra, delimitata da una cornice disegnata da Andrea Palma, che ricorda l’incoronazione di Carlo III di Borbone nel 1735, mentre nel ripiano superiore si trova uno stemma della città sostenuto da un telamone e scolpito nel 1625 da Gregorio Tedeschi.
Giunti alla sommità dello scalone, si perviene ad una anticamera in cui si trova un bassorilievo in stile neoclassico di Valerio Villareale, rappresentante la Sicilia incoronata da Minerva e da Cenere e una epigrafe di Fedele Nuccio Pollaci, che descrive la storia del palazzo dalla sua fondazione fino al completamento dei lavori di restauro e di decorazione, completati nel 1891, appena in tempo per ospitare degnamente i reali d’Italia Umberto I e Margherita di Savoia, che inaugurarono l’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-92.
Segue poi la Sala dei Gonfaloni, dove si trovano la rastrelliera destinata a contenere le bandiere e le insegne, un bellissimo lampadario bronzeo e altri pregevoli arredi, mentre le pareti sono decorate dalle aquilette e dagli stemmi delle città della Sicilia, dipinti da Salvatore Gregorietti.
Si perviene quindi nella Sala Maggiore o Sala delle Lapidi, dove si trovano cinquanta lapidi ivi collocate a partire dal 1591 e sistemate nel 1875 da Gioacchino Di Marzo. Questa sala, destinata in origine al pubblico Consiglio e in seguito anche a cerimonie e feste, ha murate alle pareti delle aste in ferro riproducenti antiche misure siciliane, mentre al bellissimo soffitto ligneo decorato e al prezioso lampadario di legno intagliato, fa riscontro un artistico e antico pavimento in marmo intarsiato, proveniente dall’Oratorio della Pace ed attualmente coperto da una moderna moquette.
Senza attraversare la Sala dei Gonfaloni, dalla Sala delle Lapidi una porta nascosta dai tendaggi consente di pervenire nella sala Gialla, un tempo luogo di riunione del Senato e ora della Giunta comunale. Entrando nella Sala dei Gonfaloni e procedendo verso sinistra si arriva nella Sala Antinoo, così denominata perchè ospitava un tempo uno dei due “Litiganti ignudi”, detto anche efebo, prima che fosse trasferito nella sala del Sindaco, nella quale si trovano una targa bronzea di Benedetto Civiletti, che commemora la fondazione del palazzo, una lapide in marmo sormontata da un’aquila, nella quale sono elencati nomi dei patrioti facenti parte del governo rivoluzionario del 1848 e i busti in marmo su colonnine di Francesco Crispi, di Mariano Stabile, e di altri illustri personaggi, ai quali si aggiungono pregevoli quadri di Francesco Lojacono, Salvatore Lo Forte, rocco Lentini.
Nella Sala Antinoo si apre la piccola Cappella senatoria edificata nel 1663, nella quale si trovano le due statue barocche di S. Agata che reca i simboli del suo sacrificio e di S. Rosalia posta su un’aquila, un quadro dell’Immacolata e due sculture raffiguranti S. Rocco e S. Sebastiano. Dalla Sala Antinoo si perviene nella Sala Garibaldi, ricca di trofei militari, iscrizioni commemorative, vasi, arazzi e dipinti di Francesco Lojacono, Salvatore Lo Forte, rocco Lentini e una preziosa raccolta di armi dorate e cesellate come gioielli, donati all’ammiraglio Gravina da Napoleone Bonaparte, il quale aveva così grande stima del palermitano da dire
Gravina è tutto genio e determinazione in battaglia. Se Villeneuve avesse avuto quelle doti, la battaglia di Finisterre sarebbe stata una vittoria completa
Nella Sala Rossa, si trova la statua dell’efebo, il soffitto a scomparti, da cui pendono due magnifici lampadari di Murano, è preziosamente decorato nei suoi riquadri e nei suoi sopraporte da leggiadre fanciulle, amorini, danzatori, figure muliebri e dalle allegorie de “La prosperità” e de “La giustizia” affrescati nel 1891 da Francesco Padovani, e dall’allegoria de “La pace” affrescata da Gustavo Mancinelli, anch’essa eseguita nel 1891.