L’incarico a Bramante

canonica

Bramante, come detto, godeva, rispetto a Giuliano di Sangallo l’appoggio di una buona parte della Curia, più o meno legata al defunto Ascanio Sforza, che aveva commissionato all’artista a Milano la Canonica di Sant’Ambrogio, ispirata all’Ospedale degli Innocenti di Brunelleschi, in cui l’architetto realizzò i più bei capitelli corinzi del Rinascimento lombardo, imitati per decenni nell’edificazione dei portici dei cortili dei più bei palazzi milanesi, oltre alle gigantesche paraste su piedistallo e alle originali colonne naturalistiche, a forma di tronchi con nodi e rami tagliati, e a Roma il coro di Santa Maria del Popolo, che, con l’arcone a lacunari e all’abside con catino a conchiglia, riprendeva parte delle idee dell’Incisione Previdari.

coro_santa

Questa, per chi non la conoscesse, è un’incisione su lastra di ottone, realizzata nel 1481, a Milano, da Bernardo Prevedari su disegno di Donato Bramante il cui nome è riportato sull’incisione stessa in caratteri lapidari (BRAMANTUS FECIT IN MEDIOLANO). Un contratto del 24 ottobre 1481 documenta l’impegno dell’incisore Bernardo Prevedari a

“fabricare […] stampam unam cum hedifitijs et figuris […] secundum designum in papiro factum per magistrum Bramantem de Urbino…”

Si tratta del primo documento autobiografico di Bramante delle cui vicende prima dell’arrivo a Milano e prima di questo documento, non si posseggono dati certi.

Il soggetto è imprecisato; si tratta di una visione architettonica rappresentante il grandioso interno di edificio all’antica, quasi in rovina, con membrature possenti. L’incisione rappresenta, quasi in una sorta di manifesto, le ampie conoscenze architettoniche di Bramante, quasi un compendio delle tematiche che svilupperà nelle successive opere lombarde. L’edificio è inteso come rappresentazione della sua struttura formata da celle tridimensionali, la parete piana è negata, gli archi appoggiano all’antica su pilastri e non colonne, la costruzione è intesa come organismo “vivente”.

L’incisione inoltre dimostra come molti temi dell’architettura bramantesca legati al rapporto con l’antico ed alla lezione di Leon Battista Alberti, siano già maturi vent’anni prima delle opere romane, come ad esempio l’uso di archi su pilastri e non su colonne.

Incisione che, di fatto, ha svolto per Bramante il ruolo di prototipo progettuale: vi si rappresenta lo scorcio prospettico di un solenne edificio a pianta centrale, in cui ci sono elementi che compariranno tanto in San Satiro (la concatenazione arco-pilastro, la gerarchia degli ordini architettonici, le nicchie con conchiglie) quanto in Santa Maria delle Grazie (gli oculi, i dischi a otto raggi)

9.-Prevedari-Incisione-Prevedari-1481

In più, Bramante era appoggiato da una forte, anche se poco citata sui manuali scolastici di Storia dell’Arte, lobby di artisti lombardi, che lavoravano per la Magistratura delle Strade capitolina, l’equivalente del nostro Assessorato all’Urbanistica, in perenne confronto dialettico con il Papa Re. Pur avendo lo stesso obiettivo, ossia modernizzare la città medievale, le due entità rappresentavano due interessi tra loro contrapposti: da una parte, le esigenze di rappresentanza della Chiesa universale, dall’altra la necessità di mettere a reddito ingenti patrimoni immobiliari.

Proprio per garantire la sua indipendenza dal Vaticano, la Magistratura delle Strade aveva ingaggiato, su consiglio di Andrea Bregno una squadra di professionisti soprattutto di origine bresciana e bergamasca.

Tra questi spiccavano Graziadeo Prata, che aveva realizzato le facciate di San Pietro in Vincoli e dei Santi Apostoli e che era anche apprezzato dalla Curia Pontificia, che lo aveva incaricato di concludere la loggia delle benedizioni progettata da Rossellino e gli aveva appioppato l’incarico di collaborare con Giuliano di Sangallo per la realizzazione del Castello della Magliana, Giovanni Perino, che progettò i magazzini del Sale a Ostia e ristrutturò parte di Castel Sant’Angelo, Sebastiano Pellegrino, l’autore di Sant’Eligio degli Orefici e di Santa Maria dell’Orto.

Lobby, quella lombarda, che si fece in quattro per appoggiare la candidatura bramantesca, che ottenne in cambio incarichi e appalti di notevole importanza e entità nei lavori della nuova San Pietro. Infine, Bramante aveva a sua favore una lunga esperienza nelle realizzazione di edifici cupolati, che a differenza di quelli di Giuliano, stavano in piedi senza troppi problemi.

Alcune di piccoli dimensioni e arcinoti, Santa Maria presso San Satiro con la sua sacrestia o San Pietro in Vincoli, o sconosciuti ai più, come la cappella della Cascina Pozzobenelli, altri di notevoli dimensioni, come la tribuna di Santa Maria delle Grazie o il Duomo di Pavia.

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La tribuna, anche se manca purtroppo l’evidenza documentale del progetto bramantesco, rispecchia le idee che Donato, ispirato da Filarete e da Leonardo, stava elaborando sulla pianta centrale. Come si può vedere bene dall’interno e dalla pianta, Bramente concepisce la tribuna come uno spazio cubico, delimitato da quattro poderosi arconi a tutto sesto, culminante con una grande cupola emisferica, a sedici spicchi. Ad esso è collegata una “scarsella” di pianta ugualmente cubica ma di dimensioni più ridotte, coperta da volta a ombrello.

Intorno a questo nucleo principale si articolano tre corpi absidali semicilindriche, due dei quali, i laterali, si collegano direttamente alla cupola, essendo l’edificio privo di transetto. Una terza abside invece prolunga lo spazio del coro, bilanciando visivamente la profondità delle due cavità laterali. Il risultato è uno spazio armonioso perché le absidi dai volumi ben tagliati si dispongono ordinatamente e per corpi decrescenti intorno al tiburio.

Chi percorre lo spazio delle navate, ritmato dalle volte ogivali e immerso nella penombra, percepisce, per contrasto, la forza di questo spazio, allo stesso tempo solenne e misurato; esso sembra dilatarsi per l’effetto della luce che lo inonda attraverso gli oculi della cupola, delle absidi e dei soprarchi.

All’esterno risulta in tutta la sua evidenza la nitida geometria dei volumi, accordati nel gioco di superfici curve e piane; Bramante avvolge la cupola con un elegante tiburio alleggerito da una loggia, che testimonia ancora una volta il suo interesse per l’architettura paleocristiana e romanica lombarda.

A Santa Maria delle grazie, inoltre, affrontò l’abbinamento statico che odiava di più, l’associazione tra una cupola a matrice circolare su una crociera quadrata, che per giunta sarebbe stata, dopo quella di San Lorenzo, la seconda più ampia di Milano.

Cupola, quella di San Lorenzo, che non poteva però essere imitata, dato che il suo impianto non era quadrato, ma ad ottagono irregolare, con una forza riduzione dell’aggetto dei pennacchi, sia perché al posto dei triangoli sferici, vi erano delle solide trombe, che si comportavano come archi completi e non come semiarchi a sbalzo.

Per tenere tutto in piedi, Bramante alleggerì al struttura, immaginando, al posto di una struttura massiccia, una assai più leggera, costituita da due diagrammi murari concentrici, aperti da logge e affacci, alleggeriti proprio in corrispondenza dei pennacchi.

Il cilindro interno è scaricato da una loggia architravata, su cui poggia un arco morto; quello interno è invece fatto flettere in corrispondenza dei pennacchi, in modo da creare quattro esedre che deviano il carico verso gli spigoli del sottostante cubo murario.

Ahimè, la concezione bramantesca si dovette però scontrare, nella realizzazione pratica, con due difficoltà difficilmente aggirabili: la tirchieria di Ludovico il Moro, che lesinò sulla qualità dei materiali e il postvendita, per usare un termine moderno, Amadeo, che interpretò a modo suo il progetto esecutivo, lasciandosi prendere la mano nella decorazione.

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Ancora più complesso, fu per Bramante la gestione della commessa del Duomo di Pavia, visto che i clienti, chiesero nel progetto due cose tra loro poco compatibili: da una parte un coro che doveva espressamente a quello del Rossellino a San Pietro, nel contratto si cita esplicitamente

unum amplum et hornatissumun chorum tanquam caput ecclesiae modo et structura romanae ecclesiae Sancti Pietri

dall’altra che ricordasse, nelle linee generali, Santa Sofia a Costantinopoli. Peccato, che nessuno dei buono canonici pavesi avesse la più pallida idea di che aspetto avesse la basilica bizantina, tanto che chiesero ad Ascanio Sforza di rimediare loro un suo disegno.

Dinanzi a tali pretese, Bramante si inventò un edificio con una volta a zucca, ispirata al Canopo di Villa Adriana, in cui si alternavano costoloni piatti e semicircolari, su cui si innestava una cupola a ottagono irregolare, sostenuta da piloni a raggiera, derivati dalla chiesa di San Lorenzo a Milano, e affiancata da quattro cappelle angolare, che per l’ironia della sorte, era ispirata proprio al modello sangallesco di Loreto.

In più le nicchie semicircolari e i diaframmi murari nel punto d’incontro delle arcate del transetto, derivavano dal Santo Spirito di Brunelleschi, mentre le volte a cassettoni erano ispirate all’Alberti.

Insomma, Donato per soddisfare le specifiche a capocchiam della committenza, propose una sintesi di classicità, tradizioni locali e esperienze artistiche quattrocentesche, che nonostante la stranezza, fu gradita.

Dinanzi a tale credenziali, Giulio II decise di fidarsi delle pressione che gli stavano arrivando da tutte le parti, per cui assegnò l’incarico a Bramante… In più, visto che il coro del Rossellino sembrava una cornice inadatta alla tomba monumentale, a cui stava lavorando Michelangelo, come contentino diede a Giuliano da Sangallo l’incarico di progettavo il nuovo mausoleo papale.

6 pensieri su “L’incarico a Bramante

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