Una cosa che spesso gli osservatori italiani tendono a dimenticare è come Trump sia stato, nella sua carriera imprenditoriale, un grande sostenitore, dell’applicazione sia della teoria dei giochi sia delle neuroscienze alla tecniche di negoziazione.
Ne è stato così appassionato da scrivere nel 1987 in collaborazione con Tony Schwartz il libro “L’arte di fare affari”, seguito nel 1990 da “Surviving at the Top” in collaborazione con il giornalista Charles Leerhsen, in cui, con un linguaggio assai semplice ed efficace, divulga i suoi metodi e strategie.
Le stesse strategie, probabilmente con il supporto di esperti in materia, che ha descritto con un formalismo matematico assai più raffinato in articolo su riviste specializzate, che ha presentato in decine di seminari e che sta applicando nella politica internazionale.
- Di fatto, il presidente americano, utilizza una strategia di negoziazione articolata in una sorta di sequenza di azioni standard:
- Applicando una strategia derivata dall’implementazione della teoria dei giochi asimmetrica, ossia con le risorse operative sbilanciate a favore di una controparte, si fa sedere con le buone o con le cattive l’interlocutore al tavolo delle trattativa, che Trump, nonostante l’asimmetria tra giocatori, per quanto possibile vuole impostare come integrativa, ossia finalizzata a creare valore a entrambe le controparti, piuttosto che distributiva, ossia in cui uno dei due interlocutori sottrae valore all’altro.
- Essendo le controparti a razionalità limitata, l’equilibrio di Nash non coinciderà mai con l’ottimo di Pareto: ossia l’interlocutore tenderà massimizzare l’interesse personale, a scapito del raggiungimento del migliore risultato possibile. Per cui, per condurre al meglio la negoziazione, bisognerà conoscere sia l’obiettivo ottimo che si pone l’interlocutore, sia quanto è disposto a cedere rispetto a tale aspettativa, pur di non prolungare all’infinito la trattativa, raggiungendo il punto d’equilibrio tra payload e tempo di ottenimento.
- In funzione del punto di equilibrio della controparte, Trump ne definisce il proprio
- Per facilitare il raggiungimento del proprio punto di equilibrio, Trump inizia la negoziazione con la tecnica della proposta irricevibile, facendo richieste assai più elevate di quelle soddisfatte dal suo obiettivo ottimo; da quel momento in poi, qualsiasi proposta che si allontani da questa e si avvicini al punto di equilibrio, verrà vista dall’interlocutore come un’importante concessione.
- Al contempo, per spingere la controparte a raggiungere quanto prima il suo punto di equilibrio e chiudere la trattativa e al contempo nascondere i suoi obiettivi, Trump la spiazza alternando silenzi, azioni inaspettate e rischio calcolato.
Strategia che ha ottenuto risultati concreti con la Cina, che sta congelando le iniziative geopolitiche della Corea del Nord e che Trump vorrebbe applicare all’Iran.
Il Presidente USA, conscio dei fallimenti del nation building collezionati dalle precedenti amministrazioni, non vuole rovesciare la struttura politica di Teheran: il punto di equilibrio è l’accettazione da parte dell’Iran di una balance of power nello scenario del Medio Oriente, che garantisca la sicurezza di Israele e permetta il ritiro progressivo delle truppe USA.
Al contempo, Trump ritiene che, nonostante tutti i proclami, il punto di equilibrio iraniano sia realistico, incentrato sul riconoscimento dei suoi interessi geopolitici in Iraq e all’eliminazione delle sanzioni. Per cui, le tattiche negoziali che utilizzerà nei prossimi mesi, alternando aperture a sparate, saranno orientate al raggiungimento di tali obiettivi.