Un fenomeno analogo a quello che si verifica nell’Italia peninsulare della tarda età del Bronzo, si sviluppa in Sicilia: da una parte, il commercio con l’Egeo si incrementa, dall’altra, avviene una progressiva ristrutturazione delle reti commerciali.
In particolare, al modello a rizoma, tanti piccoli e numerosi hub di scambio distribuiti sul territorio, villaggi ciascuno di poche decine di capanne, siti generalmente su alture o su dossi poco elevati, con un’economia basata sull’agricoltura, la pastorizia e l’allevamento del bestiame o sullo sfruttamento di risorse artigianali come l’estrazione della selce e la lavorazione della pietra lavica, che scambiavano le materie prime locali con i mercanti micenei, che caratterizzava la cultura di Pantalica, si sostituisce una rete gerarchica, con pochi siti costieri, che fungono da port of trade, zone di frontiera poliglotte, in cui le élite locali monopolizzano il contatto con i le comunità di mercanti stranieri e rafforzano il loro status imitandone la culturali, a chi fanno riferimento e che monopolizzano la circolazione dei beni di prestigio di importazione e di imitazione.
A questi port of trade, fanno riferimento una serie di nodi secondari, posti lunghi le principali vie di comunicazioni siciliane, che fungono da gateway community, ossia da porte di ingressoverso il mercato interno.
I principali di questi port of trade sono Cannatello, Magnisi fra Siracusa e e Augusta, Ortigia di Siracusa, Ognina e il più noto di tutti, Thapsos, la cui penisola, lunga circa 2 km, larga m. 700, collegata alla terraferma da un sottile istmo sabbioso, è dotata di un’area pianeggiante alla radice dell’istmo, mentre tutto il resto della sua superficie è interessata da estesi affioramenti rocciosi che danno luogo a lievi ondulazioni e aventi la massima elevazione nella zona centrale di tutta la sua area (20 m.s.l.m.).
Thapsos è una “penisola che si protende in mare con uno stretto istmo e dista poco dalla città di Siracusa sia per mare che per terra”: così Tucidide (VI,97,1) ne presenta in maniera sintetica ed efficace i connotati fisici che erano rimasti inalterati fino agli anni ’50 del secolo passato, quando un infelice impianto industriale alterò la zona dell’istmo.
Thapsos è ricordata ancora da Tucidide quando dice che vi si fermarono per sei mesi quei coloni greci ai quali il re Hyblon concesse l’area su cui fondarono Megara Hyblaea. A Thapsos i coloni megaresi persero il loro capo, l’ecista Lamis. Tucidide ricorda ancora come gli Ateniesi, al tempo della guerra contro Siracusa, occuparono la penisola fortificandone l’istmo con una palizzata mentre la flotta sostava nei due piccoli porti prima di manovrare verso Siracusa. Altre menzioni di Thapsos sono in Virgilio, Ovidio, Silio Italico e Stefano di Bisanzio.
Il sito è stato studiato nel 1880 da Saverio Cavallari prima e Paolo Orsi poi, Giuseppe Voza e Luigi Bernabò Brea negli anni Settanta del Novecento; studi che hanno evidenziato come la sua cultura, possa considerarsi come un’evoluzione, con l’economia riorganizzata in funzione del commercio con l’Egeo, della precedente cultura di Castelluccio.
Thapsos non era solo un luogo in cui si esportavano le materie prime della Sicilia, in cui stazionavano, più o meno stabilmente, mercanti micenei e ciprioti, che oltre per l’interscambio con i locali, la usavano come tappa per le rotte commerciali per il Nord Africa, in cui effettuavano il commercio muto con le tribù berbere, ma anche il fulcro di una rete commerciale parallela, in cui convergevano le esportazioni da Malta, dalle comunità tirreniche della Cultura Appennica, che si era trovate spiazzate dal mutamento delle rotte di scambio con l’Ellade, e il vino e l’ossidiana proveniente dalle Eolie, in cui si era sviluppata la cultura del Milazzese.
Cultura, quella delle Eolie, dove, come a Vivara, per rispondere alle esigenze commerciali, si sviluppò una protoscrittura, dove, i suoi caratteri, usati come una sorta di marchio di fabbrica o dell’equivalente del nostro Made in, sembrano essere derivati dalla Lineare A.
Thapsos, oltre al ruolo commerciale, era anche un centro industriale di primaria importanza, per la Sicilia dell’epoca, in cui esisteva un quartiere di ceramisti, che producevano ceramiche di imitazione micenea e uno di bronzisti, dedicati anche alla forgiatura di spade, che sembrerebbero avere svolto, più che un ruolo di militare, quello di status symbol.
In pratica, i capi siciliani dell’epoca, per mostrare la loro ricchezza e i loro legami con il gran re d’oltre mare, indossavano un’imitazione della panoplia micenea, pure non avendo nessuna intenzione di utilizzarla in battaglia.
Questa vocazione commerciale è testimoniata dalla costruzione la costruzione di due complessi, A e B ad impianto rettilineo, struttura pluricellulare e cortile acciottolato, che non hanno confronti nell’ambito ambito siciliano o peninsulare dell’epoca. La complessa planimetria dei due impianti presuppone interventi di maestranze straniere.
Impianti che svolgevano, in piccolo, un ruolo analogo a quello dei megaron micenei: vi erano magazzini, manifatture, aree che possono essere considerate come cucine comuni, spazi sacri e di rappresentanza, in cui si svolgevano riti, accompagnati da libagioni. I complessi A e B di Thapsos manifestano una nuova esigenza nell’ambito della comunità, quella di articolare spazi con funzioni diverse in un unico complesso abitativo
Strutture che si possono leggere secondo due chiavi diverse, non necessariamente autoescludenti: la prima, secondo il modello minoico e miceneo, di un tentativo di accentrare le modalità di produzione, passando dall’ambito domestico a quello specialistico, dove le élite, oltre a celebrare il loro potere con riti ispirati a quelli elladici, forse di ispirazione sciamanica, in cui, tramite l’ebbrezza provocata dal vino, i capi locali entravano in comunione con le divinità. La seconda, una luogo in cui si accentravano i commerci con i mercanti micenei e ciprioti, dove i riti comuni, portavano a testimoni gli dei del buon esito dello scambio.
Classi dominanti, quelle di Thapsos, che testimoniavano il loro potere e la loro influenza anche in altri due modi: l’urbanistica e l’architettura sepolcrale. Alle grandi capanne circolari costruite sulla base da muri a secco e supportate poi da tetti e pareti di legno, paglia e argilla, tipiche della cultura di Pantalica, l’élite di Thapsos, sostituì riproduzioni in piccolo dei complessi A e B, edifici rettangolari spesso raccolti ad ali intorno a cortili, disposti secondo un preciso piano urbanistico, per apparire all’altezza degli interlocutori commerciali, a testimonianza di relazioni di tipo paritario (peer polity interaction). Allo stesso tempo, però la differenza culturale e tecnologica tra le due parti era troppo sbilanciata affinché il modello miceneo non divenisse uno stile da imitare.
Al contempo, nelle necropoli oltre alle sepolture a pozzetto e a camera semplice, di matrice indigena, appartenenti ai gruppi sociali meno ricchi e prestigiose, appare un tipo di sepoltura allogeno, la tholos a pianta circolare e sezione ogivale. Le Tholoi siciliane differiscono da quelle peloponnesiache per vari elementi, manca ad esempio il dromos, sostituito da una semplice sistemazione dell’area antistante. Le unità di misura, la pianta e la geometria, innovative nel panorama siciliano lasciano in ogni caso pensare ad una derivazione dai modelli micenei, dovuta alla presenza di maestranze elladiche.
Ora, dato il corredo presente, è da escludere che i defunti siano immigrati micenei: per cui, sarebbe interessante capire come questo status symbol funerario, a imitazione dei wanax micenei, sia giunto in Sicilia: un esempio di acculturazione indiretta, in parole povere le chiacchiere di mercanti, oppure, il commercio era bidirezionale, ossia i siciliani dell’epoca si recavano a loro volta nell’Ellade ?
Da Thapsos, questo tipo di sepoltura si è diffusa progressivamente nei centri che facevano parte della sua rete commerciale, disposti soprattutto lungo gli assi di penetrazione delle vie fluviali. In tali contesti però le tholoi appaiono quasi sempre isolate o in coppia in necropoli più ampie costituite da tombe di tipo tradizionale. La posizione “dominante” sul territorio è quella tipica di élite che vogliono distinguersi e sottolineare il proprio potere su quell’area.
Sul versante sud-occidentale dell’isola, nell’immediato entroterra, risulta invece molto importante il centro di Cannatello. Nel 1897 Paolo Orsi e Giulio Emanuele Rizzo pubblicavano nel Bollettino di paletnologia italiana la scoperta occasionale di un gruppo di capanne preistoriche, e di otto armi in bronzo contenute in una grande zolla : quattro lance, due spade, un’ascia.
Dieci anni più tardi Angelo Mosso in una ricerca – i cui risultati apparvero tempestivamente in forma monografica -portava alla luce i resti di un villaggio, che oggi diremmo del Medio Bronzo thapsiano. In particolare fu individuata un’area selciata di forma circolare con diam. m 60, all’interno della quale vennero alla luce una capanna quadrangolare con buche per pali e resti di sei capanne circolari, di cui due a pianta abbinata; l’estremità sud-est di quella che a Mosso sembrò una sorta di «piazza» circolare, probabilmente un grande recinto del tipo che si riscontra secondo una tradizione che va dal Bronzo Antico alla prima età del Ferro; conchiglie, corni fittili, astragali e alcune piastre circolari in terracotta suggerivano in quel punto una chiara natura votiva.
Dagli studi successivi, oltre alle fortificazioni, apparvero tracce di strutture a pianta
rettangolare che ricordano, anche nelle tecniche di costruzione, in quanto sono utilizzate due paramenti di pietre irregolari con riempimento di pietrelle e ciottoli, quelle di Thapsos sebbene senza la stessa pianificazione e monumentalità di quest’ultima.
Legami, con il sito siracusano, testimoniati anche dalla presenza della sua ceramica: eppure, rispetto a Thapsos, vi è una grande differenza. La ceramica di importazione ritrovata a Cannatello, non è micenea, ma cipriota: per di più, risultano essere presenti materiali di provenienza nuragica, il che fa pensare come il sito agrigentino potesse appartenere a una diversa rete commerciale, basato sull’interscambio di metalli, che univa Cipro con la Sardegna.
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