Terme di Caracalla

Avendo finito di visitare il Foro, siamo andati a vedere stamattina le rovine delle Terme di Caracalla che si trovano in città, cioè dentro la cinta delle mura. Abbiamo percorso tre quarti di lega, e durante l’ultima mezz’ora abbiamo camminato in oltrepassato il Campidoglio e il Colosseo, abbiamo seguito le rovine delle mura di Romolo, quindi abbiamo visto le rovine del Circo Massimo e siamo risaliti lungo le il rigagnolo dell’Acqua Crabra; infine siamo arrivati alle enormi mura di mattoni, meta del nostro viaggio.

Questi resti informi, notevoli soltanto per la grandiosità delle mura che restano in piedi, furono un tempo uno dei luoghi più lussuosi di Roma. C’erano in queste terme milleseicento sedili di marmo, simili a quello di porfido che si conserva al Louvre, e che fa venire in mente un aneddoto sull’elezione del papa.

Qui duemilatrecento persone potevano farsi il bagno contemporaneamente, e senza vedersi l’un l’altro; ogni cameretta era rivestita di marmi preziosi e ornata di bronzi dorati. Al nostro arrivo un povero disgraziato, un contadino consumato dalla febbre, ha messo un mozzicone di torcia in cima a una canna di dieci o dodici piedi, e ci ha condotti in un luogo oscuro, dove ci ha mostrato i ruderi della prima cinta di queste terme.

Sono cose utili a vedersi, perché possono servire come segno di un ricordo, ma non sono interessanti. Le mura immense di cui parlo formano quattro sale; la barbarie via; si distinguono soltanto le nicchie in cui erano le statue. Alcuni di noi si sono arrischiati a salire per una scala a chiocciola, su cui si vedono resti di mosaico; giunti in cima al muro, sono rimasti colpiti dall’estensione delle terme, in cui si trovava riunito insieme tutto ciò che può servire ai diversi esercizi ginnici, così necessari anche alle persone ricche prima dell’invenzione della polvere da sparo.

Non ci sono colonne in queste terme, e secondo me ciò toglie loro ogni espressione; per me sono come rovine orientali. Ma avevano qualcosa che gli antichi ammiravano molto: una grande volta poggiata su una griglia di bronzo, almeno per quel che si può comprendere leggendo il testo di Elio Spaziano.

Stendhal

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