Dopo il rifiuto del progetto di Fra Giocondo, Giuliano da Sangallo decise di cogliere la sua grande occasione, presentando lui stesso un progetto per la nuova San Pietro, probabilmente perduto o forse, ancora non identificato nella quantità industriale di disegni architettonici che produsse.
Tuttavia, grazie a una serie di testimonianze dell’epoca, è possibile ricostruirlo a grandi linee: per prima cosa, manteneva come punto fermo quanto deliberato dalla commissione che aveva presieduto poco tempo prima, ossia l’impossibilità di mantenere in piedi le vecchie mura costantiniane della navata principale.
Poi, per motivi di risparmio economico, non doveva essere buttato il lavoro sino a quel momento eseguito, seguendo il vecchio progetto del Rossellino: di conseguenza, la piantina dell’abside e del coro avrebbe seguito la pianta quattrocentesca, con una variante, di cui parlerò in seguito…
Anche l’alzato del transetto, ispirato alle antiche terme romane, sarebbe stato simile a quello del rosselliniana, con un minore slancio verticale e volte a crociera quadrate, più vicino all’originale antico. Questo perché, a differenza di Rossellino, Giuliano, studiando le rovine, aveva deciso di sperimentare il sistema di costruzione delle volte di conglomerato all’antica, che gli permetteva di evitare il sistema a contrafforti del suo predecessore quattrocentesco.
Coro, che come avvenuto nella basilica dei Santi Apostoli, che a seguito della ristrutturazione voluta dal Cardinal Bessarione, il transetto era diventato una sorta dei mausoleo di famiglia dei Della Rovere e dei Riario, Sisto IV aveva fatto erigere uno sfarzoso monumento sepolcrale per Pietro Riario, quasi degno di un papa, seguito poco dopo da quello per il fratello del papa e padre del futuro Giulio II, Raffaele della Rovere, sarebbe stato destinato alla sepoltura papale.
Come il progetto precedente, il coro sarebbe stato sovrastato da una cupola, che doveva essere simile a quella della basilica di Loreto, ossia una rivisitazione in chiave moderna di quella del Duomo di Firenze. E a dire il vero, proprio nel cantiere marchigiano, Giuliano provò a sperimentare le soluzioni statiche che avrebbe voluto implementare in San Pietro, con l’ulteriore difficoltà che si dovette confrontare con un tamburo già preesistente.
L’aveva infatti realizzato pochi anni prima il suo conterraneo Giuliano da Maiano, che essendo stato capomastro dell’Opera di Santa Maria del Fiore, conosceva a menadito l’opera brunelleschiana. Così Maiano, rispetto all’originale, introdusse una serie di modifiche: cambiò il rapporto tra altezza del tamburo e quello della cupola, portandole dal 4:9 del duomo fiorentino, al 2:3 della basilica marchigiana.
Inoltre, impose al tamburo una più diretta corrispondenza tra interno ed esterno rispetto a Santa Maria del Fiore, configurandolo come un corpo architettonico unitario che al di fuori viene dotato di un ordine a fasce privo di capitello ma con trabeazione completa, che assieme alla strombatura degli oculi si rifaceva al progetto originale della cupola brunelleschiana.
Dinanzi a tali vincoli, Giuliano da Sangallo progettò a Loreto una calotta elegantissima, ottenuta ponendo la punta del compasso sul piano dell’apotema,a un terzo della luce, con il piano d’imposta elevato sopra un dritto di muratura di circa tre metri.
Usando la terminologia di Santa Maria del Fiore si può dunque parlare di un “terzo acuto” lauretano, con un rialzo significativamente inferiore a quello del “quinto acuto” fiorentino, in linea con quanto probabilmente aveva in mente Giuliano da Maiano.
Per alleggerire la cupola, Giuliano da Sangallo, aveva ipotizzato una calotta unica, rispetto a quella doppia fiorentina: l’intradosso era liscio e l’estradosso costolonato, con risalti peraltro assai meno prominenti rispetto a Santa Maria del Fiore, del quale si riproponevano anche i fori a metà monta delle falde.
In più, adottò una serie di soluzione “tecniche”, che avrebbero ridotto tempi e costi di realizzazione, rinunciando allo “spinadipesce” brunalleschiano: se questo consentiva un drastico risparmio sull’armatura lignea, sostituita da centine necessarie al solo controllo geometrico della calotta, richiedeva altre sì tempi lunghi per la stagionatura delle malte (anche se pozzolaniche), e la presenza di numerosi maestri di muro qualificati; inoltre lo spessore della calotta era vincolato a rimanere costante.
Di contro,la muratura ordinaria comportava la spesa di un’armatura strutturale, realizzata da maestri lignari esperti, ma poteva essere eseguita da comuni muratori e garantiva tempi assai più rapidi, dato che la sua stabilità in fase costruttiva era affidata all’impalcato, non alle malte fresche; l’armatura consentiva poi un controllo geometrico più semplice e di eseguire la rastrematura in maniera elementare, risparmiando sul materiale.
Inoltre, la presenza al suolo della Santa Casa, costrinse Giuliano a inventare una nuova soluzione tecnica: non appoggiò l’armatura sul pavimento, ma l’ha spiccò dal tamburo con incavallature volanti, che sarà in seguito applicata nella stessa San Pietro.
Giuliano avrebbe poi portato queste sperimentazioni dal prototipo alla Basilica Vaticana. Infine, la navata principale, che avrebbe dovuto sostituire quella costantiniana, sarebbe stata ispirata alla Basilica di Massenzio.
Di conseguenza, avremmo avuto uno spazio monumentale, coperto da enormi volte a crociera in opus caementicium, che poggiavano sui setti murari trasversali che separavano gli ambienti laterali e su colossali colonne di ordine dorico. Nei due lati, ci sarebbero state cinque cappelle absidate, da coperte da volta a botte con lacunari ottagonale, da cui si accedeva tramite una sorta di arco trionfale.
Per mitigare il contrasto tra il coro e la navata, Giuliano aveva introdotto una modifica rispetto al progetto del transetto quattrocentesco, facendolo terminare i due bracci con emiciclo, ispirato alle esedre delle terme di Traiano, la cui ampiezza era pari a due volte quella delle absidi delle cappelle laterali.
Ma le aspirazioni di Giuliano, ahimè andarono deluse per tre ordini di motivi. Il primo fu che la sua cupola a Loreto mostrò sin dall’inizio degli enormi problemi di statica: semplificando, la delicata tribuna a doppio involucro di Loreto non era stata configurata per sopportare un carico come quello imposto dai due Giuliani, sia per le sue incoerenze statico-geometriche, sia per l’insufficienza di piloni e fondamenti, che punzonavano il cedevole terreno sul quale la chiesa era stata incautamente fondata. Di conseguenza, Giulio II cominciò ad avere profondi dubbi sul fatto che la San Pietro concepita da Sangallo potesse reggersi in piedi.
Secondo, la concorrenza di Bramante, che era appoggiato da una lobby di cardinali e intellettuali della curia, capeggiati dal filosofo neoplatonico Egidio da Viterbo. Terzo, la nuova strampalata idea che era venuta al Papa sul suo sepolcro monumentale, fomentata da uno scultore fiorentino, tale Michelangelo, che proprio Giuliano aveva presentata a Giulio II.
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