
La mia prima dimora milanese, qualcuno se la ricorda ancora, era nelle vicinanze della basilica di Basilica di San Nazaro in Brolo, nei pressi di Porta Romana.
Anche se poco nota, è una delle chiese più antiche di Milano, espressione dello sforzo, anche urbanistico, del vescovo Ambrogio e dell’imperatore Graziano di affermare il primato del cristianesimo niceano nei confronti della versione ariana e del paganesimo, per incrementare, con il legame con Roma, la loro legittimità, spesso e volentieri contestata.
Se Graziano voleva proporsi come nuovo Costantino, colui che aveva rinnovato il mos maiorum, dandogli una veste cristiana, Ambrogio voleva proporsi come una diretta emanazione del vescovo romano.
Per prima, fu costruita, nell’ottica di ristrutturazione dell’antico decumano, la cosiddetta Via Porticata, che partiva dalla Porta Romana d’epoca romana e che terminava in direzione Placentia (la moderna Piacenza) con un arco trionfale, coincidendo con il nostro corso Lodi, corso Vercelli e corso di Porta Romana, mentre l’arco di trionfo si trovava all’altezza del moderno largo della Crocetta.
La via Porticata era lunga circa 600 metri, larga 9,30 metri compresi i marciapiedi, aveva il selciato lastricato con basoli ed era rialzata di 70 cm rispetto al terreno circostante per prevenire eventuali allagamenti dovuti alla presenza del fiume Seveso, che scorreva nelle sue vicinanze. Per superare il dislivello con le zone circostanti, furono probabilmente previsti, lungo i bordi del selciato della strada, dei fianchi che digradavano dolcemente verso le aree adiacenti alla strada, o forse venne realizzata una rampa di accesso in corrispondenza dell’arco di trionfo.
La via Porticata era affiancata da due portici con colonnato in pietra che correvano lungo tutta la lunghezza della strada da ambedue i lati. Sotto i portici erano presenti botteghe e negozi, che si trovavano in locali realizzati in laterizio ed essendo dedicati a merci di lusso, erano affrescati: nel complesso, i portici, erano quindi un grande mercato coperto. Sotto il selciato della via Porticata era presente una fognatura che raccoglieva i reflui provenienti dalle botteghe e dai negozi, nonché l’acqua piovana che cadeva sulla strada.
L’arco trionfale, che era rivestito in marmo bianco, dato che era soprannominato arco di Giano, era probabilmente a quattro fornici, ricordando nella forma, quello di Malborghetto, sempre nel tentativo di Graziano di ricollegarsi al modello costantiniano.
La via Porticata, quindi, svolgeva un importante ruolo simbolico, una sorta di passaggio di consegne tra la storica capitale dell’Impero e la città che gli era succeduta in Occidente. A questo, Ambrogio associò la costruzione di quattro nuove basiliche, disposte lungo i quattro punti cardinali, come a stringere in un abbraccio la città, che come le abitudine dell’epoca non furono dedicate a un santo specifico, ma alle loro ehm categorie professionali.
Furono così costruite una basilica per i profeti (dedicata poi a san Dionigi, della quale si conosce solo la localizzazione vicino ai Bastioni di Porta Venezia, dato che fu ridotta in dimensioni sul finire del 1500 per poi essere completamente demolita nel 1700), una per i martiri (martyrum), che in seguito ospitò le sue spoglie e divenne la basilica di Sant’Ambrogio), una per le vergini (futura basilica di San Simpliciano) ed una degli Apostoli, la nostra San Nazaro in Brolo, che sorse sull’area di un precedente necropoli frequentata dall’età medio imperiale, cristianizzata probabilmente dal IV secolo perché sede delle sepolture vescovili di Calimero e Castriciano.
Sempre nell’ottica di proporre Milano come Nuova Roma, la Basilica Apostolorum si rifaceva pari pari a quella voluta da Massenzio sulla via Appia, in cui vi era il sepolcro gentilizio degli Urani, la famiglia del padre di Ambrogio, in cui vi era sepolta una sua lontana parente Sotere, morta in odore di santità.
Di conseguenza, nel progetto originario, la basilica milanese era di tipo circiforme, con deambulatorio,una navata unica, delle stesse dimensioni di quella romana, con l’abside separata dal presbiterio da un triforio (fornice tripartito) per creare un sacello, altare al centro della navata, sulla quale si aprivano due mausolei parimenti separati dalla navata centrale da trifori; i mausolei equivalevano anche per dimensioni al mausoleo (singolo) della basilica romana.
Graziano, imitando anche in questo Massenzio e il ramo romano della famiglia di Costantino, pensiamo al Mausoleo di Sant’Elena o a quello di Santa Costanza, aveva ipotizzato di costruire il suo mausoleo circolare adiacente alla basilica: ma ahimè, la rivolta di Magno Massimo, che portò alla sua morte, ruppe le uova nel paniere a lui e ad Ambrogio.
Magno Massimo, che aveva tutt’altro che voglia di litigare con il vescovo di Milano e con il suo protettore Teodosio, permise ad Ambrogio di continuare con i suoi progetti edilizio, il quale, con un forte gesto politico, cambiò il progetto, non guardando più a Roma, ma alla Costantinopoli dove risiedeva colui che, in cuor suo, riteneva il vero imperatore, Teodosio.
Ispirata ai Santi Apostoli di Costantinopoli -progettata dallo stesso Costantino come suo mausoleo – San Nazario è forse il primo esempio in Occidente della pianta a croce, simile a quella coeva Martyrum di San Babila di Antiochia e nel Martyrum di San Giovanni a Efeso.

Le dimensioni della struttura di San Nazaro in Brolo in Milano sono generose, una croce latina di 56 metri di lunghezza per 45,30 metri nel transetto, una larghezza di 14,20 metri ed un’altezza di 13,15 metri. Se l’abside era piana, nei bracci dei transetti, erano presente due esedre, probabilmente destinate a custodire delle sepolture. Il pavimento, invece, era realizzato in opus sectile, ancora parzialmente conservato nell’aula di destra. Inoltre si conserva la copertura di una tomba con cinque distici in greco. Detta tomba reca l’inizio -per tre righe- della traduzione in latino che si riferirebbe ad un medico egiziano, tale Dionigi, forse lo stesso personaggio citato in una lettera di sant’Agostino nel 428.
Al centro, nel punto di incontro degli assi della croce, era l’altare con le reliquie degli apostoli; il posizionamento dell’altare al centro dell’intersezione fra l’asse longitudinale e quello trasversale fa sospettare che vi fossero dei diaframmi, che dividessero la pianta in un vano centrale, dove i sacerdoti celebravano il rito, e i quattro bracci della Croce, in cui, a seconda del ceto, si disponevano i fedeli per assistere alla cerimonia. Di conseguenza, non si aveva una concezione assiale dello spazio, ma una centripeta e disaggregante.
La copertura era costituita da un tetto a doppio spiovente, di questi due ambienti uno era ad un livello inferiore a quello della navata e come questo a capriate lignee e con soffittatura piana. Resta ancora oscuro se a quell’epoca la chiesa fosse dotata di un atrio di collegamento tra la facciata e la via porticata a causa degli interventi edilizi effettuati in questo settore dall’età romanica sino a tempi anche molto recenti che non ne consentono la chiara definizione. L’ipotetica presenza di un legame fisico tra la basilica e la via monumentale è ancora oggi un argomento dibattuto e carico di interesse, per l’affinità con la posizione del S. Sepolcro e della strada colonnata a Gerusalemme.
Secondo il Martyrologium Hieronimianum (V sec.), la chiesa fu dotata di reliquie in due momenti distinti: i resti di Giovanni, Andrea e Tommaso un 9 maggio e quelli di Luca, Andrea, Giovanni, Severo e Eufemia un 27 novembre. In seguito, stando alla tradizione medievale nota da Landolfo Seniore, Simpliciano, un anziano e autorevole prete romano, destinato a succedere ad Ambrogio sulla cattedra vescovile di Milano, avrebbe portato da Roma le reliquie per contatto di Pietro e Paolo.
Ambrogio compose un inno dedicato agli apostoli Pietro e Paolo, che si cantò per la prima volta in occasione della festa dei due santi, il 29 giugno 386. Tra le strofe che sottolineano il primato del soglio di Pietro vi sono la 6°
“Hinc Roma celsum verticem/ devotionis extulit,/ fondata tali sanguine,/ et vate tanto nobilis. ”
e l’8°
“Prodire quis mundum putet, concorrere plebem poli, electa gentium caput, sedes magisteri gentium”
Secondo una tradizione arrivata fino ai nostri giorni, il vescovo con tutto il clero metropolitano, si portavano alla basilica Apostolorum al vespro del 28 giugno, considerato giorno di digiuno, e per la solenne funzione del giorno successivo. Dopo il vangelo della messa, il vescovo milanese teneva la sua omelia o ne concedeva l’onore a un ospite, come accadde con Gaudenzio, vescovo di Brescia e suo prestigioso suffraganeo.
Dal canto suo, Siricio ribadiva la missione del papa romano nella Chiesa:
“L’apostolo Pietro in persona sopravvive nel vescovo di Roma. Se il papa porta il peso di tutti coloro che hanno bisogno del suo appoggio, non dubito che il beato apostolo Pietro non porti con lui e in lui questo peso formidabile”

Le reliquie furono custodite nella Capsella di San Nazaro sotto l’altare maggiore, ritrovata nel 1578 da San Carlo Borromeo. La capsella in argento è decorata con rilievi a sbalzo di altissima qualità, la cui iconografia è ancora in parte da chiarire: sul fronte è raffigurata la Madonna in trono col Bambino e due offerenti che porgono loro piatti vuoti. Sul lato destro c’è il Giudizio di Salomone, mentre sul lato opposto appare una scena di Giudizio variamente interpretata, come Giuseppe che giudica i suoi fratelli oppure come il Giudizio di due martiri romani, o ancora come Daniele che giudica i vecchi che hanno insidiato Susanna. Sull’ultimo lato sono raffigurati quattro giovani stanti, interpretati come i Tre ebrei nella fornace salvati dall’Angelo, oppure come i Magi condotti dall’Angelo lontano da Erode o ancora come i Pastori che ricevono l’annuncio della nascita di Gesù. Infine sul coperchio viene raffigurato Cristo in trono tra gli apostoli con ai piedi anfore e panieri a ricordo dei miracoli delle Nozze di Cana e della moltiplicazione dei pani, con esplicito riferimento al tema comune della rivelazione di Cristo.
Dopo la morte dell’imperatore Teodosio, avvenuta a Milano nel gennaio 395, tutte le conquiste che pensava di aver stabilizzato sembravano essere messe nuovamente in discussione per il fatto che l‘undicenne imperatore Onorio, figlio di Teodosio, era sotto la tutela del generale vandalo Stilicone. Unica sua alleata sembrò essere la moglie del generale e figlia adottiva di Teodosio, Serena; tuttavia la sua posizione era alquanto precaria, tanto che sembrava come la posizione della corte si stesse spostando rapidamente dal cristianesimo niceano a quello ariano.
Per bloccare tale pericolo, Ambrogio tirò fuori dal cilindro la scoperta delle presunte reliquie di San Nazaro, un romano di famiglia ebrea e legionario. Discepolo di Pietro, ricevette il battesimo dal futuro papa Lino. Per sfuggire alle persecuzioni contro i cristiani e forse inviato da Lino, lasciò Roma e si recò in alcune zone della Lombardia. Passò in particolare anche a Piacenza e a Milano, dove avrebbe incontrato in carcere i compagni di fede Gervasio e Protasio.
Successivamente iniziò l’evangelizzazione delle Gallie. Qui sarebbe stato affidato Celso, che aveva appena nove anni, da una matrona della Gallia. Celso ricevette dal maestro l’educazione alla fede cristiana e il battesimo. Insieme proseguirono nell’opera di diffusione della nuova fede, viaggiando per la Francia meridionale e arrivando a Treviri. Qui avrebbero subito numerose persecuzioni e sarebbero stati arrestati. Tuttavia Nazario, quale cittadino romano, non subì torture ma venne inviato a Roma per subire un regolare processo. Qui, al suo rifiuto di rinnegare la sua fede e sacrificare agli dèi romani, venne condannato a morte. Secondo altre fonti la condanna a morte venne decisa dal governatore di Ventimiglia. Ad ogni modo, insieme a Celso, venne imbarcato su una nave che doveva portarli al largo e gettarli in mare.
I due tuttavia scamparono alla morte a causa di un nubifragio. La leggenda vuole che, gettati in mare, presero a camminare sulle acque. Si scatenò allora una tempesta che terrorizzò i marinai, i quali chiesero aiuto a Nazario. Le acque si calmarono immediatamente. La nave sarebbe infine approdata a Genova, e qui Nazario e Celso proseguirono la loro opera evangelizzatrice in tutta la Liguria negli anni 66 e 67. Si spinsero poi fino a Milano, dove infine vennero arrestati e nuovamente condannati a morte dal prefetto Antolino. La sentenza fu eseguita per decapitazione nell’anno 76.
Così racconta il ritrovamente Paolino, biografo di Ambrogio, che avvenne il 28 luglio del 395, casualmente presso il cimitero di Porta Romana.
32.2. Esumato il corpo del santo martire Nazaro sepolto in un cimitero fuori della città, lo trasferì nella basilica degli Apostoli, che è a Porta Romana. 3. E noi vedemmo nel sepolcro, ove giaceva il corpo del martire – di cui fino ad oggi non possiamo sapere quando abbia compiuto la Passione -, il suo sangue ancora così fresco, quasi fosse stato versato in quello stesso giorno, ed anche il suo capo, ch’era stato reciso dagli empi, così integro e incorrotto con i capelli e la barba, da sembrarci lavato e composto nel sepolcro nel momento stesso in cui fu esumato. 4. E perché stupirsi, se il Signore aveva già promesso nel Vangelo che non un capello del loro capo andrà perduto? Ed anche fummo avvolti da tal profumo, che vinceva la soavità di tutti gli aromi.
33.1. Esumato il corpo del martire e compostolo in una lettiga, subito ci dirigemmo con il santo vescovo al luogo di sepoltura del santo martire Celso, nel medesimo cimitero, per farvi un’orazione. Sappiamo che egli non aveva mai pregato prima d’allora in quel posto; ma se il santo vescovo si fosse recato a pregare in un luogo dove non era mai stato per l’innanzi, ciò significava che gli era stato rivelato un martire. 2. Apprendemmo poi dai custodi di quel luogo che era stata data loro dai genitori e dagli avi tale consegna, di non abbandonare mai quel sito per tutta la loro generazione e progenie, perché vi erano riposti grandi tesori… 3. Traslato dunque il corpo del martire nella basilica degli Apostoli, dove il giorno avanti erano state deposte le reliquie degli Apostoli tra la più profonda devozione di tutti
Il successo propagandistico di tale scoperta fu tale, che il tentativo ariano di alzare la testa fu domato, tanto che Ambrogio, per celebrare il suo trionfo, Ambrogio stesso dettò un’epigrafe, la prima e l’unica composta dal vescovo per una sua basilica, la cui traduzione recita:
Ambrogio ha fondato il tempio e lo ha consacrato al Signore con il nome degli Apostoli e con il dono delle loro reliquie.
Il tempio ha la forma della croce, il tempio rappresenta la vittoria di Cristo: la sacra immagine trionfale contrassegna il luogo.
All’estremità del tempio è Nazaro dalla vita santa e il pavimento è nobilitato dalle spoglie del martire. Là dove la croce ha legato il sacro capo piegandosi a cerchio, qui è l’estremità del tempio e la dimora per Nazaro che, vincitore per la sua fede, gode per la pace eterna. Colui per il quale la croce fu palma di vittoria, nella croce è accolto
Ovviamente, oltre a una nuova consacrazione, l’arrivo delle nuove reliquie portò a una serie di lavori ristrutturazione. L’abside della chiesa da piatta, fu trasformata in tonda. Inoltre, all’inizio del 397 Serena volle fare un gesto di assoluta deferenza verso Ambrogio, offrendo i marmi libici per ornare l’abside centrale dove si trovava la cella memoriae contenente i resti del “martire” Nazaro. L’offerta appariva come ex voto per il ritorno del marito Stilicone dalla guerra contro Alarico. L’epigrafe con cui immortalava il suo voto è sfortunatamente persa, ma nota attraverso una trascrizione:
“Dove situati per cavo regresso sorgono i tetti
e della sacrata croce s’inflette a cerchio il capo
Nazaro di vita immacolata integro corpo è nascosto.
Esulta che questo sia del tumulo il luogo
Che il pio Ambrogio segnò con l’immagine di Cristo.
Con marmi libici Serena fiduciosa orna
Per gioire lieta del ritorno del coniuge Stilicone
Dei suoi fratelli e dei suoi figli”
Oltre che dai marmi donati da Serena l’edificio ambrosiano doveva forse essere impreziosito da un mosaico o una pittura absidale. Le epigrafi di fondazione sopra citate, potrebbero alludere ad una decorazione dell’abside paleocristiana, costituita da una croce iscritta in un cerchio, con forse al centro il volto di Cristo, secondo un’iconografia diffusa, riscontrata ad esempio nei mosaici di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna.
Particolari tipologie tombali, tra cui due tombe internamente intonacate e dipinte con soggetti figurati inquadrabili forse entro il secolo IV e dall’inizio almeno del V sec. numerose epigrafi, segnalano il prestigio di quest’area funeraria, che accoglie anche le sepolture dei vescovi Venerio (405), Marolo e Lazzaro (+ante 451) nel segno della continuità della tradizione apostolica.
Una nota serie di 13 epigrammi ennodiani sui vescovi di Milano da Ambrogio a Teodoro è stata associata a dei ritratti vescovili, visti in San Nazaro, seppur in maniera frammentaria, ancora da Andrea Alciato (XVI sec.). Si tratterebbe di un ciclo musivo o pittorico voluto da Lorenzo I, forse costituito da imagines clipeatae sui modelli romani di San Pietro e San Paolo fuori le mura e dell’episcopio di Ravenna.